OPERE
Mein Kampf
CAPITOLO I
WELTANSCHHAUUNG E PARTITO
Il 24 febbraio
1920 ebbe luogo la prima grande manifestazione
pubblica del nostro giovane movimento. Nel salone della Birreria reale, a
Monaco le venticinque tesi del programma del nuovo partito furono esposte ad
una moltitudine di quasi duemila persone, e ciascun punto fu
approvato fra grida di consenso e di giubilo.Con ciò
furono poste le direttive e i principi fondamentali di una lotta mirante a
farla finita con la sozzura vera e propria di concezione e di
opinioni decrepite e con tutti gli scopi poco chiari, anzi dannosi. Una
nuova forza doveva scagliarsi contro il pigre e codardo mondo
borghese, contro la marcia trionfale della ondata marxista, per
rimettere in equilibrio, all'ultima ora, il carro del Destino.Com'era
naturale, il nuovo movimento poteva solo sperare di acquistare l'importanza e
la forza necessaria a questa gigantesca lotta, se fin dal primo giorno fosse
riuscito a destare nel cuore dei suoi partigiani la sacra certezza che esso non
dava alla vita politica una nuova parola d'ordine elettorale ma le presentava
una nuova concezione del mondo, fondata sui principi eterni, e di suprema
importanza.Si pensi,di quali
pietosi elementi siano composti in generale, i cosiddetti "programmi
di partito", e come di tempo in tempo vengano spolverati e rimessi alla
moda! E' necessario porre sotto la lente d'ingrandimento i motivi essenziali
delle "commissioni per il programma" dei partiti, soprattutto
borghesi, per bene intendere il valore di questi aborti programmatici.Una sola preoccupazione spinge a costruire programmi nuovi
o a modificare quelli che già esistono: la preoccupazione dell'esito delle
prossime elezioni. Non appena nella testa di questi giullari
del parlamentarismo balena il sospetto che l'amato popolo voglia ribellarsi e
sgusciare dalle stanghe del vecchio carro del partito, essi danno una mano di
vernice al timone. Allora vengono gli astronomi e gli astrologhi del
partito, i cosiddetti "esperti" e "competenti", per lo più
vecchi parlamentari che, ricchi di esperienze
politiche, rammentano casi analoghi in cui la massa finì col perdere la
pazienza, e che sentono avvicinarsi di nuovo una minaccia dello stesso genere.
E costoro ricorrono alle vecchie ricette, formano una "commissione",
spiegano gli umori del buon popolo, scrutano gli articoli dei giornali e
fiutano gli umori delle masse per conoscere che cosa queste vogliano
e sperino, e di che cosa abbiano orrore. Ogni gruppo professionale, e perfino
ogni ceto d'impiegati viene esattamente studiato, e ne
sono indagati i più segreti desideri. Di regola, in questi casi diventano
maturi per l'indagine anche "i soliti paroloni" della pericolosa
opposizione e non di rado, con grande meravigli di coloro che per primi li inventarono
e li diffusero, quei paroloni entrano a far parte del tesoro scientifico dei
vecchi partiti, come se ciò fosse la cosa più naturale del mondoLe commissioni si adunano e "rivedono"
il vecchio programma e ne foggiano le loro convinzioni come il soldato al campo
cambia la camicia, cioè quando quella vecchia è piena di pidocchi. Nel nuovo
programma, è dato a ciascun il suo. Al contadino è data la protezione della agricoltura, all'industria quella dei suoi prodotti;
il consumatore ottiene la difesa dei suoi acquisti, agli insegnati vengono
aumentati gli stipendi, ai funzionari le pensioni. Lo Stato provvederà
generosamente alle vedove e agli orfani, il commercio sarà favorito, le tariffe
dei trasporti saranno ribassate, e le imposte, se non verranno
abolite, saranno però ridotte. Talvolta avviene che un ceto di cittadini sia
dimenticato o che non si faccia luogo ad una diffusa esigenza popolare. Allora si inserisce in gran fretta nel programma ciò che ancora vi
trova posto, fin da quando si possa con buona coscienza sperare di avere
colmato l'esercito dei piccoli borghesi e delle rispettive mogli, e di vederlo
soddisfatto. Così, bene armati e confidando nel buon
Dio e nella incrollabile stupidità degli elettori, si può iniziare la lotta per
la "riforma" (come si vuol dire) dello Stato.Quando poi il giorno delle elezioni è passato e i
parlamentari del quinquennio hanno tenuto il loro ultimo comizio, per passare
all'addomesticamento della plebe all'adempimento dei
loro più piacevoli compiti, la commissione per il programma si scioglie. E la lotta per il nuovo stato di cose riprende le forme
della lotta per il pane quotidiano: presso i deputati, questo si chiama
"identità parlamentare".Ogni mattina, il
signor rappresentante del popolo si reca alla sede del Parlamento; se non
vi entra, almeno si porta fino all'anticamera dove è esposto l'elenco dei
presenti. Ivi, pieno di zelo per il servizio della nazione, iscrive il suo nome
e, per questi continui debilitanti sforzi, riceve in compenso un ben guadagnato
indennizzo.Dopo quattro anni, o nelle settimane
critiche in cui si fa sempre più vicino lo scioglimento della Camera, una spinta irresistibile invade questi signori. Come la larva
non può far altro che trasformarsi in maggiolino, così questi bruchi
parlamentari lasciano la grande serra comune ed, alati,
svolazzano fuori, verso il carro popolo. Di nuovo parlano agli elettori,
raccontano dell'enorme lavoro compiuto e della perfida ostinazione del altri; ma la massa ignorante, talvolta invece di
applaudire li copre di parole grossolane, getta loro in faccia grida di odio. Se l'ingratitudine del popolo raggiunge un certo grado, c'è
un solo rimedio: bisogna rimettere a nuovo lo splendore del partito, migliorare
il programma; la commissione, rinnovata, ritorna in vita e l'imbroglio ricomincia.
Data la granitica stupidità della nostra umanità, non c'è da meravigliarsi
dell'esito. Guidato dalla sua stampa e abbagliato dal nuovo adescante
programma, l'armento "proletario" e quello "borghese"
ritornano alla stalla comune ed eleggono i loro vecchi ingannatori.Con ciò, l'uomo del popolo, il candidato dei ceti
produttivi si trasforma un'altra volta nel bruco parlamentare e di nuovo si
nutre delle foglie dell'albero statale per mutarsi,
dopo altri quattro anni, nella variopinta farfalla.Nulla
è più mortificante che l'osservatore, nella sua
semplice realtà, questo processo, che il dover assistere ad un trucco sempre
rinnovatosi. Certo, col alimento di questo terreno spirituale non si attingerà
mai in campo borghese la forza di condurre la lotta contro l'organizzata
potenza del marxismo!E' anche vero che questi signori
non pensano mai sul serio a ciò. Tenuto pur conto di tutta la cortezza di mente
e di tutta l'inferiorità spirituale di questi "stregoni" parlamentari
della razza bianca, neppure essi possono immaginarsi
seriamente di battersi, sul terreno d'una democrazia occidentale, contro una
dottrina per la quale la democrazia, con tutti i suoi annessi e connessi, non è
nella migliore delle ipotesi altro che un mezzo impiegato per paralizzare l'avversario
e per spianare la vita alle proprie azioni. Se è vero
che una parte del marxismo cercò, con molta scaltrezza, di far credere d'esser
indissolubilmente congiunta con le massime della democrazia, non si deve però
dimenticare che nelle ore critiche quei signori non si curarono un fico di
prendere una decisione di maggioranza conforme alle concezioni della democrazia
occidentale! Alludo ai giorni in cui i parlamentari borghesi ravvisarono
garantita la sicurezza del Reich dalla prevalenza del
numero, mentre il marxismo traeva senz'altro a se il potere, insieme con un
mucchio di vagabondi, disertori, bonzi di partito, e letterati, ebrei, mettendo
così la museruola alla democrazia. Certo, ci vuole la credulità d'uno di questi
"stregoni" parlamentari della democrazia borghese per figurarsi che
ora o in avvenire la brutale risolutezza degli interessati o dei portatori di
quella peste mondiale possa essere eliminata dai
semplici esorcismi d'un parlamentarismo occidentale.Il
marxismo marcerà con la democrazia fin quando riuscirà a conservare, per via
indiretta, ai suoi fini delittuosi l'appoggio del mondo intellettuale nazionale
da lui destinato alla morte. Ma se esso oggi venisse a
convincersi che nello stregato calderone della nostra democrazia parlamentare potesse
ad un tratto formarsi una maggioranza che (fosse solo sul fondamento
maggioritario che l'abilita a legiferare) mettesse alle strette il marxismo, le
gherminelle parlamentari sarebbero presto finite. Allora gli alfieri
dell'Internazionale rossa, in luogo di rivolgere un appello alla coscienza
democratica, lancerebbero una invocazione incendiaria
alle masse proletarie, e la loro lotta si trasferirebbe, di colpo, dalla
mefitica atmosfera dell'aula parlamentare alle fabbriche ed alle strade. E la democrazia sarebbe spacciata; e ciò che non sarebbe
riuscito alla flessibilità morale di quegli apostoli del popolo in
Parlamento riuscirebbe in un lampo, come nell'autunno 1918, alle leve e ai
martelli delle aizzate masse proletarie: le quali insegnerebbero al mondo
borghese quanto sia stolto immaginarsi di potersi opporre, per mezzo della
democrazia occidentale, alla conquista ebraica del mondo.Come
dissi, ci vuole un bel grado di credulità per legarsi, di fronte ad un simile
giocatore, a regole che per costui esistono solo per servirsene a scopo di
bluff od a proprio profitto, e che il giocatore non osserverà più non appena
cessino di rispondere al suo interesse.Poiché, per
tutti i cosiddetti partiti borghesi la lotta politica
consiste solo nell'azzuffarsi per conquistare seggi in Parlamento, e i principi
e gli orientamenti vengono abbandonati a seconda dell'opportunità. Lo stesso
valore hanno, s'intende, i loro programmi, e nello
stesso senso sono valutate le loro forze. Manca loro quella grande
attrazione magnetica a cui la larga massa obbedisce solo sotto la
impressione di grandi ed eminenti punti di vista, sotto la forza persuasiva di
un'assoluta fede nella bontà di questi punti di vista accoppiata alla fanatica
volontà di battersi per essi.Ma
in un tempo in cui l'una delle parti, armata di tutte le armi di una concezione
del mondo sia pure mille volte delittuosa, si lancia all'assalto dell'ordine
costituito, opporre resistenza l'altra parte può solo se la resistenza stessa
riveste le forme d'una fede nuova, nel caso nostro, d'una nuova fede politica,
e se alla parola di una debole e codarda difesa sostituisce il grido di guerra
d'un coraggioso e brutale assalto.Quindi, se oggi al
nostro movimento vie fatto, da parte soprattutto dei cosiddetti ministri
nazionali borghesi, ed anche del centro cattolico lo spiritoso rimprovero di
tendere ad una "rivoluzione", a questo politicantismo
da burla si può dare una sola risposta: "Si, noi cerchiamo di ricuperare
ciò che voi, nella vostra criminale stoltezza, avete perduto. Voi, coi i principi del vostro parlamentarismo da bifolchi, avete
contribuito a trascinare all'abisso la nazione; noi invece, nelle forme
dell'assalto, istituendo una nuova concezione del mondo e diffondendo con
fanatismo i principi essenziali, costruiremo al nostro popolo i gradini per i
quali potrà un giorno ascendere di nuovo al tempio della libertà".Perciò, nell'epoca della fondazione del nostro movimento,
dovremmo sempre ed anzitutto preoccuparci di impedire che un esercito di
combattenti per una nuova radiosa convinzione si tramutasse in una semplice
lega per il favoreggiamento di interessi parlamentari.La
prima misura preventiva fu la creazione d'un programma spingente ad
un'evoluzione che già nella sua intima grandezza appariva
idonea a scacciare gli spiriti deboli e meschini della nostra odierna
politica di partito.Ma l'esattezza della nostra idea,
che fosse necessario imprimere al nostro programma
mete finali ben nette e recise, risultò nel modo più chiaro da quei funesti
mali che condussero al crollo della Germania.Dal
riconoscimento dell'esattezza della nostra concezione dovette formarsi una
nuova concezione dello Stato che a sua volta è un
elemento essenziale d'una novo concezione del mondo.La
parola "popolare" o "nazionale" è troppo poco concettualmente
definita per permettere la creazione d'una chiusa
comunità di combattenti. Al giorno d'oggi una quantità
di cose che nei loro fini essenziali divergono immensamente fra loro passa
sotto la denominazione comune di "nazionale". Quindi
io, prima di accingermi a spiegare i compiti e gli scopi del partito operaio
nazionalsocialista tedesco, vorrei chiarire il concetto di
"nazionale" e il suo rapporto col movimento del partito.Il concetto di "nazionale" appare tanto poco
chiaramente impostato, tanto variamente interpretabile e di significato pratico
tanto illimitato quanto, per esempio, la parola "religioso". Anche
con questa parola è assai difficile rappresentarsi alcunché
di preciso, né nel senso spirituale né nell'azione pratica. La parola
"religioso" diventa chiara e comprensibile solo quando va congiunta
ad una determinata forma di azione. Si dà una
spiegazione molto bella ma di poco valore quando si definisce
"profondamente religioso" il temperamento di un uomo. Forse, alcuni pochi si contenteranno d'una definizione così
generica, la quale potrà trasmettere loro un'immagine più o meno netta di
quello stato d'animo. Ma la grande massa non è
composta né di santi né di filosofi; e per i singoli, una simile idea
religiosa, del tutto generica, significherà solo la libertà del pensiero e
dell'azione individuale, senza avere l'efficacia che l'intima nostalgia
religiosa ottiene nel momento in cui il puro sconfinato pensiero metafisico si
trasforma in una fede religiosa nettamente limitata. Certo, questo non è il
fine in sé, ma solo un mezzo per raggiungere il fine. E
questo fine non è solo ideale: in ultima analisi, è anche pratico. Bisogna
convincersi che i più alti ideali corrispondono sempre ad una profonda
necessità della vita, così come, in fin dei conti, la nobiltà della più sublime
bellezza si trova solo in ciò che è più logico e più opportuno.La fede eleva l'uomo al di sopra dell'esistenza
animale e contribuisce a rafforzare ed assicurare l'esistenza. Si tolgano
all'odierna umanità i principi religiosi e morali corroborati dalla sua
educazione e aventi per essa un valore di morale
pratica, abolendo l'educazione religiosa senza sostituirle nulla di
equivalente: ne risulterà una grave scossa delle fondamenta dell'esistenza. Si
può stabilire che non solo l'uomo vive per servire ideali superiori ma questi
stessi ideali danno la premessa della sua esistenza come uomo. E così il
cerchio si chiude.Com'è
naturale, già nel generico termine di "religioso" si trovano certe
idee o convinzioni fondamentali, per esempio quella dell'indistruttibilità
dell'anima, dell'eternità della sua esistenza, della realtà d'un Essere
supremo, ecc. Ma queste idee, per quanto convincenti per l'individuo, vanno
soggette all'esame critico dell'individuo medesimo e all'oscillazione fra il
consenso e il ripudio, fin quando il presentimento o il riconoscimento
sentimentale non assumono la forza di una fede apodittica. E' questo il primo
fra i fattori di combattimento che apre una breccia all'accettazione di
principi religiosi e spiana la strada.Senza una fede
nettamente limitata, la religiosità, vaga e multiforme, non solo sarebbe priva
di valore per la vita umana ma condurrebbe, con ogni probabilità, ad uno
scompiglio generale.Le cose vanno col concetto
"nazionale" così come col concetto "religioso". Anche in quello si trovano già certi riconoscimenti
fondamentali. ma essi, sebbene molto importanti, sono
per la loro forma, determinanti con così poca chiarezza da non elevarsi al di
sopra del valore d'una opinione se non quando vengono intesi come elementi
essenziali entro la cornice d'un partito politico. Perché la
realizzazione di ideali rispondenti ad una concezione
del mondo, e delle esigenze che ne derivano non segue in grazia del sentimento
puro né della intima volontà dell'uomo in sé, così come conquista della libertà
non segue dal generale desiderio di libertà. No; solo quando l'aspirazione
ideale all'indipendenza viene organizzata e resa
idonea al combattimento in forma di mezzi di potenza militari, solo allora
l'impulso di un popolo può trasformarsi in splendida realtà.Ogni
concezione del mondo, quand'anche fosse mille volte giusta ed
utile all'umanità, non avrà importanza per la conformazione pratica
della vita d'un popolo fin quando i suoi principi non saranno diventati il
vessillo d'un movimento popolare di lotta, e questo movimento sarà solo un
partito fin quando la sua azione non si sarà completata con la vittoria delle
sue idee, fin quando i suoi dogmi di partito non formeranno le nuove leggi
statali della comunità d'un popolo.Ma se una idea morale generica vuol servire di fondamento ad un
futuro sviluppo, è necessario, anzitutto, creare un assoluta chiarezza circa
l'essenza, il genere e la ampiezza di quella idea: perché solo su una simile
base si può edificare un movimento capace di sviluppare nella intima omogeneità
delle sue convinzioni la forza necessaria alla lotta.Con
le idee generali si deve coniare un programma politico, con una generica
concezione del mondo una determinata politica.Questa
fede, poiché il suo scopo deve essere praticamente
raggiungibile, dovrà non solo servire all'idea in sé ma occuparsi pure dei
mezzi di combattimento che già sussistono per condurre quest'idea
alla vittoria e che debbono trovare l'impiego. Ad un'idea morale astratta che
spetta all'autore d'un programma di propagandare,
deve associarsi quel riconoscimento pratico che è proprio dell'uomo
politico. Perciò un ideale eterno deve purtroppo, quale stella polare
dell'umanità, tenere conto delle debolezze di questa umanità,
per evitare loro di naufragare contro la generale insufficienza umana.
All'indagatore della verità deve unirsi il conoscitore della psiche popolare
per estrarre dal regno della verità eterna e dell'ideale ciò che è umanamente
possibile a noi piccoli mortali, e dargli forma.La
trasformazione di un'idea generica, d'una concezione del mondo esattissima, in
una comunità di credenti e di combattenti delimitata con precisione,
rigidamente organizzata, una di spiriti e di volontà, è il compito più
importante: perché solo dalla esatta soluzione di tal
fine è necessario che dall'esercito di milioni di uomini aventi, in modo più o
meno chiaro, il presentimento e, in parte, la compressione di questa verità,
esca un uomo. Quest'uomo dovrà, con forza apodittica,
con le ondeggianti idee dell'ampia massa foggiare
granitici principi e condurrà la lotta per realizzarli fin quando, dalle onde
d'un libero mare d'idee, si elevi la bronzea rupe d'un'unitaria comunanza di
fede e di volontà.Il diritto, comune a tutti, di
agire così è fondato sulla sua necessità; il diritto personale è fondato sul
successo.Se tentiamo di estrarre dalla parola
"nazionale" il senso profondo, giungiamo alla seguente constatazione:La concezione politica oggi corrente si basa in generale
sull'idea che allo Stato si debba assegnare una forza creatrice, civilizzatrice
ma che allo Stato, non abbia nulla di comune con premesse di razza. Lo Stato
sarebbe piuttosto un prodotto di necessità economiche o, nel migliore dei casi,
il risultato naturale di forze e di impulsi politici.
Questa concezione fondamentale conduce, nel suo sviluppo logico, non solo al
misconoscimento delle primordiali forze etniche, ma anche ad una
sottovalutazione della persona. Perché, se si contesta la
diversità delle singole razze in riguardo alle loro forze d'incivilimento, si
deve di necessità trasferire questo grande errore anche al giudizio dei singoli.
L'ammissione dell'equivalenza delle razze diventa la base di una
eguale valutazione dei popoli e, inoltre, dei singoli individui. E il marxismo internazionale non è altro che il
trasferimento, operato dall'ebreo Carlo Marx, d'una concezione che in realtà
esisteva già da gran tempo, ad una determinata professione di fede politica. Se
non fosse già esistita questa intossicazione molto
diffusa, non sarebbe mai stato possibile lo stupefacente successo politico di
quella dottrina. Carlo Marx in realtà fu solo uno tra milioni che, nel pantano
d'un mondo in putrefazione, riconobbe col sicuro
sguardo del profeta i veleni essenziali, e li estrasse, per concentrarli, come
un negromante, in una soluzione destinata ad annientare in fretta l'esistenza
indipendente di libere nazioni sulla Terra.Ma tutto ciò egli fece al servizio della sua razza.Così, la dottrina marxista è l'estratto, la
quintessenza della mentalità oggi vigente. Già per questo motivo è impossibile,
anzi ridicola, ogni lotta del nostro cosiddetto mondo borghese contro di essa; poiché anche questo mondo borghese è impregnato di
tutti quei veleni ed ha una concezione del mondo che solo per gradi e per
persone si distingue dalla marxista. Il mondo borghese è marxista, ma crede
alla possibilità della dominazione di determinati gruppi umani (borghesia),
mentre il marxismo stesso mira a mettere metodicamente il mondo nelle mani del giudaismo.All'opposto, la concezione nazionale, razzista,
riconosce il valore dell'umanità nei suoi primordiali elementi di razza. In
conformità coi suoi principi, essa ravvisa nello Stato
soltanto un mezzo per raggiungere un fine, il fine della conservazione
dell'esistenza razzista degli uomini. Con ciò, non crede affatto ad
un'eguaglianza delle razze, ma riconosce che sono diverse e quindi hanno un
valore maggiore o minore; e da questo riconoscimento si sente obbligata ad
esigere, in conformità con l'eterna Volontà che domina l'Universo, la vittoria
del migliore e del più forte, la subordinazione del peggiore e del più debole.E così rende omaggio all'idea fondamentale della
natura, che è aristocratica e crede che questa legge abbia fino al più umile
individuo. Essa riconosce non solo il diverso valore delle razze ma anche
quello degli individui. Estrae dalla massa l'individuo di valore, e opera così
da organizzatrice, di fronte al marxismo disorganizzatore.
Crede nella necessità di idealizzare l'umanità, ravvisando solo in questa
idealizzazione la premessa dell'esistenza dell'umanità
stessa. Ma non può concedere ad un'idea etica il diritto di esistere se questa idea costituisce un pericolo per la vita razziale dei
portatori d'un'etica superiore, perché in un mondo imbastardito e "negrizzato" sarebbero perduti per sempre i concetti
dell'umanamente bello e sublime, nonché ogni nozione d'un avvenire idealizzato
del genere umano.Nel nostro continente, la cultura e
la civiltà sono connesse, in modo indissolubile, con la presenza degli Ari. Il
tramonto e la scomparsa dell'Ario ricondurrebbe sul
globo terrestre tempi di barbarie.Il seppellire il
contenuto della civiltà umana mediante l'annientamento di coloro che la
rappresentano appare il più deprecabile fra i delitti agli occhi d'una concezione nazionale del mondo. Chi osa mettere la
mano sulla più alta fra le creature di questa
meraviglia e collabora alla sua espulsione dal Paradiso.Quindi,
la concezione nazionale del mondo risponde alla più intima volontà della
Natura, poiché restaura quel libero giuoco delle forze che deve condurre ad una
durevole reciproca educazione delle razze, finché, grazie al conquistato
possesso di questa Terra, venga spianata la via ad una migliore umanità, la
quale possa operare in campi situati in parte al di sopra e in parte al di
fuori di essa. Noi tutti presentiamo che in un lontano avvenire gli uomini
dovranno affrontare tali problemi, che a dominarli sarà
eletta una razza superiore, una razza di padroni, che disporrà dei mezzi e
delle possibilità di tutto il globo.Come ben
s'intende, una fissazione tanto generica del contenuto d'una concezione
razzista del mondo permette migliaia di interpretazioni
diverse. In realtà, non c'è nessuna delle nostre nuove fondazioni politiche che
in qualche modo non si richiami a quella concezione. Ma quest'ultima, appunto col fatto
di avere un'esistenza propria di fronte alle molte altre, dimostra che qui si
tratta di concezioni diverse. Così, con la concezione marxista, diretta da un
organismo supremo unitario, contrasta un miscuglio di concezioni che già dal
punto di vista delle idee fu meschina impressione a
petto del chiuso fronte nemico. Non si vince con armi deboli! Solo quando alla
concezione internazionale marxista (rappresentata in politica dal marxismo
organizzato) si opporrà una concezione nazionale altrettanto unitariamente
organizzata e diretta, e solo se sarà eguale nei due campi l'energia del
combattere, la vittoria si troverà dalla parte della verità eterna. Ma una data
concezione del mondo può solo essere organizzata sulla base d'una precisa
formulazione di quella: i principi fondamentali d'un partito sono per un
partito politico in formazione, ciò che per la fede sono i dogmi.Quindi,
per la concezione nazionale del mondo bisogna creare un
strumento che le assicuri la possibilità di ottenere una rappresentanza
battagliera, così come la organizzazione marxista di partito spiana la via
all'internazionalismo.Il partito nazional-socialista
persegue questa meta.La fissazione, a servizio d'un partito, del concetto nazionale è la condizione
preliminare del trionfo della concezione nazionale. Ciò è nel mondo più chiaro
provato da un fatto ammesso, almeno in modo indiretto, perfino dagli avversari
di quel collegamento fra concezioni e partito. Appunto color che non si
stancano mai di accentuare che la concezione nazionale del mondo non è retaggio
di un individuo ma sonnecchia o "vive" nel cuore di milioni di uomini, documentano con ciò la verità di questo fatto,
che la generale presenza di tali idee nel cuore degli uomini non basta a impedire
la vittoria delle concezioni opposte, rappresentate da partiti politici di
classe. Se non fosse così, il popolo tedesco avrebbe
già oggi riportata un'immensa vittoria, mentre in realtà si trova sull'orlo di
un abisso.Ciò che diede la vittoria alla concezione internazionale fu la circostanza che essa è rappresentata da
un partito politico organizzato in reparti d'assalto. Ciò che fece soccombere
la concezione opposta fu la mancanza (finora) d'una
rappresentanza unitaria. Una concezione del mondo può solo combattere e vincere
nella forma limitata e comprensiva d'un'organizzazione
politica, non nelle illimitata libertà d'interpretazione d'una dottrina
generica.Perciò io considerai mio
proprio compito quello di estrarre dalla materia vasta ed informe di una
concezione generale le idee essenziali, dando loro forma più o meno dogmatica;
idee che nella loro chiara delimitazione sono idonee a dare un'organizzazione
unitaria a coloro che le accettano. In altre parole: Il partito
nazional-socialista riprende le linee essenziali d'una concezione del mondo
genericamente nazionale e, tenendo conto della realtà pratica, dei tempi, del
materiale umano esistente, e delle debolezze umane, foggia
con esse una professione di fede politica. Questa, alla sua volta, crea, nell'organizzazione
rigida di grandi masse umane resa così possibile, le condizioni preliminari per
il trionfo di quella concezione.
CAPITOLO II
LO STATO
Fin dal 1929-21
i circoli dell'ormai superato mondo borghese rinfacciavano al nostro movimento
di assumere una posizione negativa di fronte allo Stato odierno. E da ciò i
partiti politici di tutte le tendenze traevano per sé il diritto
d'intraprendere con tutti i mezzi la lotta e la
persecuzione contro il giovane incomodo annunciatore di una nuova concezione.
Si dimenticò, di proposito, che oggi lo stesso mondo borghese non c'è e che non vi può essere una definizione unitaria di questa
idea. Spesso gli interpreti seggono nelle nostre
Università in qualità di professori di diritto pubblico, il cui compito più
alto è quello di trovare spiegazioni e giustificazioni della più o meno felice
esistenza di quello Stato che fornisce loro gli alimenti. Quanto
più assurda è la forma d'uno Stato, tanto più oscure, artificiose e
incompressibili sono le definizioni dello scopo della sia esistenza. Che
poteva mai scrivere, per esempio, un imperiale regio professore di Università sul senso e sullo scopo d'uno Stato in un
paese la cui esistenza statale personifica il più grande aborto del secolo
ventesimo?Era questo un compito ben grave, se si riflette che per
l'odierno professore di diritto pubblico esiste meno l'obbligo della verità che
il conseguimento d'uno scopo determinato. E lo scopo è
questo: conservare ad ogni costo quel mostro di meccanismo umano che oggi è
chiamato Stato. Ciò posto, non c'è da stupirsi se nella soluzione di questo
problema si evitano quanto più possibile i punti di vista reali per immergersi
invece in un miscuglio di valori ideali, di compiti e di scopi
"etici" e "morali".All'ingrosso
si possono distinguere tre gruppi:a) il gruppo di
coloro che nello Stato ravvisano semplicemente una comunità più o meno
volontaria di uomini sotto una sovrana potestà di impero.Questo
è il gruppo più numeroso. Nelle sue file si trovano, particolarmente, gli
adoratori dell'odierno principio di legittimità, ai cui occhi la volontà
dell'uomo non sostiene nessuna parte in tutto questo affare.
Per essi, nel solo fatto della esistenza d'uno Stato è
già fondata la sua sacrosanta invulnerabilità. Per adattarsi a questo vaneggiamento
di cervelli umani, occorre avere una canina adorazione dell'autorità statale.
Nella testa di questa gente, in un attimo il mezzo si trasforma nello scopo
finale. Lo Stato non esiste più per servire gli uomini; ma gli uomini esistono
per adorare un'autorità statale che racchiude in sé anche l'ultimo dei
funzionari. Affinché questa tacita, estatica adorazione non si tramuti in
inquietudine, in agitazione, l'autorità statale esiste unicamente per
conservare l'ordine e la calma, e viceversa, l'ordine e la calma debbono rendere possibile l'esistenza della Stato. La vita intiera deve muoversi entro questi due poli.In Baviera, questa mentalità è in prima linea
rappresentata dagli artisti politici del Centro bavarese, chiamato
"partito populista bavarese"; in Austria, dai legittimisti
giallo-neri; e il Reich, purtroppo, gli elementi
cosiddetti conservatori si fanno questa idea dello Stato.b)
Il secondo gruppo è alquanto meno numeroso; di esso
fanno parte coloro che almeno connettono certe condizioni all'esistenza d'uno
Stato. Essi vogliono non solo un medesimo governo ma anche, se è possibile, una
medesima lingua, sia pure partendo da punti di vista di generica tecnica
amministrativa. L'autorità statale non è più l'unico
ed esclusivo scopo dello Stato: ad esso aggiunge quello di promuovere il bene
dei sudditi. Nella concezione dello Stato, propria di questo gruppo,
s'insinuano già idee di "libertà", per lo più una libertà malintesa.
La forma di governo non appare più intangibile per il fatto stesso della sua
esistenza; ma viene esaminata per constatarne la vantagiosità. La sanità delle tradizioni non protegge dalla
critica del presente. Del resto, questa concezione attende, soprattutto, dallo
Stato una favorevole configurazione della vita economica, e quindi giudica
partendo da punti di vista pratici e secondo principi economici generici,
fondati sulla produttività. I principali rappresentanti di queste opinioni si incontrano nella normale borghesia tedesca, e
specialmente dei circoli della nostra democrazia liberale.c)
Il terzo gruppo è il meno numeroso;Esso ravvisa già nello Stato un mezzo per
realizzare le tendenze di potenza politica per lo più poco chiare di un popolo
unito e ben caratterizzato da un suo proprio linguaggio. Qui, la volontà d'un'unica lingua statale si manifesta non solo nella speranza
di creare con ciò a questo Stato una solida base per accrescere la sua potenza
all'estero, ma altresì con l'opinione (del resto, falsissima) di potere con ciò
nazionalizzare lo Stato in una direzione determinata.Negli
ultimi cento anni fu una vera pietà il dover veder come questi circoli giocassero, talora in buona fede, con la parola "germanizzare". Lo stesso rammento che, quand'ero
giovane, questo termine conduceva ad idee di incredibile
falsità. Perfino nelle sfere del pangermanesimo si poteva allora sentir dire
che, con l'aiuto del governo, il germanesimo
d'Austria poteva riuscire benissimo a germanizzare i
paesi slavi austriaci. Costoro non capivano affatto che si può
solo germanizzare il suolo ma non mai gli uomini. Ciò
che allora s'intendeva con quella parola era solo la forzata accettazione
esteriore della lingua tedesca. E' invece un grave errore il credere che,
poniamo, un Cinese o un Negro diventi un Tedesco perché impara il tedesco ed è
pronto a servirsi in avvenire della lingua tedesca e dare il suo voto ad un
partito politico tedesco. Il nostro mondo borghese non ha mai capito che una
simile germanizzazione è, in realtà, una sgermanizzazione. Perché se, con l'imposizione d'una lingua
comune, certe distinzioni finora visibili fra popolo e popolo vengono superate ed infine cancellate, ciò significa
l'inizio d'un imbastardimento e, nel caso nostro, non una germanizzazione
ma un annientamento di elementi germanici. Troppo spesso nella storia accade
che un popolo conquistatore riesca, grazie ai suoi mezzi di potenza, ad imporre
ai vinti la propria lingua, e che dopo mille anni la sua lingua sia parlata da
un altro popolo e quindi i vincitori diventano i veri vinti.La
nazione, o meglio, la razza non consiste
nella lingua, ma solo nel sangue. Quindi si potrà
parlare d'una germanizzazione solo quando si sappia
trasformare con questo processo il sangue ai vinti. Ma
ciò non è possibile: a meno che grazie alla mescolanza dei sangui
si produca un mutamento, significante l'abbassamento del livello della razza
superiore. Il risultato finale di questo processo sarebbe dunque la distruzione
appunto di quelle qualità che un giorno resero il
popolo conquistatore capace di vincere. Particolarmente le forze culturali
sparirebbero nell'accoppiamento con una razza inferiore, quando anche il
risultato prodotto misto parlasse mille volte la lingua della razza che una
volta era superiore.Per
un certo tempo sussisterà ancora una lotta fra spiritualità diverse, e può
darsi che la nazione piombante sempre più in basso, in un ultimo scatto riveli
valori culturali eminenti. Ma questi sono solo gli
elementi appartenenti alla razza superiore, oppure bastardi, in cui, nel primo
incrocio, prevale ancora il sangue migliore e cerca di farsi strada, non mai
però prodotti conclusivi della miscela, nei quali si mostrerà sempre un
movimento culturale retrogrado.Si deve oggi
considerare come fortuna che una germanizzazione dell' Austria nel senso di Giuseppe II non abbia avuto
successo, lo Stato austriaco si sarebbe conservato, ma la comunanza di
linguaggio avrebbe addotto un abbassamento del livello razziale della nazione
tedesca. Nel corso dei secoli si sarebbe bensì formato un certo istinto di armento, ma l'armento avrebbe avuto minor valore. Sarebbe
forse nata una nazione Stato, ma sarebbe andato
perduto un popolo d'alta cultura.Per la nazione
tedesca fu meglio che questo processo di mescolanza sia
fallito, se non in conseguenza d'un nobile pensiero, almeno grazie alla
miope meschinità degli Absburgo. Se
le cose fossero andate altrimenti, il popolo tedesco non conterebbe oggi tra i
fattori della civiltà.Non solo in Austria ma anche in
Germania i cosiddetti circoli nazionali professano simili idee del tutto false.La politica polacca, da tanti approvata, nel senso di una germanizzazione dell'Oriente si fondò, purtroppo, quasi sempre su questo sofisma. Anche
qui si credette di poter germanizzare
l'elemento polacco medesimo. E anche qui il risultato fu infelice: si ebbe un
popolo di altra razza esprimente in lingua tedesca
pensieri estranei ai tedeschi, compromettente col suo minor valore l'altezza e
la dignità della nostra propria nazione.Terribile è
già oggi il danno che sofferse per via indiretta il germanesimo
in causa del fatto che gli ebrei masticanti il tedesco, quando entrano in
America sono scambiati per Tedeschi da molti Americani ignoranti delle cose
nostre. Ma a nessuno verrà in mente di trovare la prova della
origine e nazionalità tedesca di questi pidocchiosi immigrati, nella
circostanza che essi parlano tedesco.Ciò che nella
storia fu utilmente germanizzato fu il suolo, che i
nostri antenati conquistarono con la spada e colonizzarono con contadini
tedeschi. Quando iniettarono nel corpo della nostra nazione sangue straniero,
cooperarono a quel disgraziato frazionamento del nostro essere che si manifesta nel superindividualismo tedesco, purtroppo ancor
oggi spesso esaltato.Anche in questo terzo gruppo lo
Stato è pur sempre, in certo modo, fine a se stesso, e la conservazione dello
Stato è la più alta metà dell'esistenza umana.Concludendo,
si può stabilire che tutte queste concezioni non hanno le loro radici profonde
nel riconoscimento che le forze foggianti la civiltà e i valori si basano
essenzialmente su elementi razziali e che quindi lo Stato deve considerare sua
missione suprema la conservazione e l'elevamento della razza, condizione
preliminare di ogni sviluppo della civiltà umana.Quindi, l'ebreo Marx poté trarre la conseguenza
estrema di quelle false concezioni e idee sull'essenza e sullo scopo d'uno
Stato: il mondo borghese, abbandonando il concetto politico delle oblazioni di
razza, senza poter trovare un' altra formula da tutti accettata, spianò la via
ad una dottrina negante lo Stato in sé.Già per questo
e su questo campo la lotta del mondo borghese contro l'Internazionale marxista
è destinata a fallire. Il mondo borghese ha da lungo tempo sacrificato le
fondamenta indispensabile a sostenere il suo stesso mondo di idee.
Il suo scaltro avversario s'è accorto della debolezza della sua costruzione ed
ora la attacca con le armi che esso medesimo gli ha involontariamente fornite.Quindi, il primo dovere d'un nuovo movimento basato
su una concezione razzista del mondo è quello di fare in modo che la nozione
dell'essenza e dello scopo della esistenza dello Stato
assuma una forma chiara ed unitaria.Bisogna anzitutto
riconoscere questo, che lo Stato non rappresenta un fine ma un mezzo. Esso è la
premessa della formazione d'una superiore civiltà
umana, ma non è la causa di questa. La causa è riposta solo nella presenza d'una razza idonea alla civiltà. Quand'anche si trovassero sulla Terra centinaia di Stati-modello,
nel caso che si spegnesse l'Ario portatore di civiltà non sussisterebbe nessuna
civiltà rispondente all'altezza spirituale degli odierni popoli superiori. Si
può andare ancor oltre e dire che il fatto della formazione di Stati non
escluderebbe appunto la possibilità dell'annientamento del genere umano
se andassero perdute le facoltà intellettuali superiori e l'elasticità, in
conseguenza della mancanza d'una razza che le porti in
sé.Se, per esempio, oggi la superficie della terra
fosse scossa da un fatto sismico, e dalle onde dell'oceano si sollevasse un
nuovo Himalaia, una sola crudele catastrofe annienterebbe l'umana civiltà.
Nessuno Stato potrebbe più sussistere; sarebbero infranti tutti i vincoli
dell'ordine, frantumati i documenti d'un'evoluzione
millenaria, la Terra sarebbe un unico grande cimitero inondato
dall'acqua e dal fango. Ma se da questo orribile caos
si salvasse anche solo pochi individui d'una determinata razza capace di
civiltà, la Terra, sia pure dopo migliaia d'anni, quando si fosse calmata
conserverebbe testimonianze di una umana forza creatrice. Solo la distruzione
dell'ultima razza capace di civiltà e degli individui che la compongono
apporterebbero alla Terra la desolazione definitiva. Viceversa vediamo, dagli
esempi stessi che il presente ci offre, che formazioni statali ai loro inizi
per la mancanza di genialità nei portatori della loro razza non seppero
conservare questi ultimi. Come grandi varietà di animali
preistorici dovettero cedere ad altre e sparirono senza lasciar traccia, così
anche l'uomo deve cedere, se gli manca una determinata forza spirituale la
quale sola gli fa trovare le armi necessarie alla propria conservazione.Non lo Stato in sè crea una
determinata altezza di civiltà; esso può solo conservare la razza che è
condizione di quest'altezza. In caso diverso lo Stato
può continuare a sussistere, come tale, per secoli, mentre, perchè
non gli fu vietata una mescolanza di razze, la
capacità di cultura e la vita d'un popolo condizionata da questa hanno già da
lungo tempo sofferti profondi mutamenti. Lo stato odierno, per esempio, può,
come meccanismo formale, seguitare per secoli ad esistere, ma l'intossicazione
razziale del corpo della nostra nazione opera una decadenza culturale che già
oggi si rivela spaventosa.Così, la premessa
dell'esistenza d'un' umanità superiore non è lo Stato
ma la nazione, solo capace di addurla.Questa capacità
è sempre presente, ma deve essere destata all'azione pratica da determinare
condizioni esteriori. La nazione o, meglio, le razze dotate di qualità
creatrici portano in sé, latenti, queste condizioni, anche se, in un dato
momento, sfavorevoli circostanze esterne non permettono alle loro buone
disposizioni di realizzarsi. E' una incredibile
stoltezza il rappresentante come incivili, come barbari i Germani dei tempi
anteriori al cristianesimo. Non furono mai tali. Ma la asprezza
del loro clima nordico li costrinse a condizioni di vita ostacolanti lo
sviluppo delle loro forze creatrici. Se fossero giunti nelle miti terre del sud
e nel materiale di popoli inferiori avessero trovate
le prime risorse tecniche, la capacità di cultura sonnecchiante in essi,
avrebbe prodotto una splendida fioritura, come avvenne, per esempio, ai Greci.Ma questa stessa forza
primordiale, creatrice di civiltà, non dipende solo dal clima nordico. Un
Lappone, trasferito nel sud, non sarebbe, più d'un
Eschimese, creatore di civiltà. No, questa meravigliosa facoltà di creare è
donata precisamente all'Ario, sia ch'egli la porti in
sé sonnecchiante o sia che la desti alla vita, secondo che le circostanze
favorevoli glielo permettono o una matrigna Natura glielo vieta. Da ciò segue
questa nozione:Lo stato è un mezzo per raggiungere un
fine. Il suo fine consiste nella conservazione e nello incremento
d'una comunità conducente una vita fisica e morale omogenea. Questa stessa
conservazione include l'esistenza d'una razza e con ciò
permette il libero sviluppo di tutte le forze sonnecchianti in questa
razza. Una parte di queste servirà sempre in prima linea alla conservazione
della vita fisica, mentre l'altra promuoverà la continuazione dello sviluppo
intellettuale. in realtà però, l'una delle parti crea
le premesse dell'altra.Gli Stati che non servono a
questo scopo sono fenomeni male riusciti, sono aborti. Ciò non è mutato dal
fatto della loro esistenza, così come il successo d'un'associazione
di filibustieri non può giustificare la pirateria o la rapina. Noi nazional-socialisti,
quali campioni d'una nuova concezione, non dobbiamo
mai metterci sul famoso, e per di più falso, "terreno dei fatti". Altrimenti non saremmo più i campioni d'una nuova grande
idea ma i "coolies" dell'odierna menzogna.
Dobbiamo distinguere con la massima nettezza fra lo Stato, che è un recipiente,
e la razza, che è il contenuto. Questo recipiente ha un senso solo se è capace
di contenere e salvaguardare il contenuto; in caso diverso, non ha valore.Lo scopo supremo dello Stato nazionale è
quello di conservare quei primordiali elementi di razza che, quali donatori di
civiltà, creano la bellezza e la dignità d'una umanità
superiore. Noi, Arii, in uno Stato possiamo solo
raffigurarci l'organismo vivente di una nazione: organismo che non solo
assicura la durata di questa nazione, ma la conduce alla suprema libertà
sviluppandone le capacità spirituali e ideali. Ciò che oggi si vuol far
passare per Stato non è altro che l'aborto di gravi
aberrazione umane, e ha per conseguenza indicibili patimenti.Noi
nazional-socialisti sappiamo di essere ostili nel
mondo odierno, a questa concezione, e siamo bollati come rivoluzionari. Ma il
nostro pensiero e le nostre azioni non debbono affatto
dipendere dal plauso o dalla disapprovazione del tempo nostro, ma dai nostri obblighi
verso una verità che abbiamo riconosciuta. Dobbiamo convincerci che i posteri,
meglio giudicandoci, non solo comprenderanno la nostra condotta ma la troveremo giusta e la esalteranno.Da
ciò risulta pure, per noi nazional-socialisti, il
criterio per valutare uno Stato. Il valore d'uno Stato
sarà relativo, se partiremo dal punto di vista della singola nazione; sarà
assoluto se partiremo da quello dell'umanità in sé. In altre parole:La bontà d'uno Stato non può essere valutata dall'altezza
della sua cultura o dall'importanza della sua potenza nella cornice del resto
del mondo, ma unicamente dal grado di bontà delle sue istituzioni per la
nazione di cui si tratta.Uno Stato può essere
considerato esemplare se è conforme alle condizioni di vita della nazione che
deve rappresentare e se, in pratica, proprio mediante la sua esistenza conserva
in vita quella nazione: qualunque sia l'importanza culturale spettante a tale
Stato nella cornice del resto del mondo. Perché non è compito dello Stato il
generare capacità, suo compito è quello di aprire strada libera alle forze già esistenti.Viceversa, può essere definito cattivo uno Stato
che, sebbene di alta civiltà, consacra al tramonto il
portatore di questa civiltà nella sua composizione razziale. Perché con ciò distrugge praticamente la condizione preliminare dell'ulteriore
esistenza di questa civiltà, che lo Stato non creò e che è il frutto d'una
nazione creatrice di cultura, garantita dal vivente organismo statale che la
compendia in sé. Lo stato per sé non costituisce un contenuto, ma una forma. Dunque, la temporanea altezza della civiltà d'un popolo non offre
il criterio della bontà dello Stato, in cui questo popolo vive. E' comprensibile che un popolo dotato
d'alta cultura abbia maggior valore d'una tribù di negri;
tuttavia l'organismo statale di quello, dal punto di vista della realizzazione
dei suoi scopi, può essere peggiore di quello della tribù negra. Il migliore
Stato e la migliore forma statale non sono in grado di ricavare da un popolo faacoltà che gli mancano e che non
vi esistettero mai. Invece uno Stato cattivo è in grado di fare scomparire
facoltà che in origine esistevano, permettendo o
favorendo la soppressione dei portatori della civiltà della razza. Inoltre, il giudizio sulla bontà d'uno Stato può solo essere determinato, in prima linea,
dalla relativa utilità che esso possiede per un dato popolo e non già dal
valore che gli è assegnato nel mondo. Questo
giudizio relativo può essere formato presto e bene; mentre il giudizio sul
valore assoluto è assai difficile da formare, perché è condizionato non più
soltanto dallo Stato, ma anche dalla bontà e dall'altezza morale della nazione. Quindi, se si parla d'un'alta missione dello Stato, non si deve dimenticare che
l'alta missione si trova soprattutto nella nazione, alla quale lo Stato deve
solo rendere possibile, con la forza organica, della propria esistenza, il
libero sviluppo. E se ci chiediamo
come debba essere configurato lo Stato di cui noi Tedeschi abbiamo bisogno,
dobbiamo prima renderci ben chiaro quali uomini lo
Stato debba comprendere e a quale scopo debba servire. Purtroppo, la nostra nazione tedesca, non è più fondata su un
nucleo razziale unitario. Il processo di fusione dei diversi elementi originari
non è tanto progredito, però, che si possa parlare di una nuova razza da esso formata. All'opposto! Le intossicazioni del sangue
sofferte dal corpo della nostra nazione, specialmente dopo la guerra dei Trent'anni, decomposero non solo il sangue tedesco, ma
anche l'anima tedesca. I confini aperti della nostra patria, il fatto di
appoggiarsi a corpi estranei non germanici lungo i territori di confine, ma
soprattutto il forte continuo afflusso di stranieri nell'intero Reich, afflusso sempre rinnovato, non lasciarono tempo
disponibile per un'assoluta fusione. Non fu prodotta una nuova razza, ma gli
elementi razziali rimasero gli uni accanto agli altri, col risultato che, in
modo particolare nei momenti critici, nei quali ogni armeno suole adunarsi, il
popolo tedesco si disperde in tutte le direzioni. Gli
elementi razziali sono diversamente stratificati non solo nei diversi
territori, ma anche in ogni singolo territorio. Accanto a
uomini nordici si trovano uomini orientali; accanto agli orientali, dinarici; accanto a costoro, uomini occidentali, e ,fra tutti
, miscele umane. Ciò è di grave danno: manca al popolo tedesco ogni sincero
istinto di armamento facendo tacere i gradi e piccoli
dissensi interni e opponendo al comune nemico la chiusura fronte di un armento
unitario. Nel groviglio dei nostri
fondamentali elementi di razza, che rimasero non mescolati, si trova il
fondamento di ciò che noi designiamo con la parola
"superindividualismo": esso, in tempo di pace, può rendere buoni
servigi, e, in fondo, ci condusse alla egemonia
mondiale. Se il popolo tedesco, nel suo sviluppo storico, avesse posseduto quella unità di armento che possedettero altri popoli, oggi
il Reich tedesco sarebbe padrone della Terra.La storia mondiale avrebbe seguito un altro corso, e
nessuno può dire se per questa via non si sarebbe verificato
ciò che tanti ciechi pacifisti sperano oggi di ottenere piagnucolando e
mendicando: una pace non appoggiata agli scodinzolamenti
di lacrimose prefiche pacifiste, ma fondata dalla vittoriosa spada di un popolo
di dominatori, che s'impadronisce del mondo per servire ad una superiore
civiltà. La mancanza di una nazione
avente unità di sangue fu per noi causa di indicibile
sofferenze. Ha donato metropoli, per risiedervi, a molti potentati
tedeschi, ma ha privato il popolo tedesco del diritto di dominare. Ancor oggi il nostro popolo soffre di questa interna lacerazione, di questo disgregamento. Ma ciò che ci apportò sventura nel passato e nel presente può
formare la nostra fortuna nel futuro. Perché, se, da un lato, fu funesto
il fatto che non abbia avuto luogo una totale fusione
dei nostri originari elementi di razza e quindi non si sia prodotta la
formazione unitaria del nostro popolo, fu, d'altro lato, una ventura che almeno
una parte del nostro miglior sangue sia, con ciò, rimasta pura e sia sfuggita
all'abbassamento razziale. Certo, dall'assoluta mescolanza dei nostri primordiali
elementi di razza sarebbe risultato un corpo nazionale chiuso, ma esso, come
prova di ogni incrocio di razze, avrebbe avuto una capacità d'incivilimento
inferiore a quella che possedeva il più nobile fra tali elementi primordiali.
Qui sta la fortuna del fallimento d'una totale mescolanza: oncor
oggi noi possediamo nel nostro corpo nazionale tedesco grandi elementi, rimasti
non mescolati, di uomini germanici del nord, nei quali
possiamo ravvisare il più prezioso tesoro per il nostro avvenire. Nei torbidi
tempi dell'ignoranza di tutte le leggi di razza,
quando il valore d'un uomo appariva eguale a quello d'un altro, la chiara
conoscenza del diverso valore dei singoli elementi fondamentali mancava. Ma
oggi sappiamo che l'assoluta mescolanza degli elementi del nostro corpo
nazionale avrebbe (in grazia della unità che ne
sarebbe risultata) apportata forse la potenza esterna, ma avrebbe resa
irraggiungibile la più alta metà dell'umanità, perché quello che fu scelto
visibilmente dal Destino per raggiungerla sarebbe perito nella generica
poltiglia di razze della nazione unitaria. Ma ciò
che, senza nostro concorso, fu impedito da una propizia sorte, dobbiamo
esaminare e valutare oggi noi, partendo dalle cognizioni ormai acquisite. Chi parla d'una
missione del popolo tedesco sulla Terra, deve sapere che questa può solo
consistere nella formazione d'uno Stato ravvisante il suo compito supremo nella
conservazione e nell'incremento degli elementi più nobili, rimasti illesi,
della nostra nazione; anzi, dell'intera umanità. Con ciò lo Stato riceve, per la prima volta, un alto intimo scopo.
Di fronte alla ridicola parola d'ordine di assicurare la calma e l'ordine onde rendere possibili reciproci imbrogli, appare una
missione realmente elevata quella di conservare e promuovere un'umanità
superiore, donata a questa Terra dalla bontà dell'Onnipotente. Un meccanismo morto, che pretende di
esistere solo per amor di se stesso, deve diventare un organismo vivente con
l'unico scopo di servire un'idea superiore.Il Reich tedesco deve, come lo Stato, comprendere tutti i
Tedeschi, col compito non solo di raccogliere e conservare di questo popolo i
più preziosi fra gli elementi originari di razza, ma di sollevarli, con
lentezza ma in modo sicuro, ad una posizione di predominio. Così, ad una situazione statica, di irrigidimento,
succede un periodo di lotta. Ma, come sempre ed in ogni cosa, vale qui il
proverbio"chi sta fermo arrugginisce"; ed è sempre vero che "la
vittoria sta nell'attacco". Quando più è alta la meta della lotta che ci
splende dinanzi agli occhi, e quando minore è la comprensione che ne ha in
questo momento la vasta massa, tanto è, come insegna la storia mondiale, il
successo: e tanto maggior valore ha questo successo
quando lo scopo è esattamente afferrato e la battaglia è condotta con
incrollabile tenacia. Per molti dei
funzionari che oggi dirigono lo Stato può essere più tranquillante il battersi
per la conservazione del regime esistente che il lottare per un futuro. Ad essi apparirà molto più comodo il vedere nello Stato un
meccanismo che esiste solo per conservarsi in vita, così come, viceversa, la
loro vita "appartiene allo Stato", come essi sogliono dire: quasi che
ciò che è germogliato dalla nazione potesse logicamente servire ad altro che
alla nazione, e come se l'uomo potesse operare per altri che per l'uomo. Come
dissi, è naturale che sia più facile ravvisare nell'autorità statale niente altro che il formale meccanismo d'un'organizzazione,
che la suprema incarnazione dell'istinto della propria conservazione d'un
popolo sulla Terra. Perché, nel primo caso, per quegli spiriti deboli lo Stato
e l'autorità statale sono già scopi in sé,
mentre nel secondo caso sono solo la formidabile arma a servizio della grande
eterna lotta per l'esistenza, un'arma alla quale ognuno deve adattarsi perché
non è meccanica e formale ma è l'espressione d'una comune volontà di conservare
la vita. Quindi,
nella lotta per la nostra nuova concezione che risponde al primordiale
significato delle cose, troveremo solo pochi commilitoni in una società che non
solo fisicamente ma spesso (purtroppo!) moralmente è decrepita. Solo uomini
d'eccezione, vecchi dal cuore giovane e dalla mente rimasta fresca, verranno a
noi da quei ceti, ma non coloro che ravvisano compito
della loro vita conservare una situazione già esistente.Sta
di fronte a noi la sterminata schiera non tanto dei
cattivi e dei maligni quanto dei pigri di pensiero, degli indifferenti e degli
interessati alla conservazione dell'attuale stato delle cose. Ma appunto nella apparente mancanza di probabilità di successo della
nostra battaglia si trova la grandezza del nostro compito ed anche la
possibilità del successo. Il grido di battaglia, che allontana gli spiriti meschini
o li intimorisce presto, diventa il segnale di raccolta dei veri temperamenti
battaglieri. Ci si deve render conto di questo: Quando un popolo presenta un determinata somma di altissima energia appuntata ad uno
scopo ed è sfuggito definitivamente all'ignavia delle vaste masse, i pochi
diventano padroni del gran numero. La storia del mondo è fatta da minoranze, se
nelle minoranze numeriche si incorpora la maggioranza
della volontà e della forza di decisione.
Quindi, ciò che oggi può a molti apparire molesto,
è in realtà la premessa della nostra vittoria. Appunto nella grandezza e nelle
difficoltà del nostro compito è risposta la probabilità che solo i migliori
combattenti si accingano a lottare per esso. E in questa selezione sta la garanzia del successo. In generale già la Natura prende certe
decisioni ed apporta certi emendamenti nel problema della purezza di razza di creature terrestri. Essa ama poco i bastardi, soprattutto
i primi prodotti di incroci, per esempio nella terza,
quarta, quinta generazione, debbono soffrire amaramente: non solo sono privi
del valore proprio del più nobile fra i primitivi elementi dell'incrocio, ma,
mancando loro l'unità del sangue, manca pure l'unità del volere e della forza
di decisione, necessariamente alla vita. In tutti i momenti critici, in cui
l'essere di razza pura prende decisioni giuste ed unitarie, l'essere di razza
mista diventa esitante e prende mezze misure. Ciò significa una certa
inferiorità della creatura di razza mista di fronte a
quella di razza unitaria, e nella pratica include anche la possibilità di un
rapido tramonto. In casi innumerevoli la razza tiene duro, mentre il bastardo
crolla. In ciò si deve ravvisare la correzione della Natura; la quale spesso va
ancor più lontano. Essa limita le possibilità di propagazione: sopprime le
fecondità di ulteriori incroci e li spinge alla
estinzione. Se, per esempio, un
individuo d'una razza si unisce ad uno di razza inferiore, ne risulterebbe in primo luogo l'abbassamento del livello in
sé, e, in secondo luogo, un indebolimento dei discendenti di fronte agli altri
individui rimasti pura razza. Se alla razza superiore
s'impedisce costantemente di apportare nuovo sangue, i bastardi o si
spegnerebbero in causa della loro minore forza di resistenza voluta dalla
saggia Natura o formerebbero, nel corso dei millenni, una nuova miscela, in cui
i singoli elementi originari sarebbero commisti in forza di molteplici incroci
e non sarebbero più riconoscibili. Così si sarebbe formata una nuova
nazione, d'una capacità di resistenza analoga a quella
degli armenti, ma assai minorata di valore spirituale e culturale a petto della
razza superiore, operante nel primo incrocio. Ma anche in questo caso il
prodotto misto soccomberebbe nella reciproca lotta per la esistenza,
quando trovasse un avversario in una unità di razza superiore, rimasta immune
da ogni mescolanza. La intima compattezza di questo nuovo
scopo, la compattezza da armento formatasi nel corso dei millenni, non
basterebbe, in conseguenza del generale abbassamento del livello della
razza e della diminuita elasticità intellettuale e facoltà di creazione, a
lottare vittoriosamente contro una razza altrettanto unitaria ma superiore
d'intelletto e di civilttà. Si può quindi enunciare la seguente valida proposizione: Ogni incrocio di razza conduce per
forza, prima o poi, al tramonto del prodotto misto,
finché la parte più nobile di questo stesso incrocio sussiste in una unitarietà
di razza. Il pericolo per il prodotto misto è eliminato solo nel momento in cui
la razza superiore si imbastardisce.In
ciò è fondato un lento processo di rigenerazione naturale, che a poco o poco
elimina le intossicazioni razziali, finché sussiste ancora una certa quantità di elementi di razza pura e non ha più luogo un ulteriore
imbastardimento.Questo processo può prodursi da sé in
creature fornite di un forte istinto di razza. Quando questa situazione forzosa
è terminata, la parte rimasta pura tenderà subito di nuovo all'accoppiamento
fra eguali, imponendo così fine ad un ulteriore mescolanza.
E con ciò i fatti di imbastardimento passano in
seconda linea, a meno che il loro numero si sia già tanto moltiplicato che non
possa più aver luogo una seria resistenza degli elementi rimasti di razza
pura. L'uomo che ha perduto l'istinto e misconosce l'obbligo impostogli
dalla Natura, in generale non può contare su questa correzione da parte della
Natura finché non ha sostituito con chiare cognizioni l'istinto perduto: spetta
allora a queste il fornire il necessario lavoro di riparazione. Tuttavia
permane il grave pericolo che chi è diventato cieco spezzi sempre più le
barriere di razza, e che anche l'ultimo resto della sua miglior parte finisca con l'andar perduto. In tal caso rimane solo più una
poltiglia, come sognano i famosi miglioratori contemporanei del mondo, per i
quali rappesenta l'ideale del nostro mondo. Certo: un
grosso armento potrebbe venir foggiato così, si può
creare un animale da armento, ma da uan miscela di
questo genere non risulta mai un uomo portatore di civiltà, creatore o
fondatore di civiltà. E la missione della umanità
potrebbe allora essere considerata finita.Chi vuole
che la terra vada incontro a questa sorte, deve professare la concezione che sia compito soprattutto dello Stato germanico quello di
fare in modo che sia imposto un termine definitivo ad ogni ulteriore
imbastardimento.La generazione dei nostri notori deboli d'oggi getterà alte grida contro queste
affermazioni, e si lagnerà di interventi nei più sacri diritti dell'uomo. No,
c'è un solo sacrosanto diritto dell'uomo, che è nello stesso tempo un
sacrosanto dovere, quello di provvedere perché il sangue resti puro,
affinché la conservazione della migliore umanità renda possibile un più nobile sviluppo dell'umanità stessaQuindi,
uno Stato nazionale dovrà in prima linea elevare il matrimonio dal livello d'un
costante scandalo per la razza, e dargli la consacrazione d'un istituto
chiamato a generare creature fatte ad immagine del Signore e non aborti fra
uomo e la scimmia. La protesta
contro ciò, fondata su motivi cosiddetti umani non è lecita
ad un'epoca che da un lato offre ad ogni degenerato la possibilità di
propagarsi, imponendo ai prodotti di costui e ai loro contemporanei ineffabili
patimenti, e dall'altro lato permette che in ogni drogheria e perfino dai
mercanti di strada si vedano a buon mercato intrugli per impedire le nascite
anche in genitori sani. Nell'odierno Stato della tranquillità e dell'ordine,
agli occhi dei rappresentanti di questo bel mondo nazional-borghese,
è dunque un delitto l'impedire la capacità di
generazione nei sifilitici, tubercolosi, in quelli aventi tare ereditarie, nei
deformi e nei cretini, mentre l'interruzione pratica della facoltà di generare
in milioni di persone sane non è considerata cosa condannabile e non urta
contro i buoni costumi di questa ipocrita società, anzi giova alla miope
pigrizia del pensiero. Perché altrimenti ci si
dovrebbe stillare il cervello su questo problema: come si possano creare le
premesse del nutrimento e della nostra nazionalità, dovranno un giorno
assolvere la stessa funzione di fronte alla generazione successiva? Ma questo
sistema è ignobile e privo d'ogni ideale. Non ci si sforza più di educare i
migliori per la posterità, ma si lascia che le cose vadano come vogliono. Anche
le nostre Chiese peccano contro l'immagine di Dio, benché ne accettino
il valore, e ciò risponde alla loro attuale condotta: esse parlano sempre dello
spirito ma lasciano degenerare in un abbruttito proletario il portatore dello
spirito, l'uomo. E poi facciamo gli stupidi, con
sciocchi volti, sulla poca influenza della fede cristiana nel nostro paese,
sull'"ateismo" di questa gente male conciata nel corpo e quindi anche
demoralizzata spiritualmente, e cerchiamo un compenso nel convertire
Ottentotti, Zulù e Cafri con la benedizione della
Chiesa. Mentre, grazie a Dio, i nostri popoli europei cadono in uno stato di
lebbra fisica e morale, il poi missionario emigra nell'Africa centrale e fonda
missioni per Negri: così la nostra "civiltà superiore" farà anche
colà, di uomini sani sebbene primitivi e incolti, una
putrida razza di bastardi. Sarebbe
più conforme al senso di quanto ha di più nobile sulla terra, questo: che le
nostre due Chiese cristiane, invece di molestare i Negri con missioni dai Negri
non desiderate né comprese, insegnassero, con bontà ma
con serietà, alla nostra umanità europea che, quando i genitori non sono sani,
è opera più gradita a Dio l'aver pietà d'un piccolo orfano sano e donargli un
padre e una madre che mettere al mondo un bimbo malato, apportatore di
sofferenze e di sventure a sé e agli altri.
Lo Stato nazionale deve ricuperare ciò che oggi, su questo campo, è
trascurato da tutte le parti. Deve mettere la razza al centro della vita
generale. Deve darsi pensiero di conservarla pura. Deve dichiarare che il
bambino è il bene più prezioso d'un popolo. Deve fare
in modo che solo chi è sano generi figli, che sia scandaloso il mettere al mondo bambini quando si è malati o difettosi, e che nel
rinunziare a ciò consista il supremo onore. Ma,
viceversa, deve essere ritenuto riprovevole il sottrarre alla nazione bambini
sani. Quindi lo Stato deve presentarsi come il preservatore di un millenario
avvenire, di fronte al quale il desiderio e l'egoismo dei singoli non contano
nulla e debbono piegarsi. Lo Stato deve valersi, a
tale scopo, delle più moderne risorse mediche. Deve dichiararsi incapace di
generare chi è affetto da visibile malattia o portatore di tare ereditarie e
quindi capace di tramandare ad altri queste tare, e provocare praticamente questa incapacità. Deve, d'altro lato,
provvedere che la fecondità della donna sano non venga
limitata dalla sconcia economica e dalla finanza d'un regime statale che di
quella benedizione che è il bambino fa una maledizione per i genitori. Deve
eliminare questa pigra, criminale indifferenza con cui si trattano oggi le
premesse sociali dell'abbondanza di figli, deve posare da supremo protettore di
questa massima fortuna d'un popolo. Deve preoccuparsi
più del bambino che dell'adulto.Chi non è sano e
degno di corpo e di spirito, non ha diritto di perpetuare le sue sofferenze nel
corpo del suo bambino. Qui. lo Stato nazionale deve
fornire un enorme lavoro educativo, che un giorno apparirà quale una opera
grandiosa, più grandiosa delle più vittoriose guerre della nostra epoca
borghese. Lo Stato deve, con l'educazione, insegnare agli individui che l'esser
malati e deboli non è una vergogna, ma è solo una disgrazia meritevole di
compassione, e che è delitto e vergogna il disonorarsi e il
dar prova d'egoismo imponendo la malattia e la debolezza a creature
innocenti. E che quindi è prova di
nobiltà, di mentalità elevata e di umanitarismo degno
d'ammirazione il fatto che chi senza colpa sua è malato, rinunziando ad avere
figli propri, doni il suo affetto e la sua tenerezza ad un piccolo, povero,
sconosciuto rampollo della sua nazione, sano e promettente de essere un giorno
robusto membro di una forte comunità. E lo Stato deve ravvisare in questo
lavoro di educazione l'integrazione spirituale della
sua attività pratica. Deve agire in questo senso, senza riguardo a comprensione
o incomprensione, a consensi o dissensi.
Basterebbe impedire per i secoli la capacità e la facoltà di generare nei
degenerati di corpo e nei malati di spirito per liberare l'umanità da
un'immensa sventura e per condurla ad uno stato di sanità oggi quasi
inconcepibile. Quando sarà realizzata, in modo cosciente e metodico, e favorita
la fecondità della parte più sana della nazione, si avrà una razza che, almeno
in principio, avrà eliminati i germi dell'odierna
decadenza fisica e morale. Se una nazione o uno Stato si mette per questa via, volgerà
poi da sé la sua attenzione all'accrescimento del nucleo della nazione più
prezioso dal punto di vista della razza e all'aumento della sua fecondità; e in
ultimo l'intera nazione godrà la fortuna d'un tesoro razziale nobilmente
forgiato. La via conducente a ciò è
questa, che lo Stato non abbandoni al caso la colonizzazione
di paesi di nuovo acquisto ma la assoggetti a norme particolari. Commissioni
opportunamente composte debbono rilasciare ai singoli
l'attestato di colonizzazione; e l'attestato deve essere connesso con una
purità di razza da stabilire. Così si potrebbero, per gradi, fondare colonie
marginali, i cui abitanti fossero di razza purissima e quindi possedessero le
migliori qualità della razza. Esse sarebbero un prezioso tesoro nazionale della
collettività popolare; il loro sviluppo riempirebbe di gioia, di fiducia e
d'orgoglio ciascun membro della nazione, ed in esse
giacerebbe pure il germe di un grande futuro sviluppo della nazione e
dell'umanità intera. Infine, nello
Stato nazionale la concezione razzista deve riuscire ad affrettare quella
nobile d'epoca in cui gli uomini non si occuperanno più dell'allevare cani,
cavalli e gatti, ma dall'elevare condizione dell'uomo stesso; epoca che sarà
per gli uni di silenziosa e saggia rinunzia, per gli altri di doni e sacrifici
gioiosi. Non è contestabile che ciò
sia possibile in un mondo in cui centinaia di migliaia di uomini
si impongono volontariamente il celibato, senza altro obbligo o vincolo che un
comandamento della Chiesa. Non sarà possibile un eguale rinunzia se invece di
tale comandamento si presenta quello di metter fine al peccato originale,
tuttora operante, dell'avvelenamento della razza e di donare all'onnipotente
Creatore esseri quali egli stesso creò? Certo, il miserabile esercito dei piccoli borghesi di oggi non comprenderà mai queste cose. Ne rideranno o crolleranno le spalle storte o gemeranno i loro
eterni discorsi: "sarebbe, in sé, una cosa
bellissima, ma è irrealizzabile!" Certo, con voi è irrealizzabile, il
vostro mondo è incapace di realizzarla! Per voi c'è una sola
preoccupazione: la vostra vita personale; e un solo Dio: il vostro denaro!
Ma noi non ci rivolgiamo a voi, ma al grande stuolo di coloro che son troppo poveri perché la loro vita personale significhi
la suprema felicità della Terra, a quelli che adorano non il denaro ma altri
Dei, ai quali affidano la loro esistenza. Anzitutto ci
rivolgiamo al formidabile esercito della nostra gioventù tedesca. Essa matura
in una grande epoca, e si batterà contro i mali dovuti
alla pigrizia e all'indifferenza dei suoi padri. La gioventù tedesca o sarà un
giorno la costruttrice d'un nuovo Stato nazionale o
sarà l'ultimo testimonio del completo crollo, della fine del mondo borghese. Perché, quando una generazione soffre di errori che riconosce ed ammette, e tuttavia, come avviene
dell'odierno mondo borghese, si contenta di dichiarare che non c'è nulla da
fare per ripararli, è segno che la società così fatta è destinata a perire. Ma è caratteristico del nostro mondo borghese appunto
questo, che non può più negare la propria fragilità. Esso deve ammettere che
molte cose sono putride e cattive, ma non sa ancora risolversi ad insorgere
contro il male, ad adunare con aspra energia la forza
d'un popolo di sessanta o settanta milioni e a stornare così il pericolo.
All'opposto: se ciò avviene in altri paesi, si fanno solo sciocchi commenti e
si cerca di dimostrare da lontano l'impossibilità teorica di quanto è accaduto
e di dichiararne inverosimile la buona riuscita. Ogni più stupido motivo serve
d'appoggio alla loro meschinità di nani e alle loro disposizioni mentali. Se, per esempio, un intero continente muove guerra
all'intossicazione alcolica, onde strappare un popolo agli artigli di quel
vizio devastatore, il nostro borghese mondo europeo non sa far altro che
sbarrare agli occhi e scuotere la testa, con un sorriso di superiorità trova
ridicola la cosa, e ciò fa un bell'effetto in una
società così ridicola! Ma se tutto ciò serve a niente e in qualche punto del mondo
si agisce contro il sublime e intangibile andazzo generale, e con successo,
allora, come dissi, si mette in dubbio almeno il successo e lo
si abbassa, e non si esita a contrapporre punti di vista della morale
borghese au una lotta mirante a sopprimere una
grandiosa immortalità. No, su questo
non dobbiamo farci illusioni, l'attuale borghesia è già diventata senza valore
per ogni alto compito dell'umanità, semplicemente perché è priva di qualità,
cattiva: e, a parer mio, è tanto cattiva meno per cattiveria voluta che in
conseguenza d'una incredibile indolenza e di tutto ciò
che ne deriva. Quindi, anche quei club politici che vanno sotto il nome di
"partiti borghesi" già da tempo non sono
altro che comunità d'interessi di determinati ceti sociali e gruppi di
professionisti, e il loro più sublime compito è solo quello di rappresentare
come meglio possono egoistici interessi. E' evidente che una simile Gilda
borghese politicante è idonea a tutto piuttosto che alla lotta: soprattutto
quando la parte avversaria è composta non di prudenti mercantucoli
ma di masse proletarie aizzante e disposte ad ogni
atto estremo. Se riconosciamo quale prima missione dello
Stato al servizio e per il bene del popolo la conservazione, la cura e lo
sviluppo dei migliori elementi della razza, è naturale che le provvidenze
statali debbano estendersi fino alla nascita del piccolo rampollo della nazione
e della razza e che lo Stato debba altresì fare, l'educazione, del giovanetto
un prezioso elemento della ulteriore propagazione della
stirpe. E come, in generale si trova
nella qualità di razza d'un dato materiale umano, così
anche nell'individuo si deve anzitutto tener d'occhio e favorire la sanità
corporea. Perché lo spirito sano e forte si trova solo nel
corpo forte e sano. Il fatto che talora i geni furono
solo nel corpo poco sano o magari infermo, non dice nulla di contrario.
Qui si tratta solo di eccezioni che, come sempre,
confermano la regola. Ma quando la massa d'un popolo è
composta di degenerati, è ben raro che da un simile pantano si levi un grande
spirito. e in ogni caso le sue azioni non avranno
grande successo. Il volgo obietto o non lo comprenderà
o sarà di volontà così debole da non poter tenere dietro all'alto volo d'una
simile aquila. Lo Stato nazionale
deve, in questo riconoscimento, dirigere il suo complessivo lavoro di educazione in prima linea non ad inculcare semplici
cognizioni ma ad allevare corpi sani. Solo dopo, in seconda linea, viene lo
sviluppo delle capacità spirituali. E qui deve essere
favorita la forza della volontà e della decisione, e l'educazione deve
insegnare la gioia della responsabilità: ultima deve venire l'istruzione
scientifica. Dunque,
lo Stato nazionale deve partire dalla premessa che un uomo di minor cultura
scientifica ma di corpo sano, di carattere buono e saldo, lietamente deciso e
volitivo, ha per la comunità nazionale maggior pregio che un debole
intelligente e raffinato. Un popolo di dotti, che per di più fossero
pacifisti poltroni, degenerati nel corpo e deboli di volontà, non solo non conquisterà
il cielo ma non si assicurerà l'esistenza nemmeno su questa terra. E' raro che
nelle gravi avversità soccomba colui che sa meno;
soccombe colui che dal suo sapere trae deboli conseguenze e le traduce
pietosamente in atto. Infine, anche qui deve esistere una determinata armonia.
Un corpo imputridito non sarà punto reso più estetico da uno spirito radioso;
anzi, la più alta formazione spirituale non potrebbe giustificarsi se nello
stesso tempo i suoi portatori fossero deformi, storpi, privi di carattere , esitanti e codardi. Ciò che rende immortale l'ideale
greco della bellezza è la meravigliosa unione di una
splendida bellezza è la meravigliosa unione di una splendida bellezza fisica
con uno spirito brillante e un'anima nobilissima. Se vale il motto di Moltke: "A lungo andare, solo
il capace ha fortuna", vale certo per i rapporti fra corpo e spirito:
anche lo spirito, se è sano, a lungo andare abiterà, di regola in un corpo
sano. Quindi, l'educazione fisica
del corpo non è nello Stato nazionale compito dell'individuo, né affare
riguardante in prima linea i genitori e solo in seconda o terza linea la
generalità; è una esigenza della conservazione del
popolo, rappresentato e protetto dallo Stato. Già oggi, per quanto riguarda il
perfezionamento puramente scientifico, lo Stato interviene nel diritto di autodecisione dell'individuo e tutela, di fronte a
questo, il diritto della collettività, in quanto che, piaccia o no ai genitori,
obbliga il fanciullo a frequentare la scuola. Allo stesso modo, e in misura
assai più alta, lo Stato nazionale dovrà un giorno far prevalere la sua
autorità di fronte all'ignoranza o alla incomprensione
dei singoli nei problemi della salvezza della nazione. Esso dovrà distribuire
il suo lavoro educativo in modo che i giovani corpi vengano
rafforzati e temprati per la vita ulteriore. Soprattutto dovrà vigilare perché
non venga educata una generazione di sgobboni. Questo lavoro di allevamento
e di educazione deve iniziarsi già presso la giovane madre. Come fu possibile,
grazie ad un accurato lavoro di decenni, eliminare l'infezione dai parti e
restringere a pochi casi la febbre puerperale, così sarà e deve essere
possibile introdurre, grazie ad una opportuna
educazione delle sorelle e della madre stessa, già nei primi anni del bambino
un trattamento che servirà di ottima base per il futuro sviluppo. In uno Stato nazionale, la scuola deve
lasciare libero per l'educazione fisica un tempo di gran
lunga maggiore. Non è necessario riempire i giovani cervelli d'una
zavorra di cui, come insegna l'esperienza, riterranno solo la minima parte e
non riterranno l'essenziale ma solo le cose secondarie, poiché il fanciullo non può fare una ragionevole selezione delle
materie che gli vengono inculcate. Oggi, anche nel programma delle scuole medie,
alla ginnastica cono riservate due scarse ore
settimanali e la frequentazione dei corsi di ginnastica non è nemmeno
obbligatoria; ma questo è un grosso malinteso, dovuto all'educazione puramente
intellettuale. Non dovrebbe passare un solo giorno senza che il giovanetto
ricevesse almeno un'ora d'educazione fisica al mattino
e alla sera, in ogni genere di sport e di ginnastica. E
conviene, soprattutto non dimenticare uno sport che appunto agli occhi di molti
"nazionali" passa per rozzo e spregevole: il pugilato. E'
incredibile, quante false opinioni siano diffuse sulla
boxe nei circoli "colti". E' considerata cosa naturale ed onorevole
questa, che il giovane impari a tirar di scherma e se ne vanti; ma la boxe è
ritenuta volgare. Perché? Nessun altro sport desta in
così alto grado lo spirito di assalto, esige così
fulminea decisione, rende forte e flessibile il corpo. Se due giovani decidono coi pugni un dissenso non commettono un atto più rozzo che
se lo decidessero con un affilato pezzo di ferro. E un
aggredito, se si difende dall'assalitore col pugno, non si comporta meno
nobilmente che se scappasse e chiamasse in aiuto una guardia. Ma il ragazzo giovane e sano deve anche imparare a
sopportare i colpi. Ciò apparrà cosa selvaggia agli odierni combattenti dello
spirito. Ma lo Stato nazionale non ha il compito di educare una colonia di atleti pacifisti e di degenerati: esso non ravvisa
l'ideale umano in onesti piccoli borghesi o in vecchie virtuose zitelle ma
nella audace personificazione della forza civile e in donne capaci di mettere
al mondo uomini. In genere, lo sport
deve non solo rendere forte, agile e ardito il singolo, ma anche indurire il
corpo e insegnare a sopportare le intemperie. Se il nostro ceto intellettuale non avesse ricevuto un'istruzione
così distinta e avesse invece imparata la boxe, non
sarebbe mai stato possibile ai lenoni, ai disertori e simili canaglie di fare
una rivoluzione in Germania. Perché la vittoria della rivoluzione non fu dovuta ad una azione coraggiosa, energica, ardita dei
suoi autori ma alla codarda, pietosa irresolutezza di coloro che dirigevano lo
Stato e ne erano responsabili. Ma i nostri dirigenti
spirituali avevano appunto ricevuto solo un'educazione "spirituale" e
perciò si trovarono sconcertati nel momento in cui gli avversari posero mano
non alle armi spirituali ma ai randelli. E ciò fu possibile appunto perché la
nostra istruzione scolastica superiore non educava uomini ma funzionari,
ingegneri, tecnici, chimici, letterati, giuristi, e, perché questo ceto di intellettuali non si spegnesse, professori. I nostri dirigenti spirituali
fornirono sempre prestazioni magnifiche, mentre i dirigenti della nostra
volontà rimasero al di sotto di ogni critica. Certo l'educazione non potrà fare un
coraggioso di un uomo dal temperamento fiacco; ma è pure certo che un uomo, non
privo di coraggio, è paralizzato nello sviluppo delle sue capacità se, per
difetti della sua educazione, è a priori inferiore ad
altri in forza fisica e agilità. Nell'esercito si può meglio valutare quanto la
convinzione dell'abilità corporea favorisca il
coraggio e desti lo spirito d'assalto. Anche
nell'esercito non s'incontrano tutti eroi; ma ce n'è un buon numero. Se non che, la superiore educazione del soldato tedesco in
tempo di pace infuse all'intiero enorme organismo quella suggestiva credenza
nella propria superiorità che neppure i nostri avversari ritenevano possibile.
Nei mesi d'estate e d'autunno 1914 l'avanzata dell'esercito tedesco diede
immortali prove di valore e di spirito offensivo, e ciò fu risultato
di quella instancabile educazione che nei lunghi anni di pace rese idonei a
incredibili prestazioni corpi spesso deboli, e inculcò quella fiducia in sé che
non andò smarrita nemmeno nell'orrore delle grandi battaglie. Appunto il nostro popolo tedesco, che,
dopo essere crollato, è preso a calci dal resto del mondo, ha bisogno della
forza suggestiva che è riposta nella fiducia in sé. Ma
la fiducia in sé deve venire infusa fin dall'infanzia
nel giovane cittadino. La sua istruzione e la sua educazione debbono
tendere a infondergli la convinzione della sua assoluta superiorità sugli
altri. Il giovane deve recuperare, nella sua forza e agilità fisica, la fede
nell'invincibilità della sua nazione intera. Perché ciò che un giorno condusse
l'esercito tedesco alla vittoria fu la somma della fiducia che ciascun soldato
nutriva in sé e tutti insieme nutrivano nei loro capi.
E ciò che può portare di nuovo in alto il popolo tedesco
è la convinzione della possibilità di riacquistare la libertà. ma questa convinzione può solo costituire il prodotto finale
di un egual modo di sentire di milioni d'individui. Anche qui non
dobbiamo farci illusioni. Spaventoso,
enorme fu il crollo del nostro popolo, e altrettanto enorme dovrà essere lo
sforzo da compiere per mettere fine a tanta miseria. Chi crede che l'odierna
educazione borghese alla tranquillità e all'ordine possa dare al popolo la
forza di spezzare un giorno l'attuale ordinamento del mondo che significa il
nostro tramonto, e di gettare in faccia agli avversari gli anelli della catena
della nostra schiavitù, s'inganna a partito. Solo in grazia d'una immensa volontà nazionale di forza, in grazia di
un'intensa sete di libertà e d'una suprema passione sarà recuperato ciò che
andò perduto. Anche
il modo di vestire dei giovani deve essere adatto a questo scopo. E' una vera
pietà il vedere come anche la nostra gioventù sia già
soggetta ad una pazza moda che capovolge il vecchio proverbio: "l'abito
non fa il monaco". Precisamente
nei giovani l'abbigliamento deve essere posto al servizio dell'educazione. Il
giovane che d'estate va in giro con lunghi calzoni, avviluppato negli
abiti fino al collo, perde già nel suo vestire un impulso all'educazione
fisica. Perché bisogna servirsi anche dall'ambizione e,
diciamolo pure, della vanità. Non della vanità di
portare abiti belli che non tutti possono comprarsi, ma della vanità di
possedere un corpo bello, ben formato, che ognuno può cercare di forgiarsi. Ciò e utile anche più tardi. La fanciulla deve imparare a conoscere il suo cavaliere. Se oggi la perfezione corporea non fosse respinta in seconda
linea dalla nostra moda trascurata, non sarebbe possibile che centinaia di
migliaia di ragazza fossero sedotte da ripugnanti bastardi ebrei dalle gambe
storte. E' nell'interesse della nazione anche questo, che i corpi più belli si trovino e collaborino a donare nuova bellezza alla nazione. Ed oggi tutto
ciò sarebbe necessario più che mai, poiché manca l'educazione militare e quindi
è soppressa l'unica istituzione che in tempo di pace ricuperasse almeno in
parte ciò che va perduto in grazia dell'educazione moderna. Il successo si deve
cercare non solo nell'educazione dell'individuo ma anche nell'influenza che
questa esercita sui reciproci rapporti fra i due sessi. La fanciulla
preferiva il soldato al non soldato. Lo
Stato nazionale non deve limitarsi a introdurre
l'educazione fisica nelle scuole ufficiali e a sorvegliarla: deve anche nel
doposcuola provvedere perché il giovane, finché si sta sviluppando
corporalmente, faccia di questo sviluppo la propria fortuna. E' assurdo credere
che quando finiscono gli anni di scuola cessi senz'altro il diritto dello Stato
alla sorveglianza dei suoi giovani cittadini, e ricominci solo col servizio
militare. Questo diritto è un dovere, e come tale sussiste sempre. Lo Stato
odierno, che non ha interesse all'uomo sano, ha criminosamente trascurato
questo dovere. Esso lascia che la gioventù si corrompa nelle strade o nei
bordelli, invece di prenderla per le briglie e formare il corpo affinché un
giorno si sviluppino da essa uomini sani e donne sane. Oggi può essere indifferente la forma
in cui lo Stato svolge questa educazione: l'essenziale
è che la svolga e che cerchi le vie opportune. Lo Stato nazionale considererà
compito suo non solo l'educazione intellettuale ma anche quella fisica del
doposcuola, e la impartirà per mezzo di istituti
statali. Così questa educazione potrà essere, a grandi
tratti, il modello di un servizio militare da prestarsi più tardi. L'esercito
non apporterà più, come finora, al giovane le nozioni fondamentali di un
semplice regolamento di esercizi, e non conserverà
reclute nel senso odierno: dovrà piuttosto trasformare in un soldato il giovane
dal corpo già preparato ed educato in modo impeccabile. Nello Stato nazionale l'esercito non insegnerà più a marciare e a
star fermo, ma sarà l'ultima e suprema scuola della educazione
patriottica. La giovane recluta imparerà nell'esercito a maneggiare le armi, ma
in pari tempo dovrà essere attrezzata per la sua vita
ulteriore. E in cima all'educazione militare
deve esserci ciò che già al vecchio esercito fu attribuito come merito sommo:
alla scuola dell'esercito il ragazzo deve essere trasformato in un uomo, deve
non solo imparare ad obbedire ma altresì acquistarsi le premesse del futuro
comando. Deve imparare a tacere non solo quando è rimproverato a ragione, ma
anche quando è rimproverato a torto. Inoltre deve, rafforzato dalla fiducia nella propria forza,
e pervaso dalla forza del comune spirito di corpo, acquistare la convinzione
dell'invincibilità del suo popolo. Quando avrà finito il servizio militare, gli saranno
consegnati due documenti: il suo diploma di cittadini dello Stato, documento
giuridico che ormai gli permetterà un'attività pubblica, e un attestato di
salute fisica, che gli varrà a provare la sua sanità corporea e la sua
attitudine al matrimonio. Lo Stato
nazionale può intraprendere anche l'educazione delle ragazze, partendo dagli
stessi punti di vista in cui si mette per svolgere l'educazione dei ragazzi. Anche qui si mette per svolgere l'educazione dei ragazzi. Anche qui si deve attribuire la maggiore importanza
all'educazione del corpo, e solo dopo si deve pensare a promuovere i valori
psichici e intellettuali. Si deve educare la fanciulla
con lo scopo costante di farne la futura madre. Solo in seconda linea lo Stato nazionale deve favorire in ogni
modo la formazione di carattere. Certo, le caratteristiche principali dell'uomo sussistono in
esso già prima di ogni educazione; chi è egoista rimane sempre tale, chi è
fondamentalmente idealista lo sarà sempre. Ma fra i
caratteri coniati con estrema nettezza vi sono milioni di caratteri vaghi,
confusi, poco chiari. Il delinquente nato resterà sempre un delinquente: ma
numerosissimi uomini in cui sussiste solo una certa
inclinazione e delinquere possono diventare, in grazia d'una appropriata
educazione, utili membri della comunità nazionale. Viceversa, una cattiva
educazione può fare pessimi elementi di caratteri esitanti. Durante la guerra, fu spesso lamentato che il nostro popolo
sapesse così poco tacere. E perciò fu talora difficile
sottrarre alla conoscenza del nemico segreti anche importanti. Ma poniamoci questa domanda: Che ha fatto, prima della
guerra, l'educazione tedesca per insegnare all'individuo la taciturnità? E purtroppo, nella scuola stessa il piccolo denunziatore non
fu spesso preferito ai suoi taciturni compagni? Non si considerò e non si considera la denunzia come lodevole "schiettezza"
e la taciturnità come biasimevole ostinazione? Si è forse cercato di presentare
la taciturnità come una preziosa virtù virile? No, perché
agli occhi della nostra moderna educazione scolastica queste sono bazzecole.
Ma tali bazzecole costano allo Stato milioni di marchi
di spese giudiziarie, perché il novanta per cento dei processi di diffamazione
deriva solo dal non saper tacere. Parole proferite senza pensarci vengono ripetute in giro con altrettanta leggerezza, la
nostra economia è continuamente danneggiata dalla propagazione di importanti
sistemi di fabbricazioni, e perfino le silenziose preparazioni della difesa del
paese sono rese illusorie perché il popolo non ha imparato a tacere e
chiacchiera tutto. Ma in guerra questa loquacità può
condurre perfino alla perdita d'una battaglia, e così contribuire in modo
essenziale all'esito infelice della lotta. Anche qui si deve essere persuasi
che non si può fare in vecchiaia ciò che non si è imparato
in gioventù. Il maestro non deve cercare di venir a
conoscenza di certi stupidi tiri giovanili favorendo le denunzie. La
gioventù forma come un Stato per sé, si trova in una
certa solidarietà chiusa di fronte agli adulti, e questo è naturale. L'amicizia
del fanciullo di dieci anni col suo coetaneo è più che
naturale e intima che l'amicizia con un adulto. Il giovane che denunzia i suoi camerati, compie un tradimento e, rivela una mentalità che, in parole rozza e trasferita su
scala maggiore, risponde con esattezza a quella di traditore del suo genere. Un
ragazzo come questo non può essere considerato "bravo, per bene", ma
deve essere ritenuto di mediocre carattere. Per un maestro può essere comodo il
servirsi di questi difetti per accrescere la propria autorità, ma così si pone
nel petto dei giovani il germe d'una mentalità che
avrà più tardi un'azione funesta. Spesso un piccolo denunziatore diventò una grande canaglia! Questo
è solo un esempio fra molti. Oggi, nella scuola , è
quasi nullo lo sviluppo cosciente di buone e nobili qualità del genere. A tale
sviluppo si dovrà un giorno attribuire ben altro peso. Fedeltà, abnegazione,
taciturnità sono virtù di cui un grande popolo ha
necessità: l'insegnarle e il perfezionarle nella scuola è più importante di
molte cose che oggi riempiono i nostri programmi scolastici. Appartiene pure a
questo soggetto l'insegnamento della rinunzia a piagnucolose lamentele, alle
grida di dolore ecc. Se una educazione dimentica
d'insegnare al bambino a sopportare in silenzio le sofferenze e i torti, non
deve stupirsi se, più tardi, in un'ora critica, per esempio quando il bambino
fatto uomo si troverà al fronte, il servizio postale non servirà ad altro che a
lettere lamentose e piagnucolose. Se nelle nostre scuole si inoculasse
alla gioventù un po' meno di sapienza e maggiore padronanza di sé se ne
sarebbero raccolti buoni frutti negli anni 1915-1918. Così lo Stato nazionale, nel suo lavoro di educazione,
deve attribuire grandissimo valore, accanto all'educazione, del corpo, a quella
del carattere. Numerosi acciacchi morali che oggi il corpo della nazione porta
in sé possono essere eliminati o molti mitigati da una educazione
così orientata. Di
estrema importanza è l'educazione della forza di volontà e di decisione,
e la coltivazione della gioia della responsabilità. Una volta, vigeva nell'esercito la massima che un ordine è sempre meglio di nessun ordine; nella gioventù deve vigere
questo principio: è sempre meglio una risposta che nessuna risposta. Il timore
di rispondere, per lo spavento di dire il falso, deve essere più umiliante di
una risposta non esatta. Partendo da questo principio, si deve educare la gioventù
al coraggio dell'azione. Si è spesso
lamentato che nel novembre e dicembre 1918 tutte le cariche abbiano
mancato al loro compito, che dal monarca fino all'ultimo divisionario
nessuno abbia trovato la forza di prendere con indipendenza una decisione. Questo
spaventevole fatto è un severo monito della nostra falsa educazione, perché in
quella gigantesca catastrofe si è solo rivelato in scala colossale ciò che in
piccolo era presente dappertutto. E' la mancanza di volontà con la mancanza
d'armi, che oggi ci rende incapaci di ogni seria
resistenza. Questa mancanza è riposta dentro il nostro popolo e impedisce ogni
decisione che sia connessa con un rischio. Senza
sospettarlo, un generale tedesco è riuscito a trovare la formula classica di
questa pietosa mancanza di volontà: " io agisco solo quando posso
calcolare sul cinquantun percento di probabilità di successo". In questo
"cinquantun percento" è fondata la tragedia del crollo tedesco: chi
esige dal destino la garanzia del successo rinunzia da sé all'importanza d'un'azione eroica: la presenta morale pericolo, si
intraprende il passo che forse può condurre al successo. Un malato di cancro,
che in caso diverso è sicuro di morire, non ha bisogno del 51 percento di
probabilità, un uomo di coraggio la tenterà; in caso diverso non deve gemere
perché muore. Ma, in complesso, la
piaga dell'odierna vile mancanza di volontà e di decisione è il risultato
soprattutto dell'errata educazione che ci fu impartita in gioventù, i cui funesti effetti si propagano nell'età matura, e nella
mancanza di coraggio civile negli uomini di Stato dirigenti trova la sua
conclusione e la sua corona. Ha le
stesse origini quel rifuggire dalla responsabilità che oggi imperversa. Anche
qui l'errore si trova già nella educazione data ai
giovani; poi pervade tutta la vita pubblica e trova la sua immortale
integrazione nelle istituzione di governi parlamentari. Già in scuola, purtroppo, si assegna più valore alla confessione
"coraggiosa e piena di pentimento" e ai "contriti
rinnegati" del piccolo peccatore che ad una franca ammissione. Quest'ultima, a più d'un odierno educatore appare perfino
come segno evidente di una incorreggibile abiezione, e
così (cosa incredibile!) a parecchi giovani viene profetato il patibolo per
quantità che sarebbero d'inapprezzabile valore se formassero il bene comune
d'un'intiera nazione. Lo Stato
nazionale, come dovrà un giorno dedicare l'attenzione più alta all'educare la
volontà e la forza di decisione, così dovrà infondere già nei cuori dei piccini
la gioia della responsabilità e il coraggio della schietta e aperta
confessione. Solo se riconoscerà in tutto il suo valore questa necessità,
otterrà, dopo un secolare lavoro educativo, un corpo nazionale non più soggetto
a quelle debolezze che oggi contribuirono, in modo
così funesto, al nostro tramonto. L'educazione
scolastica, che costituisce oggi l'intiero lavoro di
educazione compiuto dallo Stato, può essere assunta con soli pochi cambiamenti
dallo Stato, può essere assunta con soli pochi cambiamenti dallo Stato
nazionale. I cambiamenti riguardano tre campi. Anzitutto il cervello dei giovani, in generale, non deve più
essere gravato di cose che, nella proporzione di 95 su 100, non servono loro e
che perciò essi dimenticano. In modo particolare, il programma delle scuole
popolari e medie rappresenta oggi alcunché di ibrido;
in molti oggetti d'insegnamento la materia da imparare è così gonfiata che solo
un frammento ne resta nella testa dello scolaro e che solo una frazione di
tutta quella abbondanza può trovare impiego. D'altro lato, questa frazione non basta ai bisogni di chi esercita
una determinata professione e si guadagna il suo pane. Si prenda per esempio il
normale funzionario dello Stato che ha compiuto il ginnasio o la scuola tecnica
superiore: lo si prenda quando è in età di 35 40 anni,
e si metta alla prova il sapere che un giorno, a fatica, imparò a scuola. Quanto poco sussiste della materia allora introdotta a
forza! Certo, ci si sentirà rispondere: "Se allora s'imparavano
molte materie, ciò non aveva il solo scopo di possedere più tardi molteplici
cognizioni, ma anche quello di educare le facoltà dell'intelletto, la memoria e
soprattutto la forza di pensare del cervello". Ciò è in
parte esatto. Ma c'è un pericolo nel fatto che il cervello del giovane
sia inondato da impressioni che solo di rado può
dominare e di cui non sa vedere, né apprezzare al loro giusto valore, i
singoli elementi; e di solito avviene che sia sacrificato e dimenticato non il
secondario ma l'essenziale. Così va già perduto lo scopo principale di questa
copiosa istruzione: perché esso non può consistere nel rendere il cervello in
sé capace d'imparare accumulandovi un enorme quantità
di materie d'insegnamento ma deve consistere nel donare alla vita ulteriore
quel tesoro di cognizioni di cui il singolo ha bisogno e che attraverso il
singolo torna a vantaggio della comunità.
Ma ciò resta illusorio se l'individuo, in
conseguenza dell'eccesso in materia inculcandogli in gioventù, più tardi non
possiede più questa materia o ne ha dimenticato l'essenziale. Milioni di persone nel corso degli
anni debbono imparare due o tre lingue straniere di
cui più tardi utilizzeranno solo una minima parte; il maggior numero, anzi le
dimenticherà del tutto, perché di centomila scolari che, per esempio, imparano
il francese, duemila tutt'al più troveranno più tardi
un proficuo impiego di questa loro conoscenza, mentre gli altri novant'ottomila non avranno mai occasione pratica di
servirsene. Così abbiamo dedicato da giovani milioni di ore
ad una cosa che più tardi non ha per essi valore né importanza. Anche l'obiezione che questa materia fa parte della cultura
generale e inesatta, perché sarebbe esatta solo se gli uomini disponessero per
tutta la vita di ciò che hanno imparato. In realtà, per amore di duemila
persone a cui è utile la conoscenza di quella lingua, novant'ottomila
debbono essere tormentate invano a perdere tempo
prezioso. E in questo caso si tratta
d'una lingua di cui non si può dire che educhi alla logica e all'acume del
pensiero, come è per esempio il caso del latino.
Quindi sarebbe apportunissimo insegnare il francese
agli studenti solo nei suoi contorni generali, o per dir meglio nel suo piano
interno, dar loro conoscenza del carattere saliente di quella lingua,
introdurli nelle fondamenta della grammatica francese e spiegare con esempi la
pronunzia, la formazione della frase, ecc.. Ciò
basterebbe per l'uso generale e, perché più facile da osservare e da notare,
sarebbe più utile che l'inculcare, come si fa oggi, l'intiero idioma, il quale
non sarà padroneggiato bene e più tardi dimenticato. E così si eviterebbe anche
il pericolo che dell'eccessiva abbondanza delle materie non restassero
nella memoria altro che sconnessi frammenti, perché il giovane avrebbe da
imparare solo ciò che è più notevole, e sarebbe già anticipata la scelta fra
ciò che ha valore e ciò che non ne ha. I
fondamentali generali così insegnati dovrebbero bastare ai più, anche pel resto della vita, mentre a coloro che in seguito hanno
reale bisogno di questa lingua darebbero la possibilità di perfezionarsi più
tardi in essa e dedicarsi con libertà di scelta ad impararla a fondo. E così si guadagnerebbe nel programma d'insegnamento il
tempo necessario all'educazione fisica, e alle esigenze già da noi affacciate
in altri campi dell'educazione. Soprattutto nell'insegnamento della storia e necessario cambiare i
metodi finora in uso. Nessun popolo dovrebbe più del popolo tedesco
imparare la storia: ma esso ne fa pessimo impiego. Se
la politica è storia che diviene, la nostra educazione storica è orientata dal
genere della nostra attività politica. Anche qui è
inutile lagnarsi dei pietosi risultati forniti dalla nostra politica se non si
è risoluti a provvedere ad una migliore educazione alla politica. In
novantanove casi su cento, il nostro odierno insegnamento della storia ha
risultati pietosi. Poche date, anni di nascite e nomi restano, di solito, nella
memoria, mentre manca una linea direttiva grande e chiara. Tutto l'essenziale,
quello che in realtà importa, in genere non viene
insegnato; resta abbandonato alle disposizioni più o meno geniali dei singoli
il ricavare dal diluvio di date e dalla serie degli avvenimenti le ragioni
profonde di questi. Si può
strepitare quanto si vuole contro questa amara
constatazione: ma si leggano con attenzione i discorsi tenuti, durante una sola
sessione, dai nostri signori parlamentari su problemi politici, per esempio, su
questioni di politica estera; si rifletta che costoro costituiscono (così si
sostiene) il fiore della nazione tedesca, e che in ogni caso gran parte di essi
sedette sui banchi delle nostre scuole medie e parecchi frequentarono
l'Università; e si constaterà la meschinità della formazione intellettuale di
questa gente. Se essi non avessero affatto studiato la storia ma possedessero un istinto sano, le cose andrebbero meglio e
la nazione ne trarrebbe gran profitto. Appunto
nell'insegnamento della storia bisogna abbreviare la materia. Il valore
principale risiede nel riconoscere le grandi linee dello sviluppo storico.
Quanto più l'insegnamento viene limitato a questo,
tanto più si può sperare che il singolo trovi in seguito vantaggio nella sua
erudizione, e tutti questi vantaggi sommati insieme giovano alla comunità.
Perché non s'impara la storia solo per sapere quello
che è successo ma per trovare in essa una maestra dell'avvenire e della
conservazione del proprio popolo. Questo è lo scopo, e l'insegnamento della
storia è solo un mezzo per raggiungerlo. Ma oggi anche
qui il mezzo è diventato fine, il fine è perduto di vista. Non si dica che un
profondo studio della storia esige appunto che si ritengano tutte queste date
indispensabili per fissare la grande linea; perché il
fissare è compito dei professionisti della storia.Ma l'uomo medio, normale, non è un professore di
storia. Per lui la storia esiste anzitutto per permettergli quel grado di
cognizioni storiche che è necessario a prendere una
posizione propria negli affari politici del suo paese. Chi vuol diventare
professore di storia può dedicarsi tutto, più tardi a
questo studio; allora potrà occuparsi anche dei minimi particolari. A questo
però non può bastare il nostro moderno insegnamento della storia, che è troppo vasto per l'uomo medio e troppo limitato per il
dotto professore. Del resto, è
dovere dello Stato nazionale il provvedere perché venga
finalmente scritta una storia del mondo dove il problema delle razze occupi la
posizione dominante. Riassumendo: lo
Stato nazionale dovrà ridurre a forma più breve ma abbracciate tutto l'essenziale l'istruzione scientifica generale. E dovrà, inoltre, offrire la possibilità di un
perfezionamento speciale. E' sufficiente che l'individuo riceva, come base, una
cultura generica, a grandi linee, e venga istruito a
fondo e in modo dettagliato e specializzato solo in quella materia che formerà
l'occupazione della sua vita. Quindi l'istruzione
generale dovrebbe essere obbligatoria in tutte le materie, l'istruzione
speciale dovrebbe essere lasciata alla scelta dei singoli. Si otterrebbe così un abbreviamento del programma scolastico e
delle ore di lezioni che andrebbe a tutto vantaggio
del perfezionamento del corpo, del carattere e della forza di volontà e di
decisione. Quanto
futile sia l'attuale istruzione scolastica, specialmente nelle scuole medie,
quanto poca importanza abbia per l'esercizio di una professione, è dimostrato
dal fatto che oggi possono arrivare ad occupare un medesimo posto uomini
provenienti da tre scuole diverse fra loro. Decisiva è
solo l'educazione generale, non il sapere speciale, questo non può
essere acquistato entro i programmi scolastici delle attuali scuole medie.Lo Stato nazionale deve eliminare una volta o l'altra
cotali mezze figure.Il secondo cambiamento nel
programma d'istruzione scientifica deve essere il seguente, per lo Stato
nazionale: E' nel carattere del
nostro tempo materialistico questo, che l'istruzione scientifica si rivolge
sempre più alle discipline reali, ossia alla matematica, alla fisica, alla
chimica, ecc. e solo a queste. Esse sono, certo, necessarie in un tempo in cui
la tecnica e la chimica regnano e sono rappresentate nella vita quotidiana dai
loro segni visibili; ma è pericoloso fondare unicamente su queste la cultura
generale d'una nazione. Questa cultura, all'opposto,
deve sempre essere ideale. Deve fondarsi più sulle discipline umanistiche e
offrire solo le basi di un'ulteriore istruzione
scientifica speciale. Altrimenti si rinunzia a forze più importanti d'ogni
sapere tecnico per la conservazione della nazione. In particola modo,
nell'istruzione storica non si deve abbandonare lo studio degli antichi. La
storia romana nelle sue grandi linee è e rimane la migliore
maestra non solo per i tempi nostri ma per tutti i tempi. Anche l'ideale della civiltà ellenica deve esserci
conservato nella sua esemplare bellezza. Le diversità dei singoli popoli non debbono farci dimenticare la grande comunità di razza. La lotta che oggi imperversa ha grandissime mete: una civiltà
combatte per la propria esistenza: una civiltà che unisce in sé millenni e
racchiude insieme l'Ellenismo e il Germanismo. Occorre fare una netta distinzione fra la cultura generale e le
discipline speciali. Queste ultime, oggi, minacciano sempre più di cadere al
servizio di Mammone; perciò la cultura generale deve essere conservata come
contrappeso, almeno nelle sue forme più ideali. Anche qui si deve imprimere in
mente la massima che industria e tecnica, commercio e
artigianato possono solo fiorire se una comunità nazionale idealistica offre i
presupposti necessari. E questi non si trovano nel
materialismo egoistico ma nell'abnegazione e nella gioia della rinunzia. L'odierna educazione dei giovani s'è
proposta come primo scopo quello di inculcare al giovane le cognizioni di cui
avrà bisogno per fare la sua strada nella vita. Ciò è espresso in questi
termini: "Il giovane deve diventare un giorno un utile membro della
società umana". Ma con tali parole s'intende la
capacità di guadagnarsi onestamente il pane quotidiano. La superficiale
istruzione che è fornita in sovrappiù dallo Stato in
sé rappresenta solo una forma, è difficile educare su questa degli uomini,
assegnare loro dei doveri. Una forma può spezzarsi con troppa facilità. Ma, come vedemmo, il concetto di "Stato" non
possiede oggi un contenuto chiaro. Quindi non rimane
altro che la solita educazione "patriottica". Questo nella vecchia Germania, dava il massimo peso alla
divinazione (spesso poco saggia ma per lo più molto insipida) di piccoli e
piccolissimi potentati, la cui abbondanza rendeva impossibile valutare la vera
grandezza della nostra nazione. Ne risultava, nelle masse, una
insufficiente conoscenza della storia tedesca: anche qui, mancava la
grande linea. E' evidente che per
tal via non si poteva giungere a creare un vero
entusiasmo nazionale. Alla nostra educazione mancava l'arte di estrarre, dallo
sviluppo storico della nostra nazione, pochi nomi per farne il bene comune del
popolo tedesco, e di allacciare così un uguale sapere ed un uguale entusiasmo,
attorno alla nazione un nastro che tutta la restringesse.
Non s'è saputo far apparire quali veri eroi, agli occhi della generazione
presente, gli uomini di reale valore della nostra nazione, né concentrare su essi l'attenzione generale creando così uno stato d'animo
chiuso, unitario. Non si seppe ricavare dalle varie materie d'insegnamento ciò
che è più glorioso per la nazione ed elevarlo al di sopra
del livello d'un'esposizione obiettiva, per infiammare l'orgoglio nazionale al
lume di così insigni esempi. Ciò sarebbe apparso allora un brutto sciovinismo,
e in questa forma sarebbe poco piaciuto. Il meschino patriottismo dinastico
appariva più piacevole e sopportabile che l'urlante
passione d'un supremo orgoglio nazionale. Quello era sempre
pronto a servire, questa poteva un giorno diventare padrona. Il
patriottismo monarchico terminava in leghe di veterani, la
passione nazionale avrebbe battuto vie difficili da prevedere. Essa è
come un nobile cavallo, che non si lascia montare da tutti. Non è da stupire
che si preferisse tenersi lontani da un simile
pericolo. Nessuno credeva possibile che un giorno sopravvivesse una guerra che,
nel fuoco tambureggiante e nelle ondate di gas, metterebbe alla prova l'intima
forza di resistenza della mentalità patriottica. Ma quando la guerra venne, la
mancanza di alta passione nazionale si vendicò in modo
spaventoso. Gli uomini ebbero solo poca voglia di morire per le loro Altezza imperiali e reali, mentre la
"nazione" era sconosciuta alla maggior parte. Da quando la rivoluzione è scoppiata in Germania, lo scopo
dell'insegnamento della storia non è più altro che quello di inculcare
dell'erudizione. Questo stato non ha bisogno di entusiasmo
nazionale, ma non otterrà mai ciò che in realtà vorrebbe. Perché,
come non vi poté essere un patriottismo dinastico capace di suprema resistenza
in un'epoca in cui regna il principio di nazionalità, così e ancor più non vi
può essere un entusiasmo repubblicano. Non può essere dubbio che il popolo
tedesco, sotto il motto "per la repubblica", non resterebbe quattro
anni e mezzo sul campo di battaglia; e meno di tutti vi resterebbero coloro che hanno creato la repubblica. In realtà, questa repubblica può continuare indisturbata solo in
grazia della sua prontezza, premessa a tutti, ad assumersi qualsiasi tributo o
riparazione verso lo straniero ed a firmare qualsiasi tributo o riparazione
verso lo straniero ed a firmare qualsiasi rinunzia territoriale. Essa è
simpatica al resto del mondo; come ogni debole, è più gradita che un uomo nerboruto a coloro che ne hanno bisogno. Nella
simpatia dei nemici per questa forma di governo si trova la più annientante
critica della forma stessa. Si ama la repubblica tedesca e la
si lascia vivere perché non si potrebbe trovare miglior alleato
nell'opera di asservimento della nostra nazione. A questo solo fatto la
repubblica deve la sua conservazione. Perciò essa può rinunziare ad ogni
educazione realmente nazionale e contentarsi che gli eroi della Reichsbanner gridino
"evviva!"; eroi che, del resto, se dovessero difendere col sangue la
bandiera del Reich, scapperebbero come pecore. Lo stato nazionale dovrà lottare per
la propria esistenza. Non otterrà né difenderà la propria esistenza
sottoscrivendo piani Dawes. Ma
per sussistere e per difendersi avrà bisogno appunto di quelle cose a cui ora
si crede di poter rinunziare. Quanto più saranno
incomparabili e preziosi il contenuto e la forma, tanto maggiori saranno
l'invidia e l'opposizione degli avversari. La miglior protezione non si troverà
nelle sue armi ma nei suoi cittadini; lo difenderanno non i bastoni delle
fortezze ma i viventi muri di uomini e donne, pervasi
da supremo amor patrio e da fanatico entusiasmo nazionale. Il terzo punto da considerare nell'educazione scientifica è dunque
il seguente: Anche nella scienza lo
Stato nazionale deve ravvisare un mezzo per promuovere l'orgoglio nazionale.
Non la sola storia del mondo, ma tutta la storia della civiltà deve essere
insegnata da questo punto di vista. Un inventore deve apparire grande non solo
quale inventore ma, ancor più, quale membro della nazione. L'ammirazione d'ogni
grande gesto deve rifondersi in fierezza del fatto che
chi lo ha compiuto appartiene al nostro popolo. Ma dagli innumerevoli grandi
nomi della storia tedesca se ne debbono estrarre i
sommi per imprimerli talmente nello spirito della gioventù, che diventino i
pilastri d'un incrollabile sentimento nazionale. La materia d'insegnamento deve essere apprestata metodicamente
partendo da questi punti di vista, l'educazione deve essere foggiata
in modo che il giovane, quando lascia la scuola, non sia un mezzo pacifista, un
democratico o alcunché di simile, ma un completo tedesco. Perché questo sentimento
nazionale sia schietto fin dall'inizio o non consista
in una semplice apparenza, deve essere impresa già nelle teste dei giovani,
ancora suscettibili di essere modellate, una ferrea, massima fondamentale: Chi
ama la nazione può solo provare il suo amore mediante i sacrifici che è pronto
a fare per essa. Un sentimento nazionale che miri solo al guadagno, non esiste.
E non c'è un nazionalismo che racchiuda solo delle
classi. Il gridare: urrah! non
testimonia nulla e non dà il diritto di chiamarsi nazionali, se dietro quel
grido non si trova l'amorosa preoccupazione del mantenimento di una nazione.
C'è motivo di essere fieri del proprio popolo solo
quando non ci si deve più vergognare di nessun ceto sociale. Ma una nazione, di
cui m,età è povera e macilenta o del tutto deperita,
offre un quadro così brutto che nessuno deve sentirsene fiero. Solo se una
nazione è sana in tutte le sue membra, nel corpo e nell'anima ognuno può essere
lieto di appartenerle, e questa letizia può assurgere all'altezza di quel sentimento
che noi chiamiamo orgoglio nazionale. E questo elevato
sentimento sarà provato solo da colui che conosce la grandezza della sua
nazione. Già nel cuore dei giovani
bisogna radicare la nozione dell'intimo nesso del nazionalismo col senso della giustizia sociale. Così sorgerà un giorno un popolo di
cittadini uniti fra loro e temprati da un amore e un orgoglio
comuni, incrollabile e invincibile in eterno. La paura che il tempo nostro ha dello sciovinismo è il segno della
sua impotenza. Poiché gli manca, anzi, gli riesce
sgradita ogni traboccante forza, esso non può essere eletto dal destino a
grandi opere. Perché le più grandi rivoluzioni avvenute sulla
Terra non sarebbero state pensabili se avessero avuto per forze motrici non
passioni frenetiche, isteriche, ma le virtù borghesi della tranquillità e
dell'ordine. Ma il mondo va,
certo, incontro ad una grande rivolgimento. E solo si può chiedere se esso avrà per risultato la
salvezza dell'umanità aria o il vantaggio del giudaismo dell'ebreo errante. Lo stato nazionale dovrà darsi
pensiero di creare, mediante un'acconcia educazione della gioventù, una
generazione matura alle supreme e massime decisioni che allora saranno prese
nel nostro globo. Vincerà quel
popolo che sarà il primo a battere questa via. Il complessivo lavoro d'istruzione e d'educazione dello Stato
nazionale deve trovare il suo coronamento nell'infondere, nel cuore e nel
cervello della gioventù a lui affidata, il senso e il sentimento di razza,
conforme all'istinto e alla ragione. Nessun ragazzo, nessuna ragazza deve
lasciare la scuola senza essere giunta a conoscere alla perfezione l'essenza e
la necessità della purezza del sangue. Con ciò restano create le premesse di
una base razzista della nostra nazione e, alla sua volta, è fornita la certezza
dei presupposti d'un ulteriore sviluppo scientifico,
culturale. Perché,
in ultima analisi, ogni educazione del corpo e dello spirito rimarrebbe priva
di valore se non andasse a favore di un essere risoluto e pronto a conservare
se stesso e le sue caratteristiche qualità. In caso diverso, sopravverrebbe quello che noi Tedeschi dobbiamo
già lamentare, senza forse avere del tutto compresa l'ampiezza di questa
tragica sventura: accadrebbe che noi resteremmo anche in avvenire soltanto
concime da cultura, non solo nel senso della meschinità della nostra odierna
concezione borghese, che in un membro della razza perduto ravvisa solo un
cittadino perduto, ma nel senso che dovremmo con
dolore riconoscere che, a dispetto della nostra sapienza e della nostra potenza,
il nostro sangue è destinato al tramonto. Congiungendoci sempre di nuovo con
altre razze, innalziamo queste dal loro precedente livello di civiltà ad un
livello superiore, ma discendiamo per sempre
dall'altezza nostra. Del resto,
anche questa educazione deve trovare, dal punto di
vista della razza, il suo adempimento supremo nel servizio militare. E in generale il tempo del servizio militare deve essere
considerato la conclusione dell'educazione normale del Tedesco medio. Come il genere dell'educazione fisica
e morale avrà grande importanza nello Stato nazionale,
così avrà grande importanza per esso la selezione degli uomini. Su questo punto
oggi ci si comporta con leggerezza. In generale, i figli di genitori occupanti
posizioni elevate sono considerati alla loro volta meritevoli
di una educazione superiore. Il talento ha qui una parte subordinata. In sé, il
talento può solo essere valutato in modo relativo. Un giovane contadino può
possedere assai più talento che il figlio di genitori occupanti da molte generazioni un alto posto, sebbene sia inferiore di cultura
generale al figlio di borghesi. Ma la superiore cultura di quest'ultimo
non ha, per se stessa, nulla a che fare col talento più o meno grande, ha la
sua radice nella maggior coppia di impressioni che il
fanciullo riceve in grazia della sua varia educazione e dell'ambiente che lo
circonda. Se anche l'intelligente figlio di contadini
fosse stato, sin da bambino, educato in simile ambiente, ben diverso sarebbe la
sua capacità di prestazioni intellettuali. Oggi c'è forse un solo campo in cui decida meno l'origine che le qualità innate il campo della
Arte. Qui, dove non basta "imparare" ma bisogna già avere doti
congenite , che solo più tardi subiranno un più o meno
felice sviluppo (e lo sviluppo non potrà consistere in altro che nel favorire
disposizioni congenite), il denaro e i beni dei genitori non hanno quasi
valore. E qui appare che la genialità non è connessa
con gli alti strati sociali o con la ricchezza. Non di rado i maggiori artisti
uscirono da povere famiglie. E spesso un ragazzo di
villaggio divenne più tardi un celebre maestro. Non è prova di grande profondità di
pensiero del tempo nostro il fatto che questa nozione non venga utilizzata per
l'intiera vita intellettuale. Si opina dai più che ciò che è incontestabile
nell'arte non valga per le cosiddette scienze esatte.
Senza dubbio, si possono insegnare all'uomo certe abilità meccaniche, così come
un accorto ammaestramento può insegnare ad un docile cane i più incredibili
esercizi. Ma, come nell'ammaestramento di animali non
è l'intelligenza della bestia che la conduce da sé a simili esercizi, così
avviene anche nell'uomo. Si può segnare certi esercizi scientifici, ma in tal
caso si ha un fenomeno privo di vita, inanimato, come nell'animale, con un
determinato addestramento intellettuale si può dare all'uomo medio una tinta di
sapienza superiore alla media: ma resta un sapere morto e non utilizzabile. Risultano allora quegli uomini che possono bensì essere un
lessico vivente, ma che nelle situazioni importanti e nei momenti decisivi
della vita falliscono miseramente. Costoro dovranno essere
guidati in ogni emergenza, anche nelle più modeste, e per se stessi non sono
in grado di apportare il minimo contributo al perfezionamento dell'umanità. Un simile sapere meccanico, inoculato, basta tutt'al
più ad assumere uffici statali nel tempo nostro. Ben s'intende che nella somma degli abitanti d'uno
Stato si trovano talenti per tutti i campi della vita quotidiana. Ed è naturale
che il valore del sapere sia tanto maggiore quanto più la morta erudizione viene animata dal talento dell'individuo. In generale,
prestazioni creatrici si possono solo avere quando la capacità si sposa al
sapere. Un esempio mostrerà come l'umanità odierna pecchi in questa direzione. Di
quando in quanto i giornali illustrati mettono sotto
gli occhi del piccolo borghese tedesco una notizia: qua o là, per la prima
volta, un Negro è diventato avvocato, professore o pastore o alcunché di
simile. Mentre la sciocca borghesia prende notizia con stupore d'un così
prodigioso addestramento, piena di rispetto per questo favoloso risultato della
pedagogia moderna, l'ebreo, molto scaltro, sa costruire con ciò una nuova prova
della giustezza della storia, da inocularsi ai popoli, della eguaglianza
degli uomini. Il nostro decadente
mondo borghese non sospetta che qui in verità si commette un peccato contro la
ragione; che è una colpevole follia quella di ammaestrare una mezza scimmia in
modo che si creda di averne fatto un avvocato, mentre milioni di appartenenti alla più alta razza civile debbono restare
in posti indegni. Si pecca contro la volontà dell'Eterno Creatore lasciando
languire nell'odierno pantano proletario centinaia e centinaia delle sue più
nobili creature per addestrare a professioni intellettuali Ottentotti, Cafri e Zulù. Perché qui si tratta
proprio d'un addestramento, come nel caso del cane, e non di un
"perfezionamento" scientifico. La stessa diligenza e fatica,
impiegata su razza intelligenti, renderebbe gli
individui mille volte più capaci di simili prestazioni. Questo stato di cose sarebbe intollerabile se un giorno non si
trattasse più sole eccezioni; ma già oggi è intollerabile là dove non il
talento e le disposizioni naturali decidono d'un'educazione
superiore. Sì, è insopportabile il pensiero che ogni anno centomila
individui privi di ogni talento siano ritenuti degni
d'un'educazione superiore. Se negli ultimi decenni,
crebbe d'assai, sopratutto nell'America del Nord, il numero delle scoperte
importanti, una delle cause è questa, che laggiù un numero assai maggiore che
in Europa di talenti usciti dai ceti inferiori trova la possibilità di ricevere
un'istruzione superiore. Per
inventare, non basta un sapere inculcato, ci vuole un sapere vivificato
dall'ingegno. Ma da noi si attribuisce a ciò poco
valore: importano solo i buoni punti agli esami. Anche qui dovrà intervenire seriamente lo
Stato nazionale. Non è suo compito l'assicurare un'influenza decisiva ad una
data classe sociale, ma l'estrarre dalla totalità dei membri della nazione le
teste più capaci e importarle agli impieghi e alle cariche. Esso deve fornire
al fanciullo medio nella scuola popolare, una
determinata educazione, e mettere l'ingegno sulla via che è fatta per lui. E
soprattutto deve badare ad aprire a tutti i bene dotati
le porte degli istituti statali dell'insegnamento superiore, qualunque sia il
ceto da cui gli studiosi provengono. Solo così dal ceto dei rappresentanti d'un'erudizione morta può svilupparsi un geniale ceto
dirigente della nazione. C'è poi un
altro motivo per cui lo Stato deve svolgere in questo
senso in Germania, così chiusi in sé e fossilizzati, che manca loro un evidente
collegamento con gli strati più bassi. Questo fatto ha due cattive conseguenze:
anzitutto, viene così a mancare ai ceti intellettuali la comprensione e il
senso della vasta massa. Da troppo tempo fu infranto per essi
il contatto con la massa, perché possano ancora possedere la necessaria
compressione psicologica del popolo. Sono diventati estranei al popolo. In
secondo luogo, manca loro la necessaria forza di volontà. Perché
questa è sempre più debole in isolati circoli intellettuali che nella massa del
popolo primitivo. ma in verità a noi Tedeschi
non manca mai la cultura scientifica: mancò spesso invece la forza di volontà e
di decisione. Quanto più "intelligenti", per esempio, erano i nostri
uomini di Stato, tanto più debole fu in genere l'opera da essi
fornita. La preparazione politica e l'attrezzamento tecnico per la guerra
mondiale furono insufficienti non già perché teste troppo poco colte
governassero il nostro popolo, ma perché i governanti erano troppo colti, colmi
di sapere e di spirito, ma privi d'ogni istinto e
d'ogni energia ed audacia. Fu una fatalità che il nostro popolo abbia dovuto combattere per la sua esistenza sotto il
cancellierato di un debole filosofeggiante. Se in
luogo di Bethmann - Holweg
avessimo avuto per capo un robusto uomo del popolo, l'eroico sangue dei nostri
granatieri non sarebbe stato versato invano. Così pure, l'elevata educazione,
puramente spirituale, dei nostri dirigenti fu la miglior alleata della canaglia
rivoluzionaria di novembre. Quegli intellettuali riservarono il bene nazionale
loro affidato, invece di metterlo tutto in giuoco, e
così crearono le condizioni necessarie al successo degli altri. Qui la Chiesa cattolica può offrirci
un esempio molto istruttivo. In causa del celibato dei preti, è necessario
scegliere i sacerdoti futuri non dalle file del clero ma dalla vasta massa del
popolo. Ma appunto questo significato del celibato non
è riconoscibile dai più. Esso è la causa della forza sempre fresca che vige in quell'antichissima istituzione. Perché, per
il fatto che questo gigantesco esercito di dignitari ecclesiastici si
integra senza posa sugli strati più bassi del popolo, la Chiesa si conserva
l'istinto collegamento col mondo di sentimenti del popolo, e si assicura una
somma di energie che solo è presente, in tal forma, nella vasta massa popolare.
Di qui deriva la sorprendente giovinezza di quel colossale organismo, la sua
flessibilità spirituale e la ferrea forza di volontà. Lo Stato nazionale avrà il compito di
curare, nei suoi istituti d'insegnamento, che abbia luogo un costatante
rinnovamento dei ceti intellettuali mediante l'infusione di sangue fresco dei
ceti inferiori. Lo Stato ha l'obbligo, di estrarre, dopo averlo vagliato con attenz<ione e diligenza estrema dalla totalità della
popolazione, il materiale emano più favorito dalla
Natura e di impiegarlo al servizio della collettività. Perchè
Stato e funzionari statali non esistono per rendere possibile il sostenimento a
singole classi ma per soddisfare i compiti loro spettanti. E ciò sarà solo
possibile se, per incarnare lo Stato, verranno
educate, per principio, solo persone capaci e di forte volontà. E ciò vale
non solo per tutti i funzionari, ma anche per la direzione spirituale della
nazione in tutti i campi. Un fattore della grandezza d'una nazione è pure
riposto in questo, che si riesca a sceverare ed
educare i migliori per le funzioni loro spettanti e a metterli al
servizio della comunità nazionale. Se due popoli gareggiano fra loro, aventi
eguali qualità e disposizioni, vincerà quello, che nella sua direzione
spirituale trova rappresentanti i suoi migliori ingegni, e perderà quello il
cui governo rappresenta solo una grande greppia comune
per certe classi o ceti, senza riguardo alle capacità innate dei singoli
governanti. Certo, questo sembra a
prima vista impossibile nel mondo d'oggi. Si obietterà che, per esempio, non
c'è da aspettarsi che il piccolo figlio d'un alto
funzionario statale diventi, poniamo, artigiano perché un altro, i cui genitori
erano artigiani, appare meglio dotato di lui. Ciò può essere giusto, data
l'odierna valutazione del lavoro manuale. Ma perciò lo
Stato nazionale deve prendere una posizione fondamentale diversa di
fronte al concetto di lavoro. Esso, e se è necessario mediante un'educazione
prolungata per secoli, romperà con l'assurda abitudine di disprezzare
l'attività corporale. Apprezzerà l'individuo nondal
genere del suo lavoro, ma dalla forma e dalla bontà dell'opera fornita. Ciò
sembrerà mostruoso ad un'epoca per la quale il più sciocco rimpinzatore
di colonne di giornale vale più d'un intelligente
meccanico, per il solo fatto che lavora con la penna. Ma, come dicemmo, questa
falsa valutazione non è riposta nella natura delle
cose: fu installata artificialmente con l'educazione, e una volta non esisteva.
Il presente innaturale stato di cose è basato appunto sui generali fenomeni
morbosi della nostra materialistica epoca.
In linea di principio, ogni lavoro ha un doppio valore: uno
materiale ed uno ideale. Il valore materiale consiste nell'importanza che il
lavoro ha per la vita della collettività. Quanto maggiore è il numero dei
cittadini che traggono vantaggio da una determinata prestazione, vantaggio
diretto o indiretto, tanto più deve essere stimato il valore materiale. Questa
stima trova espressione plastica nel compenso materiale che l'individuo
riceve per il suo lavoro. A questo lavoro puramente materiale si contrappone
quello ideale. Questo non si fonda sull'importanza materiale del lavoro fornito
ma sulla sua necessità in sé. L'utilità materiale d'una scoperta può
essere più grande che quella del servizio reso da un
manovale, ma è certo che la collettività si fonda tanto sul servizio piccolo quanto
su quello grande. Può fare una distinzione materiale nel valutare l'utilità del
singolo lavoro per la collettività, e può esprimere quella distinzione nel
compenso accordato; ma deve idealmente stabilire l'equivalenza di tutti i
lavori nel momento in cui ogni individuo si sforza di fare del suo meglio nel
proprio campo, qualunque questo sia. Ma la stima del
valore d'un uomo deve fondersi su ciò, e non sul compenso dato. In uno Stato ragionevole si deve fare
in modo che all'individuo venga assegnata quella
attività che risponde alle sue facoltà; o, in altre parole, i capaci debbono
essere educati al lavoro loro spettante, ma la capacità non può essere infusa,
deve essere innata, poiché è un dono della Natura e non merito dell'uomo. Quindi, la generale valutazione
borghese non può regolarsi a seconda del lavoro
assegnato, in certo modo, al singolo. Perché questo lavoro va
messo in conto della sua nascita e dell'istruzione dipendente dalla nascita,
istruzione ricevuta per mezzo della collettività. La valutazione
dell'uomo deve essere fondata sul modo in cui egli diventa idoneo al compito
assegnatogli dalla collettività. Perché l'opera che l'individuo svolge non è lo
scopo della sua esistenza, ma ne è il mezzo. Egli deve, come uomo, nella cornice della sua comunità di cultura, la
quale, deve sempre riposare sul fondamento d'uno Stato. Egli deve
contribuire alla conservazione di questo fondamento. La forma di questo
contributo è determinata dalla Natura. L'importante è solo restituire e rendere
possibile alla comunità nazionale, con diligenza e onestà, ciò che la comunità
ha donato all'individuo. Chi fa ciò, merita stima ed alta considerazione. La ricompensa materiale può essere
assegnata a colui che con le sue prestazioni giova
alla collettività; ma la ricompensa ideale deve consistere nella considerazione
che ognuno può pretendere, se dedica al servizio della propria nazione le forze
che la Natura gli donò e che la comunità nazionale educò e perfezionò. Allora
non è più un indegnità essere un bravo artigiano:
indegno è invece l'essere un funzionario inetto e il rubare al buon Dio il
giorno e al buon popolo il pane quotidiano. E allora
sarà ritenuto naturale che non si affidino ad un uomo funzioni alle quali non è
pari. Del resto, questo modo di attività offre l'unico criterio del diritto alla generale
parità giuridica dell'attività borghese.L'epoca
nostra si demolisce da sé: introduce il suffragio universale, chiacchiera
d'eguaglianza di diritti, ma non trova un fondamento morale di tutto ciò.
Ravvisa nella ricompensa materiale l'espressione del valore d'un
uomo, e con ciò stritola le basi della più nobile eguaglianza non riposa né può
riposare sulle prestazioni dei singoli in sé; ed è solo possibile nella forma
in cui ciascuno adempie i suoi particolari doveri. Solo così viene
eliminato, nel giudicare il valore dell'uomo, il caso che è opera della Natura,
e l'individuo è reso artefice del proprio valore sociale.Al
tempo nostro, i cui interi gruppi umani sanno solo più apprezzarsi a vicenda secondo lo stipendio che riscuotono, queste cose
non trovano comprensione. Non per questo noi rinunziamo a sostenere le nostre
idee. All'opposto: Chi vuol salvare l'epoca nostra, malata e fradicia, deve in
primo luogo avere il coraggio di identificare le cause di questa malattia. E a ciò deve provvedere il movimento social-nazionalista:
radunare, passando sopra ogni meschinità ordinare quelle forze che sono atte a
farsi campioni d'una nova concezione del mondo.Si
obietterà che in genere è difficile separare la valutazione materiale della ideale, e che la declinante valutazione del lavoro
corporale è conseguenza del minor compenso. Si dirà che il minor compenso è
alla sua volta causa d'una minor partecipazione
dell'individuo ai beni culturali della sua nazione; che così resta danneggiata
appunto la cultura ideale dell'uomo, la quale non ha nulla a che fare con la
sua attività in sé. Si soggiungerà che l'avversione al lavoro corporale ha
radice nel fatto che, in conseguenza della peggiorata rimunerazione, il livello
di cultura dell'artigiano fu abbassato: ciò che giustifica una minor
valutazione generale. In tutto
questo c'è molta verità. Ma appunto per ciò dovremo
guardarci in avvenire da una differenziazione troppo grande della misura dei
salari. Non si dica che allora verranno meno le buone
prestazioni. Sarebbe tristissimo indizio della decadenza d'un'epoca se l'impulso ad una superiore prestazione
intellettuale fosse unicamente riposto nella retribuzione più alta. Se in
questo nostro mondo una simile mentalità fosse sempre
prevalsa, l'umanità non avrebbe mai acquistati i suoi preziosi beni scientifici
e culturali. Perché le maggiori invenzioni, le
maggiori scoperte, i lavori scientifici più innovatori, i più splendidi
monumenti all'umana civiltà non furono donati al mondo dall'impulso di
guadagnar denaro. All'opposto: non di rado la loro nascita significò la
rinuncia alla felicità terrestre donata dalla ricchezza. Può darsi che oggi il denaro sia diventato
l'esclusivo signore della vita; ma un giorno l'uomo ritornerà ad inchinarsi a
più alte divinità. Oggi molte cose debbono la loro
esistenza solo all'attività del denaro e della ricchezza: ma fra esse ben poche
spno quelle che, se non esistessero, lascerebbero più
povera l'umanità. Il nostro
movimento ha pure questo compito, di annunciare gia
oggi un'epoca che darà al singolo ciò di cui ha bisogno per vivere, ma terrà
fermo il principio che l'uomo, non vive esclusivamente per i godimenti
materiali. Ciò troverà la sua espressione in una graduazione dei meriti
definita con saggezza, assicurante anche all'ultimo onesto lavoratore, per ogni
caso, una normale esistenza, nella sua qualità di uomo
e di membro della nazione. Non si dica che questo è uno stato ideale che non si
può realizzare nella pratica e non sarà mai realizzato. Perchè
anche noi non siamo così ingenui da credere possibile introdurre un giorno
un'epoca senza difetti. Ma tuttavia ci sentiamo in
obbligo di combattere gli errori riconosciuti, di superare le debolezze e di
tendere con ogni sforzo all'ideale. Già per se stessa la dura realtà addurrà
fin troppe limitazioni: e per questo appunto l'uomo deve cercare di servire
all'ultimo scopo, e gli errori non debbono
distoglierli dai suoi propositi così come egli non può rinunciare ad una
Giustizia per il solo fatto che anche questa è soggetta ad errare, e così come
si ripudia la medicina per il solo fatto che le malattie continuano a
sussistere. Bisogna guardarsi dal fare poco conto della forza di un ideale. Se
taluno è, per questo riguardo, pusillanime, e se è stato soldato, io gli
ricorderò quel tempo il cui eroismo fu dovuto alla
generale ammissione della forza dei motivi ideali. Ciò che allora spinse gli
uomini a morire non fu la preoccupazione del pane
quotidiano ma l'amore della patria, la credenza nella grandezza di questa, il
diffuso sentimento dell'onore della nazione. Solo quando il popolo tedesco si
allontanò da questi ideali per ascoltare le materiali
promesse della rivoluzione, e depose le armi, giunse, non al paradiso
terrestre ma al purgatorio dell'universale disprezzo e della generale miseria. Quindi è anzitutto necessario opporre ai contabili della
presente repubblica materiale la fede in un Reich
ideale.
CAPITOLO III
CITTADINI E SOGGETTI DELLO STATO
In generale quell'istituto che oggi viene
chiamato Stato conosce due sole specie di uomini: cittadini e stranieri.
Cittadini sono tutti quelli che o per la loro nascita o per essere stati più
tardi incorporati nello Stato posseggono il diritto di
cittadinanza; stranieri sono coloro che posseggono questo diritto in un altro
Stato. Fra gli uni e gli altri vi sono delle comparse: i cosiddetti
"apolidi": uomini che hanno l'onore di non appartenere a nessuno
degli Stati odierni, e quindi non posseggono in nessun
luogo il diritto di cittadinanza. Il diritto di cittadinanza s'acquisisce oggi
in prima linea col nascere entro i confini d'uno
Stato. La razza o l'appartenenza alla nazione non hanno
in ciò nessuna parte. Un negro, vissuto una volta nei territori di protettorato
tedesco, ed ora dimorante in Germania, mette al mondo un figlio che è
"cittadino Tedesco". E così, ogni figlio di Ebrei
o di Polacchi o di Africani o di Asiatici può essere senz'altro dichiarato
cittadino tedesco. Oltre alla cittadinanza acquisita con la nascita, sussiste
la possibilità di diventare cittadini più tardi. Possibilità connessa con varie
condizioni preliminari, per esempio, col fatto che il cittadino non sia,
possibilmente, né un ladro né un leone,che non sia
pericoloso dal punto di vista politico, che non riesca di "peso" alla
sua nuova patria politica. Naturalmente il nostro tempo materialistico pensa
solo ad un "peso" finanziario. Anzi, per affrettare l'acquisto della
cittadinanza giova oggi indicare nel candidato un futuro ottimo pagatore d'imposte.
Considerazioni razziste non vi hanno la minima parte. L'acquisto della
cittadinanza si svolge non diversamente dalla ammissione
in un club automobilistico. Il candidato presenta la sua richiesta, si procede
ad un'indagine, la richiesta è accolta, e un bel giorno gli si fa conoscere con
un biglietto che è diventato cittadino dello Stato. E la notizia gli è data in
forma umoristica: a colui che finora è stato un Zulù o
un Cafro si comunica che "è diventato
tedesco"! Siffatto sortilegio è la prerogativa di un semplice funzionario.
In un batter d'occhio, questo funzionario fa ciò che nemmeno
il Cielo potrebbe fare. Un tratto di penna, e un Mongolo diventa un
autentico "Tedesco". Non solo non ci si cura della razza di quel
nuovo cittadino, ma non ci si preoccupa nemmeno della sua sanità fisica. Egli
può essere roso dalla sifilide quanto vuole, tuttavia è benvenuto quale
cittadino per lo Stato odierno, purché non rappresenti né un onere finanziario
né un pericolo politico. Così ogni anno quel mostro che è chiamato Stato
assorbe elementi velenosi da cui non può più liberarsi. Il cittadino stesso si
distingue dallo straniero solo in questo, che a lui è aperta la via degli
uffici pubblici, che deve eventualmente prestare servizio militare e che può
partecipare, attivamente e passivamente, alle elezioni. In complesso, è tutto
qui. Perchè non di rado anche lo straniero gode la
protezione dei diritti civili e della libertà personale: per lo meno, così è
nell'attuale repubblica tedesca. So che queste cose non si odono volentieri; ma
non esiste nulla di più assurdo, di più irritante dell'odierno diritto di cittadinanza. C'è oggi uno Stato in cui si manifestano
almeno i primi indizi d'una concezione migliore: e non
è la nostra esemplare repubblica tedesca, ma l'Unione americana, dove si tenta
di fare appello almeno in parte alla ragione. L'Unione americana rifiuta gli
elementi cattivi dell'immigrazione, ed esclude semplicemente certe razze dalla
concessione della cittadinanza: e con ciò professa già, in inizi ancora deboli,
una mentalità che è propria del concetto nazionale di Stato. Lo Stato nazionale
ripartisce i suoi abitanti in tre classi: cittadini, appartenenti allo Stato, e
stranieri. La nascita conferisce solo l'appartenenza allo Stato. Questa, per
sé, non rende capaci di coprire cariche pubbliche né di esercitare un'attività
politica partecipando alle elezioni. In ogni appartenente allo Stato si deve,
in prima linea di principio, stabilire la razza e la nazionalità.
L'appartenente allo Stato può sempre rinunziare a questa appartenenza
e diventare cittadino dello Stato la cui nazionalità risponde alla sua. Lo
straniero si distingue dall'appartenente allo Stato solo in questo, che
appartiene anche ad uno Stato estero. Il giovane di nazionalità tedesca,
appartenente allo Stato, ha l'obbligo di compiere l'educazione scolastica
prescritta ad ogni Tedesco. Così si assoggetta all'educazione necessaria a
diventare un membro del popolo avente coscienza della razza e della
nazionalità. Dovrà più tardi adempiere le esercitazioni fisiche ordinate dallo
Stato e infine entrare nell'esercito. L'educazione nell'esercito è generale:
deve comprendere ogni singolo Tedesco e renderlo idoneo ad impiegare le sue
facoltà fisiche e intellettuali ad usi militari. Quando il Giovane, sano e virtuoso,
ha terminato il servizio militare, gli viene conferito
il diritto di cittadinanza. E' questo il più prezioso documento per la sua vita
terrena. Con esso assume tutti i diritti del cittadino
e ne gode tutti i vantaggi. Perché lo Stato deve fare netta distinzione fra
quelli che, in qualità di membri del popolo, sono
artefici e portatori della sua esistenza e della sua grandezza, e quelli che
soggiornano entro i confini d'uno Stato unicamente per farvi i loro guadagni.
Il certificato di cittadinanza deve essere conferito con un solenne giuramento
da prestare alla comunità nazionale e allo Stato. Questo documento deve essere
come un legame allacciante tutti i ceti e varcante tutti gli abissi.L'essere come spazzino cittadino d'un tale Reich sarà onore più alto che l'esser
re in uno Stato straniero.Il cittadino è privilegiato
di fronte allo straniero. E' il padrone del Reich. Ma quest'alta dignità comporta
doveri. Chi non ha onore né carattere, il volgare malfattore, il traditore
della patria può essere privato di tale onore; e così ridiventa un semplice
appartenente allo Stato. La fanciulla tedesca è
appartenente allo Stato; solo il matrimonio la rende cittadina: Ma il diritto
di cittadinanza può essere conferito alle Tedesche, appartenenti allo Stato,
che si guadagnano la vita.
La traduzione
integrale potete trovarla su http://www.fascismoeliberta.net/kf/MEINKAMPF.html
DISCORSI
·
Discorso di Hitler alle SA e alle
SS dopo la presa del potere (1933)
Hitler: Il grande
momento è appena cominciato. La Germania si è
svegliata! Siamo andati al potere in Germania e ora domineremo il popolo
tedesco. Lo so, camerati, a volte può essere difficile, quando si desidera un
cambiamento che non giunge, e più e più volte occorre ripetere l'appello a
continuare la lotta. Ma non dovete agire da soli,
dovete obbedire, dovete cedere e sottomettervi alla schiacciante necessità
dell'obbedienza.
SA&SS: Ave! Ave! Vittoria!
Ave! Vittoria!
·
La cerimonia di apertura
di Berlino 1936: La prima trasmissione televisiva ufficiale della storia,
presenta Adolf Hitler (1936)
·
Discorso di Hitler: "E' l'ora
delle decisioni" (1939)
An attempt at Nuremburg in April 1939 to
ready the youth of Germany to the eventuality of war:
"What is our Germany of today! How
very beautiful and heroic! When I cast my gaze upon you, I know my life's
struggle is not being fought in vain! You shall always remain faithful, as
German always have. There will always be a new generation of youth, in this
city, a city which saw the passage of centuries will see new generations. They
will be even more beautiful, they will be even more powerful, and they shall inspire
in the hearts of the living even greater hope for the future. I do not bewail -
I sound a warning! I am not fear stricken, but I want you to be prepared! I do
not tremble at the hour of decision, but I want you to see, and I want to be
strong. I want my feet planted strongly in our earth, ready to withstand any
onslaught! And you will stand by my side should that hour ever come. You will
stand before me, behind me and beside me and at my hands, and together, we
shall carry our banners to victory!"
·
Il discorso di Hitler
al Reichstag dopo l'invasione della
Polonia
Come sempre,
tentai di mediare, col metodo pacato di fare proposte
per una revisione, una modifica di questa posizione intollerabile. È una bugia
quando il mondo esterno dice che noi tentammo solamente di sostenere le nostre revisioni con le pressioni. Quindici anni prima del Partito Nazional Socialista esisteva l'opportunità di eseguire
queste revisioni con risoluzioni pacifiche e
comprensive. Di mia iniziativa ho, non una volta ma molte volte, fatto proposte
per la revisione di queste condizioni intollerabili. Tutti queste proposte, come Voi sapete, sono state respinte,
proposte per la limitazione degli armamenti e pure, se necessario, per il
disarmo, proposte per la limitazione delle cause di guerra, proposte per
l'eliminazione di certi metodi di guerra moderna. Voi conoscete le proposte che
ho fatto per soddisfare la necessità di ripristinare la sovranità tedesca sui
territori tedeschi. Voi conoscete i tentativi senza fine che feci per una
chiarificazione pacifica e comprensiva del problema dell'Austria e più tardi
del problema dei Sudeti, della Boemia e della
Moravia. Fu tutto vano. È impossibile richiedere che una posizione
'impossibile' sia chiarita con una revisione pacifica
e allo stesso tempo si rifiuti continuamente tale revisione pacifica. È anche
impossibile dire che colui che intraprende
l'esecuzione di queste revisioni da solo trasgredisca una legge, poiché il
Diktat di Versailles non è legge per noi. Una firma ci fu estorta con pistole
puntate alla nostra testa e con la minaccia della fame per milioni di persone. E poi questo documento, con la nostra firma ottenuta con la
forza, fu dichiarato legge solenne. Nello stesso modo, ho tentato anche di
risolvere il problema di Danzica, del Corridoio etc etc, proponendo una
discussione pacifica. Che i problemi dovessero essere
risolti era chiaro. È abbastanza comprensibile per noi che il tempo in cui il
problema sarebbe stato risolto aveva poco interesse per le Potenze Occidentali.
Ma quel tempo non è una questione indifferente per
noi. Inoltre, non era e non poteva essere una questione indifferente per coloro che soffrono di più. Nei miei colloqui con gli
statisti polacchi trattai le idee che Voi conoscete dal mio ultimo
discorso al Reichstag. Nessuno potrebbe dire che
questa fosse in qualsiasi modo una procedura inammissibile o una pressione
indebita. Poi, alla fine, formulai naturalmente le proposte tedesche e ancora
una volta devo ripetere che non c'è nulla di più modesto o leale di queste proposte. Mi piacerebbe dire questo al mondo. Io
solo ero nella posizione per fare tali proposte, perciò so
molto bene che nel farle mi misi contro milioni di tedeschi. Queste proposte
sono state rifiutate. Non solo essi risposero prima con la mobilitazione, ma
pure con aumentato terrore e pressione contro i nostri compatrioti tedeschi e
con uno strangolamento lento della Libera Città di Danzica,
economicamente, politicamente, e nelle recenti settimane con mezzi militari e
di trasporto.
La Polonia ha diretto i suoi attacchi contro la Libera
Città di Danzica. Inoltre, la
Polonia non era pronta a risolvere la questione del Corridoio in un modo
ragionevole che sarebbe equo a entrambe le fazioni ed Essa non pensò di mantenere
i suoi obblighi verso le minoranze. Devo qui affermare definitivamente una
cosa; la Germania ha mantenuto questi obblighi; le
minoranze che vivono in Germania non sono perseguitate. Nessun francese può
alzarsi in piedi e dire che un qualunque francese che vive nel territorio della Saar è oppresso, è torturato o è privato dei suoi diritti.
Nessuno può dire questo. Per quattro mesi ho guardato con calma gli sviluppi,
sebbene non cessassi mai di dare avvertimenti. Negli ultimi giorni ho aumentato
questi avvertimenti. Informai tre settimane fa l'Ambasciatore polacco che se
Polonia avesse continuato a spedire a Danzica delle
note in forma di ultimata, se la Polonia avesse
continuato con i suoi metodi di oppressione contro i tedeschi e se sul versante
polacco non si fosse posto fine alle misure doganali destinate a rovinare il
commercio di Danzica, allora il Reich
non sarebbe potuto rimanere inattivo. Non ebbi dubbi che le persone che
volevano comparare la Germania di oggi con la vecchia
Germania si stessero ingannando. Un tentativo fu fatto per giustificare
l'oppressione dei tedeschi affermando che essi avevano commesso atti di
provocazione. Non so in cosa potessero consistere
queste provocazioni da parte di donne e bambini, se loro stessi sono maltrattati,
in alcuni casi uccisi. Una cosa faccio sapere: che
nessuna Grande Potenza può con onore sopportare passivamente e guardare tali
eventi. Feci un ulteriore sforzo finale per accettare
una proposta di mediazione da parte del Governo britannico. Loro proposero non
che essi stessi conducessero le negoziazioni, ma piuttosto che la Polonia e la Germania entrassero in contatto diretto e
ancora una volta proseguissero le negoziazioni. Devo dichiarare che accettai
questa proposta e preparai una base per queste negoziazioni che vi sono note.
Per due giorni interi sedetti col mio Governo e aspettai per vedere se era
conveniente per il Governo polacco spedire un plenipotenziario oppure no. La notte scorsa loro non ci spedirono un
plenipotenziario, ma invece ci informarono attraverso
il loro Ambasciatore che stavano ancora considerando se e in che misura erano
in nella posizione di andare incontro alle proposte britanniche. Il Governo
polacco disse anche che avrebbe informato la Gran Bretagna della propria decisione.
Deputati, se pazientemente il Governo tedesco e il suo Leader sopportassero
tale trattamento, la Germania meriterebbe solamente di
scomparire dal palcoscenico politico. Ma mi si giudica
erroneamente se il mio amore per la pace e la mia pazienza sono confusi con la
debolezza o la codardia. Io, perciò, la scorsa notte ho deciso e ho informato
il Governo britannico che in queste circostanze non posso trovare più alcuna
buona volontà da parte del Governo polacco per condurre negoziazioni serie con
noi. Queste proposte di mediazione sono fallite perché nel frattempo, prima di
tutto, venne come risposta l'improvvisa mobilitazione
generale polacca, seguito da diverse atrocità polacche. Queste furono ripetute
di nuovo la notte scorsa. Recentemente, in una sola notte ci furono ventuno
incidenti di frontiera; la notte scorsa quattordici dei quale
tre furono piuttosto seri. Io, perciò, mi sono risolto a parlare alla Polonia nella stessa lingua che la Polonia nei mesi
passati ha usato con noi. Questo atteggiamento da parte del Reich
non cambierà. Gli altri Stati europei capiscono in parte il nostro
atteggiamento. Mi piacerebbe soprattutto qui ringraziare l'Italia che ci ha sostenuti in tutto, ma Voi comprenderete che per continuare
questa lotta noi non intendiamo fare appello a un aiuto straniero. Noi
eseguiremo questo compito da soli. Gli Stati neutrali ci hanno
assicurato il mantenimento della loro neutralità, così come noi l'abbiamo
garantita loro. Quando gli uomini di governo
dell'Occidente dichiarano che questo concerne i loro interessi, posso solo
rammaricarmi di quella dichiarazione. Non può per un momento farmi esitare
nell'adempiere il mio dovere. Cosa si vuole in più? Li
ho assicurati solennemente e lo ripeto, che noi non chiediamo nulla a questi
Stati Occidentali e mai chiederemo qualcosa. Ho dichiarato che la frontiera tra
Francia e Germania è definitiva. Ho offerto
ripetutamente amicizia e, se necessario, la cooperazione più stretta alla Gran
Bretagna, ma questo non può essere offerto da una sola parte. Deve trovare
risposta dall'altro lato. La Germania non ha interessi
in Occidente e il nostro muro occidentale sarà per tutti i tempi la frontiera
del Reich a ovest. Inoltre, Noi non abbiamo nessuna
mira di nessun genere laggiù per il futuro. Con questa assicurazione
noi siamo in solenne onestà e finché altri non violeranno la loro neutralità
noi avremo ogni cura di rispettarli. Sono particolarmente felice di potervi
raccontare un evento. Voi sapete che la Russia e la Germania
sono governate da due dottrine diverse. C'era solamente una questione che
doveva essere chiarita. La Germania non ha alcuna
intenzione di esportare la propria dottrina. Dato il fatto che la Russia
sovietica non ha alcuna intenzione di esportare la sua
dottrina in Germania, non vedo più ragione perché ci dovremmo ancora opporre
l'un l'altro. Su entrambi i lati, noi siamo stati chiari su questo. Qualsiasi lotta tra i nostri popoli sarebbe solamente di vantaggio
per altri. Noi, perciò, abbiamo deciso di concludere
un patto che ripudia per sempre qualsiasi uso di violenza tra noi. Esso ci impone l'obbligo di consultarci su certe questioni
Europee. Rende possibile per noi una cooperazione economica e soprattutto
assicura che le potenze di entrambi questi Stati non siano sprecate l'una
contro l'altra. Ogni tentativo dell'Occidente di provocare qualsiasi mutamento
in questo, fallirà. Allo stesso tempo, mi piacerebbe qui dichiarare che questa
decisione politica significa uno straordinario orientamento per il futuro che è
definitivo. La Russia e la Germania lottarono l'una
contro l'altra nella Guerra Mondiale. Ciò che poteva
essere non accadrà una seconda volta. Anche a Mosca,
questo patto fu salutato precisamente come Voi lo salutate. Posso solo
confermare parola per parola il discorso del Commissario per
gli Esteri russo, Molotov. Sono determinato a risolvere (1) la questione
di Danzica; (2) la questione del Corridoio; e (3) far
vedere che un cambiamento è stato fatto nelle relazioni tra Germania e Polonia
che assicurerà una coesistenza pacifica. In questo,
sono risoluto a continuare a lottare fino a che o l'attuale Governo polacco
sarà disposto ad eseguire questo cambiamento o finché un altro Governo polacco
sarà pronto a farlo. Sono determinato a rimuovere dalle frontiere tedesche l'elemento
di incertezza, l'atmosfera eterna di condizioni che
assomigliano a una guerra civile. Mostrerò loro che a
Oriente, sulla frontiera, esiste una pace precisamente simile a quella presente
sulle altre nostre frontiere. In questo, prenderò le misure necessarie per far
sì che essi non contraddicono le proposte già rese note nel Reichstag
stesso al resto del mondo cioè che non guerreggerò
contro donne e bambini. Ho ordinato alla mia aeronautica militare di limitarsi a attacchi su obiettivi militari. Se, comunque,
il nemico pensa che potrà avere carta bianca da parte sua per combattere con
altri metodi, riceverà una risposta che lo ammutolirà. Questa notte per la
prima volta, dei soldati regolari polacchi spararono sul nostro territorio.
Dalle 5:45 noi stiamo rispondendo al fuoco e da ora in
poi alle bombe risponderemo con le bombe. Chiunque combatterà
con gas velenosi sarà combattuto con gas velenosi. Chiunque violerà le
regole di guerra può aspettarsi solamente che noi
faremo lo stesso. Continuerò questa lotta, non importa contro chi, fino a che l'incolumità del Reich
e i suoi diritti saranno assicurati. Da sei anni ormai, sto lavorando
all'edificazione delle difese tedesche. Oltre 90 miliardi
sono stati spesi in questo periodo per costruire queste forze di difesa.
Esse ora sono le meglio equipaggiate soprattutto a paragone con quello che erano nel 1914. La mia fiducia in loro è incrollabile. Quando richiamai queste forze e quando, ora, chiedo il sacrificio
del popolo tedesco e se necessario ogni sacrificio, avevo diritto di farlo,
perché sono oggi assolutamente pronto, come lo ero in precedenza, a fare ogni
sacrificio personale. Non sto chiedendo a alcun
uomo tedesco più di ciò che ero personalmente pronto a fare in qualsiasi
momento durante questi quattro anni. Non ci saranno fatiche per tedeschi alle
quali io non mi sottoporrò. La mia vita intera appartiene d'ora innanzi più che
mai al mio popolo. Sono da ora in poi il primo soldato del Reich
tedesco. Ancora una volta indosso l'abito che è a me più
sacro e caro. Non lo toglierò fino a che la vittoria sarà assicurata o
non sopravvivrò alle conseguenze. Qualunque cosa dovesse
accadermi nella lotta, il mio primo successore è il Camerata di Partito Göring; qualunque cosa dovesse accadere al Camerata di
Partito Göring, il successore sarà il camerata di
Partito Hess. Voi avrete l'obbligo di dare loro come
Führer la stessa lealtà e obbedienza cieca che date a me. Se qualsiasi cosa accadesse al Camerata di Partito Hess,
allora per legge il Senato sarà convocato e sceglierà dal suo interno il più
degno - vale a dire il più coraggioso - successore. Come
Socialista Nazionale e come soldato tedesco entro in questa lotta con cuore
indomito. La mia intera vita non è stata se non una lunga lotta per il
mio popolo, per la sua restaurazione e per la Germania.
C'era solamente una parola d'ordine per quella lotta: fede in questo popolo. Solo una parola che non ho imparato mai: ovvero, resa.
Se, comunque, qualcuno pensa che noi fronteggeremo dei
tempi duri, gli direi di ricordare che una volta un Re di Prussia,
con uno Stato ridicolmente piccolo, si oppose a una coalizione e in tre guerre
finalmente uscì vincitore perché quello Stato aveva quel cuore indomito di cui
noi abbiamo bisogno in questi tempi. Mi piacerebbe assicurare, perciò, al mondo
intero che un altro Novembre 1918 non si ripeterà
nella storia tedesca. Così come io sono pronto in qualunque momento a mettere
in gioco la mia stessa vita - così che chiunque possa prenderla per il mio
popolo e per la Germania - così chiedo lo stesso a
tutti gli altri. Chiunque, comunque, pensi di potersi
opporre a questo comando nazionale, non importa se direttamente o
indirettamente, cadrà. Abbiamo nulla a che fare con i traditori. Noi siamo del tutto fedeli al nostro vecchio principio. È senza
importanza se noi stessi viviamo, ma è essenziale che il
nostro popolo viva, che la Germania viva. Il sacrificio che ci è richiesto non è più grande del sacrificio che molte
generazioni hanno fatto. Se noi formiamo una comunità
strettamente legata da voti, pronta a qualunque cosa, determinata a non
arrendersi mai, allora la nostra volontà dominerà ogni fatica e difficoltà. E
mi piacerebbe chiudere con la dichiarazione che feci
una volta quando cominciai la lotta per il potere nel Reich.
Dissi allora: "Se la nostra volontà è così forte che nessuna fatica e
sofferenza può soggiogarla, allora la nostra volontà e la nostra potenza
tedesca potranno prevalere".
·
Telegramma di Hitler a Mussolini, 10 giugno 1940
Duce, la decisione storica che Voi avete oggi proclamato mi ha
commosso profondamente. Tutto il popolo tedesco pensa in questo momento a Voi e
al vostro Paese.Le forze armate germaniche gioiscono
di poter essere in lotta al lato dei camerati italiani. Nel settembre dell’anno
scorso i dirigenti britannici dichiararono al reich
la guerra, senza un motivo. Essi respinsero ogni offerta di un regolamento
pacifico. Anche la Vostra proposta di mediazione si
ebbe una risposta negativa. Il crescente sprezzo dei diritti nazionali
dell'ITALIA da parte dei dirigenti di Londra e di Parigi ha condotto noi,che siamo stati sempre legati nel modo più stretto
attraverso le nostre Rivoluzioni e politicamente per mezzo dei trattati, a
questa grande lotta per la libertà e per l'avvenire dei nostri popoli
Le frasi di Hitler
"Il
mio motto è distruggere tutto. Il nazional-socialismo distruggerà il
mondo"
"Demoralizzare il nemico colpendo di sorpresa, spargendo
terrore, sabotando e uccidendo. Così si vinceranno le guerre."
"L’acquisizione
di nuovi territori si deve sviluppare solo verso est"
"La
forza non sta nella difesa ma nell’attacco"
"Dobbiamo
chiudere i cuori della pietà ed assumere un contegno brutale. I diritti di ottanta milioni di persone devono essere rispettati; la
loro esistenza deve essere garantita. Il più forte ha ragione. Prontezza di
decisione e ferma fiducia sono necessarie al soldato tedesco. Non vi sono crisi,
se i nervi del fuhrer resistono."
"Annientare
una vita senza valore non comporta alcuna colpa, il debole deve essere
distrutto."
"Il
vero responsabile di questo conflitto omicida: il giudaismo! Non ho nascosto a
nessuno il fatto che questa volta non si sarebbe consentito che milioni di
figli delle nazioni ariane d’Europa morissero di fame, che milioni di uomini adulti subissero la morte, che centinaia di
migliaia di donne e bambini venissero arsi vivi nelle città o morissero sotto i
bombardamenti, senza che il vero colpevole pagasse il fio del suo delitto, sia
pure con metodi più umani. Prima di ogni altra cosa
chiedo ai capi della nazione e ai loro seguaci di osservare scrupolosamente le
leggi razziali e di opporsi implacabilmente al veleno universale di tutti i
popoli, il giudaismo internazionale."
"Se
l'ebreo trionfa sui popoli di questa terra, allora la sua corona diverrà la
danza di morte per l'umanità, allora questo pianeta tornerà a muoversi
nell'etere privo di abitanti, come migliaia di anni
fa. Perciò io credo di agire oggi nel nome del
Creatore onnipotente; combattendo contro l'ebreo, io mi batto per l'opera del
Signore".