OPERE

 

 

 

Mein Kampf

 

 

CAPITOLO I

WELTANSCHHAUUNG E PARTITO


Il 24 febbraio 1920 ebbe luogo la prima grande manifestazione pubblica del nostro giovane movimento. Nel salone della Birreria reale, a Monaco le venticinque tesi del programma del nuovo partito furono esposte ad una moltitudine di quasi duemila persone, e ciascun punto fu approvato fra grida di consenso e di giubilo.Con ciò furono poste le direttive e i principi fondamentali di una lotta mirante a farla finita con la sozzura vera e propria di concezione e di opinioni decrepite e con tutti gli scopi poco chiari, anzi dannosi. Una nuova forza doveva scagliarsi contro il pigre e codardo mondo borghese, contro la marcia trionfale della ondata marxista, per rimettere in equilibrio, all'ultima ora, il carro del Destino.Com'era naturale, il nuovo movimento poteva solo sperare di acquistare l'importanza e la forza necessaria a questa gigantesca lotta, se fin dal primo giorno fosse riuscito a destare nel cuore dei suoi partigiani la sacra certezza che esso non dava alla vita politica una nuova parola d'ordine elettorale ma le presentava una nuova concezione del mondo, fondata sui principi eterni, e di suprema importanza.Si pensi,di quali pietosi elementi  siano composti in generale, i cosiddetti "programmi di partito", e come di tempo in tempo vengano spolverati e rimessi alla moda! E' necessario porre sotto la lente d'ingrandimento i motivi essenziali delle "commissioni per il programma" dei partiti, soprattutto borghesi, per bene intendere il valore di questi aborti programmatici.Una sola preoccupazione spinge a costruire programmi nuovi o a modificare quelli che già esistono: la preoccupazione dell'esito delle prossime elezioni. Non appena nella testa di questi giullari del parlamentarismo balena il sospetto che l'amato popolo voglia ribellarsi e sgusciare dalle stanghe del vecchio carro del partito, essi danno una mano di vernice al timone. Allora vengono gli astronomi e gli astrologhi del partito, i cosiddetti "esperti" e "competenti", per lo più vecchi parlamentari che, ricchi di esperienze politiche, rammentano casi analoghi in cui la massa finì col perdere la pazienza, e che sentono avvicinarsi di nuovo una minaccia dello stesso genere. E costoro ricorrono alle vecchie ricette, formano una "commissione", spiegano gli umori del buon popolo, scrutano gli articoli dei giornali e fiutano gli umori delle masse per conoscere che cosa queste vogliano e sperino, e di che cosa abbiano orrore. Ogni gruppo professionale, e perfino ogni ceto d'impiegati viene esattamente studiato, e ne sono indagati i più segreti desideri. Di regola, in questi casi diventano maturi per l'indagine anche "i soliti paroloni" della pericolosa opposizione e non di rado, con grande meravigli di coloro che per primi li inventarono e li diffusero, quei paroloni entrano a far parte del tesoro scientifico dei vecchi partiti, come se ciò fosse la cosa più naturale del mondoLe commissioni si adunano e "rivedono" il vecchio programma e ne foggiano le loro convinzioni come il soldato al campo cambia la camicia, cioè quando quella vecchia è piena di pidocchi. Nel nuovo programma, è dato a ciascun il suo. Al contadino è data la protezione della agricoltura, all'industria quella dei suoi prodotti; il consumatore ottiene la difesa dei suoi acquisti, agli insegnati vengono aumentati gli stipendi, ai funzionari le pensioni. Lo Stato provvederà generosamente alle vedove e agli orfani, il commercio sarà favorito, le tariffe dei trasporti saranno ribassate, e le imposte, se non verranno abolite, saranno però ridotte. Talvolta avviene che un ceto di cittadini sia dimenticato o che non si faccia luogo ad una diffusa esigenza popolare. Allora si inserisce in gran fretta nel programma ciò che ancora vi trova posto, fin da quando si possa con buona coscienza sperare di avere colmato l'esercito dei piccoli borghesi e delle rispettive mogli, e di vederlo soddisfatto. Così, bene armati e confidando nel buon Dio e nella incrollabile stupidità degli elettori, si può iniziare la lotta per la "riforma" (come si vuol dire) dello Stato.Quando poi il giorno delle elezioni è passato e i parlamentari del quinquennio hanno tenuto il loro ultimo comizio, per passare all'addomesticamento della plebe all'adempimento dei loro più piacevoli compiti, la commissione per il programma si scioglie. E la lotta per il nuovo stato di cose riprende le forme della lotta per il pane quotidiano: presso i deputati, questo si chiama "identità parlamentare".Ogni mattina, il signor  rappresentante del popolo si reca alla sede del Parlamento; se non vi entra, almeno si porta fino all'anticamera dove è esposto l'elenco dei presenti. Ivi, pieno di zelo per il servizio della nazione, iscrive il suo nome e, per questi continui debilitanti sforzi, riceve in compenso un ben guadagnato indennizzo.Dopo quattro anni, o nelle settimane critiche in cui si fa sempre più vicino lo scioglimento della Camera, una spinta irresistibile invade questi signori. Come la larva non può far altro che trasformarsi in maggiolino, così questi bruchi parlamentari lasciano la grande serra comune ed, alati, svolazzano fuori, verso il carro popolo. Di nuovo parlano agli elettori, raccontano dell'enorme lavoro compiuto e della perfida ostinazione del altri; ma la massa ignorante, talvolta invece di applaudire li copre di parole grossolane, getta loro in faccia grida di odio. Se l'ingratitudine del popolo raggiunge un certo grado, c'è un solo rimedio: bisogna rimettere a nuovo lo splendore del partito, migliorare il programma; la commissione, rinnovata, ritorna in vita e l'imbroglio ricomincia. Data la granitica stupidità della nostra umanità, non c'è da meravigliarsi dell'esito. Guidato dalla sua stampa e abbagliato dal nuovo adescante programma, l'armento "proletario" e quello "borghese" ritornano alla stalla comune ed eleggono i loro vecchi ingannatori.Con ciò, l'uomo del popolo, il candidato dei ceti produttivi si trasforma un'altra volta nel bruco parlamentare e di nuovo si nutre delle foglie dell'albero statale per mutarsi, dopo altri quattro anni, nella variopinta farfalla.Nulla è più mortificante che l'osservatore, nella sua semplice realtà, questo processo, che il dover assistere ad un trucco sempre rinnovatosi. Certo, col alimento di questo terreno spirituale non si attingerà mai in campo borghese la forza di condurre la lotta contro l'organizzata potenza del marxismo!E' anche vero che questi signori non pensano mai sul serio a ciò. Tenuto pur conto di tutta la cortezza di mente e di tutta l'inferiorità spirituale di questi "stregoni" parlamentari della razza bianca, neppure essi possono immaginarsi seriamente di battersi, sul terreno d'una democrazia occidentale, contro una dottrina per la quale la democrazia, con tutti i suoi annessi e connessi, non è nella migliore delle ipotesi altro che un mezzo impiegato per paralizzare l'avversario e per spianare la vita alle proprie azioni. Se è vero che una parte del marxismo cercò, con molta scaltrezza, di far credere d'esser indissolubilmente congiunta con le massime della democrazia, non si deve però dimenticare che nelle ore critiche quei signori non si curarono un fico di prendere una decisione di maggioranza conforme alle concezioni della democrazia occidentale! Alludo ai giorni in cui i parlamentari borghesi ravvisarono garantita la sicurezza del Reich dalla prevalenza del numero, mentre il marxismo traeva senz'altro a se il potere, insieme con un mucchio di vagabondi, disertori, bonzi di partito, e letterati, ebrei, mettendo così la museruola alla democrazia. Certo, ci vuole la credulità d'uno di questi "stregoni" parlamentari della democrazia borghese per figurarsi che ora o in avvenire la brutale risolutezza degli interessati o dei portatori di quella peste mondiale possa essere eliminata dai semplici esorcismi d'un parlamentarismo occidentale.Il marxismo marcerà con la democrazia fin quando riuscirà a conservare, per via indiretta, ai suoi fini delittuosi l'appoggio del mondo intellettuale nazionale da lui destinato alla morte. Ma se esso oggi venisse a convincersi che nello stregato calderone della nostra democrazia parlamentare potesse ad un tratto formarsi una maggioranza che (fosse solo sul fondamento maggioritario che l'abilita a legiferare) mettesse alle strette il marxismo, le gherminelle parlamentari sarebbero presto finite. Allora gli alfieri dell'Internazionale rossa, in luogo di rivolgere un appello alla coscienza democratica, lancerebbero una invocazione incendiaria alle masse proletarie, e la loro lotta si trasferirebbe, di colpo, dalla mefitica atmosfera dell'aula parlamentare alle fabbriche ed alle strade. E la democrazia sarebbe spacciata; e ciò che non sarebbe riuscito alla flessibilità  morale di quegli apostoli del popolo in Parlamento riuscirebbe in un lampo, come nell'autunno 1918, alle leve e ai martelli delle aizzate masse proletarie: le quali insegnerebbero al mondo borghese quanto sia stolto immaginarsi di potersi opporre, per mezzo della democrazia occidentale, alla conquista ebraica del mondo.Come dissi, ci vuole un bel grado di credulità per legarsi, di fronte ad un simile giocatore, a regole che per costui esistono solo per servirsene a scopo di bluff od a proprio profitto, e che il giocatore non osserverà più non appena cessino di rispondere al suo interesse.Poiché, per tutti i cosiddetti partiti borghesi la lotta politica consiste solo nell'azzuffarsi per conquistare seggi in Parlamento, e i principi e gli orientamenti vengono abbandonati a seconda dell'opportunità. Lo stesso valore hanno, s'intende, i loro programmi, e nello stesso senso sono valutate le loro forze. Manca loro quella grande attrazione magnetica a cui la larga massa obbedisce solo sotto la impressione di grandi ed eminenti punti di vista, sotto la forza persuasiva di un'assoluta fede nella bontà di questi punti di vista accoppiata alla fanatica volontà di battersi per essi.Ma in un tempo in cui l'una delle parti, armata di tutte le armi di una concezione del mondo sia pure mille volte delittuosa, si lancia all'assalto dell'ordine costituito, opporre resistenza l'altra parte può solo se la resistenza stessa riveste le forme d'una fede nuova, nel caso nostro, d'una nuova fede politica, e se alla parola di una debole e codarda difesa sostituisce il grido di guerra d'un coraggioso e brutale assalto.Quindi, se oggi al nostro movimento vie fatto, da parte soprattutto dei cosiddetti ministri nazionali borghesi, ed anche del centro cattolico lo spiritoso rimprovero di tendere ad una "rivoluzione", a questo politicantismo da burla si può dare una sola risposta: "Si, noi cerchiamo di ricuperare ciò che voi, nella vostra criminale stoltezza, avete perduto. Voi, coi i principi del vostro parlamentarismo da bifolchi, avete contribuito a trascinare all'abisso la nazione; noi invece, nelle forme dell'assalto, istituendo una nuova concezione del mondo e diffondendo con fanatismo i principi essenziali, costruiremo al nostro popolo i gradini per i quali potrà un giorno ascendere di nuovo al tempio della libertà".Perciò, nell'epoca della fondazione del nostro movimento, dovremmo sempre ed anzitutto preoccuparci di impedire che un esercito di combattenti per una nuova radiosa convinzione si tramutasse in una semplice lega per il favoreggiamento di interessi parlamentari.La prima misura preventiva fu la creazione d'un programma spingente ad un'evoluzione che già nella sua intima grandezza appariva idonea a scacciare gli spiriti deboli e meschini della nostra odierna politica di partito.Ma l'esattezza della nostra idea, che fosse necessario imprimere al nostro programma mete finali ben nette e recise, risultò nel modo più chiaro da quei funesti mali che condussero al crollo della Germania.Dal riconoscimento dell'esattezza della nostra concezione dovette formarsi una nuova concezione dello Stato che a sua volta è un elemento essenziale d'una novo concezione del mondo.La parola "popolare" o "nazionale" è troppo poco concettualmente definita per permettere la creazione d'una chiusa comunità di combattenti. Al giorno d'oggi una quantità di cose che nei loro fini essenziali divergono immensamente fra loro passa sotto la denominazione comune di "nazionale". Quindi io, prima di accingermi a spiegare i compiti e gli scopi del partito operaio nazionalsocialista tedesco, vorrei chiarire il concetto di "nazionale" e il suo rapporto col movimento del partito.Il concetto di "nazionale" appare tanto poco chiaramente impostato, tanto variamente interpretabile e di significato pratico tanto illimitato quanto, per esempio, la parola "religioso". Anche con questa parola è assai difficile rappresentarsi alcunché di preciso, né nel senso spirituale né nell'azione pratica. La parola "religioso" diventa chiara e comprensibile solo quando va congiunta ad una determinata forma di azione. Si dà una spiegazione molto bella ma di poco valore quando si definisce "profondamente religioso" il temperamento di un uomo. Forse, alcuni pochi si contenteranno d'una definizione così generica, la quale potrà trasmettere loro un'immagine più o meno netta di quello stato d'animo. Ma la grande massa non è composta né di santi né di filosofi; e per i singoli, una simile idea religiosa, del tutto generica, significherà solo la libertà del pensiero e dell'azione individuale, senza avere l'efficacia che l'intima nostalgia religiosa ottiene nel momento in cui il puro sconfinato pensiero metafisico si trasforma in una fede religiosa nettamente limitata. Certo, questo non è il fine in sé, ma solo un mezzo per raggiungere il fine. E questo fine non è solo ideale: in ultima analisi, è anche pratico. Bisogna convincersi che i più alti ideali corrispondono sempre ad una profonda necessità della vita, così come, in fin dei conti, la nobiltà della più sublime bellezza si trova solo in ciò che è più logico e più opportuno.La fede eleva l'uomo al di sopra dell'esistenza animale e contribuisce a rafforzare ed assicurare l'esistenza. Si tolgano all'odierna umanità i principi religiosi e morali corroborati dalla sua educazione e aventi per essa un valore di morale pratica, abolendo l'educazione religiosa senza sostituirle nulla di equivalente: ne risulterà una grave scossa delle fondamenta dell'esistenza. Si può stabilire che non solo l'uomo vive per servire ideali superiori ma questi stessi ideali danno la premessa della sua esistenza come uomo. E così il cerchio si chiude.Com'è naturale, già nel generico termine di "religioso" si trovano certe idee o convinzioni fondamentali, per esempio quella dell'indistruttibilità dell'anima, dell'eternità della sua esistenza, della realtà d'un Essere supremo, ecc. Ma queste idee, per quanto convincenti per l'individuo, vanno soggette all'esame critico dell'individuo medesimo e all'oscillazione fra il consenso e il ripudio, fin quando il presentimento o il riconoscimento sentimentale non assumono la forza di una fede apodittica. E' questo il primo fra i fattori di combattimento che apre una breccia all'accettazione di principi religiosi e spiana la strada.Senza una fede nettamente limitata, la religiosità, vaga e multiforme, non solo sarebbe priva di valore per la vita umana ma condurrebbe, con ogni probabilità, ad uno scompiglio generale.Le cose vanno col concetto "nazionale" così come col concetto "religioso". Anche in quello si trovano già certi riconoscimenti fondamentali. ma essi, sebbene molto importanti, sono per la loro forma, determinanti con così poca chiarezza da non elevarsi al di sopra del valore d'una opinione se non quando vengono intesi come elementi essenziali entro la cornice d'un partito politico. Perché la  realizzazione di ideali rispondenti ad una concezione del mondo, e delle esigenze che ne derivano non segue in grazia del sentimento puro né della intima volontà dell'uomo in sé, così come conquista della libertà non segue dal generale desiderio di libertà. No; solo quando l'aspirazione ideale all'indipendenza viene organizzata e resa idonea al combattimento in forma di mezzi di potenza militari, solo allora l'impulso di un popolo può trasformarsi in splendida realtà.Ogni concezione del mondo, quand'anche fosse mille volte giusta ed utile all'umanità, non avrà importanza per la conformazione pratica della vita d'un popolo fin quando i suoi principi non saranno diventati il vessillo d'un movimento popolare di lotta, e questo movimento sarà solo un partito fin quando la sua azione non si sarà completata con la vittoria delle sue idee, fin quando i suoi dogmi di partito non formeranno le nuove leggi statali della comunità d'un popolo.Ma se una idea morale generica vuol servire di fondamento ad un futuro sviluppo, è necessario, anzitutto, creare un assoluta chiarezza circa l'essenza, il genere e la ampiezza di quella idea: perché solo su una simile base si può edificare un movimento capace di sviluppare nella intima omogeneità delle sue convinzioni la forza necessaria alla lotta.Con le idee generali si deve coniare un programma politico, con una generica concezione del mondo una determinata politica.Questa fede, poiché il suo scopo deve essere praticamente raggiungibile, dovrà non solo servire all'idea in sé ma occuparsi pure dei mezzi di combattimento che già sussistono per condurre quest'idea alla vittoria e che debbono trovare l'impiego. Ad un'idea morale astratta che spetta all'autore d'un programma di propagandare, deve  associarsi quel riconoscimento pratico che è proprio dell'uomo politico. Perciò un ideale eterno deve purtroppo, quale stella polare dell'umanità, tenere conto delle debolezze di questa umanità, per evitare loro di naufragare contro la generale insufficienza umana. All'indagatore della verità deve unirsi il conoscitore della psiche popolare per estrarre dal regno della verità eterna e dell'ideale ciò che è umanamente possibile a noi piccoli mortali, e dargli forma.La trasformazione di un'idea generica, d'una concezione del mondo esattissima, in una comunità di credenti e di combattenti delimitata con precisione, rigidamente organizzata, una di spiriti e di volontà, è il compito più importante: perché solo dalla esatta soluzione di tal fine è necessario che dall'esercito di milioni di uomini aventi, in modo più o meno chiaro, il presentimento e, in parte, la compressione di questa verità, esca un uomo. Quest'uomo dovrà, con forza apodittica, con le ondeggianti idee dell'ampia massa foggiare granitici principi e condurrà la lotta per realizzarli fin quando, dalle onde d'un libero mare d'idee, si elevi la bronzea rupe d'un'unitaria comunanza di fede e di volontà.Il diritto, comune a tutti, di agire così è fondato sulla sua necessità; il diritto personale è fondato sul successo.Se tentiamo di estrarre dalla parola "nazionale" il senso profondo, giungiamo alla seguente constatazione:La concezione politica oggi corrente si basa in generale sull'idea che allo Stato si debba assegnare una forza creatrice, civilizzatrice ma che allo Stato, non abbia nulla di comune con premesse di razza. Lo Stato sarebbe piuttosto un prodotto di necessità economiche o, nel migliore dei casi, il risultato naturale di forze e di impulsi politici. Questa concezione fondamentale conduce, nel suo sviluppo logico, non solo al misconoscimento delle primordiali forze etniche, ma anche ad una sottovalutazione della persona. Perché, se si contesta la diversità delle singole razze in riguardo alle loro forze d'incivilimento, si deve di necessità trasferire questo grande errore anche al giudizio dei singoli. L'ammissione dell'equivalenza delle razze diventa la base di una eguale valutazione dei popoli e, inoltre, dei singoli individui. E il marxismo internazionale non è altro che il trasferimento, operato dall'ebreo Carlo Marx, d'una concezione che in realtà esisteva già da gran tempo, ad una determinata professione di fede politica. Se non fosse già esistita questa intossicazione molto diffusa, non sarebbe mai stato possibile lo stupefacente successo politico di quella dottrina. Carlo Marx in realtà fu solo uno tra milioni che, nel pantano d'un mondo in putrefazione, riconobbe col sicuro sguardo del profeta i veleni essenziali, e li estrasse, per concentrarli, come un negromante, in una soluzione destinata ad annientare in fretta l'esistenza indipendente di libere nazioni sulla Terra.Ma tutto ciò egli fece al servizio della sua razza.Così, la dottrina marxista è l'estratto, la quintessenza della mentalità oggi vigente. Già per questo motivo è impossibile, anzi ridicola, ogni lotta del nostro cosiddetto mondo borghese contro di essa; poiché anche questo mondo borghese è impregnato di tutti quei veleni ed ha una concezione del mondo che solo per gradi e per persone si distingue dalla marxista. Il mondo borghese è marxista, ma crede alla possibilità della dominazione di determinati gruppi umani (borghesia), mentre il marxismo stesso mira a mettere metodicamente il mondo nelle mani del giudaismo.All'opposto, la concezione nazionale, razzista, riconosce il valore dell'umanità nei suoi primordiali elementi di razza. In conformità coi suoi principi, essa ravvisa nello Stato soltanto un mezzo per raggiungere un fine, il fine della conservazione dell'esistenza razzista degli uomini. Con ciò, non crede affatto ad un'eguaglianza delle razze, ma riconosce che sono diverse e quindi hanno un valore maggiore o minore; e da questo riconoscimento si sente obbligata ad esigere, in conformità con l'eterna Volontà che domina l'Universo, la vittoria del migliore e del più forte, la subordinazione del peggiore e del più debole.E così rende omaggio all'idea fondamentale della natura, che è aristocratica e crede che questa legge abbia fino al più umile individuo. Essa riconosce non solo il diverso valore delle razze ma anche quello degli individui. Estrae dalla massa l'individuo di valore, e opera così da organizzatrice, di fronte al marxismo disorganizzatore. Crede nella necessità di idealizzare l'umanità, ravvisando solo in questa  idealizzazione la premessa dell'esistenza dell'umanità stessa. Ma non può concedere ad un'idea etica il diritto di esistere se questa idea costituisce un pericolo per la vita razziale dei portatori d'un'etica superiore, perché in un mondo imbastardito e "negrizzato" sarebbero perduti per sempre i concetti dell'umanamente bello e sublime, nonché ogni nozione d'un avvenire idealizzato del genere umano.Nel nostro continente, la cultura e la civiltà sono connesse, in modo indissolubile, con la presenza degli Ari. Il tramonto e la scomparsa dell'Ario ricondurrebbe sul globo terrestre tempi di barbarie.Il seppellire il contenuto della civiltà umana mediante l'annientamento di coloro che la rappresentano appare il più deprecabile fra i delitti agli occhi d'una concezione nazionale del mondo. Chi osa mettere la mano sulla più alta fra le creature di questa meraviglia e collabora alla sua espulsione dal Paradiso.Quindi, la concezione nazionale del mondo risponde alla più intima volontà della Natura, poiché restaura quel libero giuoco delle forze che deve condurre ad una durevole reciproca educazione delle razze, finché, grazie al conquistato possesso di questa Terra, venga spianata la via ad una migliore umanità, la quale possa operare in campi situati in parte al di sopra e in parte al di fuori di essa. Noi tutti presentiamo che in un lontano avvenire gli uomini dovranno affrontare tali problemi, che a dominarli sarà eletta una razza superiore, una razza di padroni, che disporrà dei mezzi e delle possibilità di tutto il globo.Come ben s'intende, una fissazione tanto generica del contenuto d'una concezione razzista del mondo permette migliaia di interpretazioni diverse. In realtà, non c'è nessuna delle nostre nuove fondazioni politiche che in qualche modo non si richiami a quella concezione. Ma quest'ultima, appunto col fatto di avere un'esistenza propria di fronte alle molte altre, dimostra che qui si tratta di concezioni diverse. Così, con la concezione marxista, diretta da un organismo supremo unitario, contrasta un miscuglio di concezioni che già dal punto di vista delle idee fu meschina impressione a petto del chiuso fronte nemico. Non si vince con armi deboli! Solo quando alla concezione internazionale marxista (rappresentata in politica dal marxismo organizzato) si opporrà una concezione nazionale altrettanto unitariamente organizzata e diretta, e solo se sarà eguale nei due campi l'energia del combattere, la vittoria si troverà dalla parte della verità eterna. Ma una data concezione del mondo può solo essere organizzata sulla base d'una precisa formulazione di quella: i principi fondamentali d'un partito sono per un partito politico in formazione, ciò che per la fede sono i dogmi.Quindi, per la concezione nazionale del mondo bisogna creare un strumento che le assicuri la possibilità di ottenere una rappresentanza battagliera, così come la organizzazione marxista di partito spiana la via all'internazionalismo.Il partito nazional-socialista persegue questa meta.La fissazione, a servizio d'un partito, del concetto nazionale è la condizione preliminare del trionfo della concezione nazionale. Ciò è nel mondo più chiaro provato da un fatto ammesso, almeno in modo indiretto, perfino dagli avversari di quel collegamento fra concezioni e partito. Appunto color che non si stancano mai di accentuare che la concezione nazionale del mondo non è retaggio di un individuo ma sonnecchia o "vive" nel cuore di milioni di uomini, documentano con ciò la verità di questo fatto, che la generale presenza di tali idee nel cuore degli uomini non basta a impedire la vittoria delle concezioni opposte, rappresentate da partiti politici di classe. Se non fosse così, il popolo tedesco avrebbe già oggi riportata un'immensa vittoria, mentre in realtà si trova sull'orlo di un abisso.Ciò che diede la vittoria alla concezione internazionale fu la circostanza che essa è rappresentata da un partito politico organizzato in reparti d'assalto. Ciò che fece soccombere la concezione opposta fu la mancanza (finora) d'una rappresentanza unitaria. Una concezione del mondo può solo combattere e vincere nella forma limitata e comprensiva d'un'organizzazione politica, non nelle illimitata libertà d'interpretazione d'una dottrina generica.Perciò io considerai mio proprio compito quello di estrarre dalla materia vasta ed informe di una concezione generale le idee essenziali, dando loro forma più o meno dogmatica; idee che nella loro chiara delimitazione sono idonee a dare un'organizzazione unitaria a coloro che le accettano. In altre parole: Il partito nazional-socialista riprende le linee essenziali d'una concezione del mondo genericamente nazionale e, tenendo conto della realtà pratica, dei tempi, del materiale umano esistente, e delle debolezze umane, foggia con esse una professione di fede politica. Questa, alla sua volta, crea, nell'organizzazione rigida di grandi masse umane resa così possibile, le condizioni preliminari per il trionfo di quella concezione.

 

CAPITOLO II

LO STATO


Fin dal 1929-21 i circoli dell'ormai superato mondo borghese rinfacciavano al nostro movimento di assumere una posizione negativa di fronte allo Stato odierno. E da ciò i partiti politici di tutte le tendenze traevano per sé il diritto d'intraprendere con tutti i mezzi la lotta e la persecuzione contro il giovane incomodo annunciatore di una nuova concezione. Si dimenticò, di proposito, che oggi lo stesso mondo borghese non c'è e che non vi può essere una definizione unitaria di questa idea. Spesso gli interpreti seggono nelle nostre Università in qualità di professori di diritto pubblico, il cui compito più alto è quello di trovare spiegazioni e giustificazioni della più o meno felice esistenza di quello Stato che fornisce loro gli alimenti. Quanto più assurda è la forma d'uno Stato, tanto più oscure, artificiose e incompressibili sono le definizioni dello scopo della sia esistenza. Che poteva mai scrivere, per esempio, un imperiale regio professore di Università sul senso e sullo scopo d'uno Stato in un paese la cui esistenza statale personifica il più grande aborto del secolo ventesimo?Era  questo un compito ben grave, se si riflette che per l'odierno professore di diritto pubblico esiste meno l'obbligo della verità che il conseguimento d'uno scopo determinato. E lo scopo è questo: conservare ad ogni costo quel mostro di meccanismo umano che oggi è chiamato Stato. Ciò posto, non c'è da stupirsi se nella soluzione di questo problema si evitano quanto più possibile i punti di vista reali per immergersi invece in un miscuglio di valori ideali, di compiti e di scopi "etici" e "morali".All'ingrosso si possono distinguere tre gruppi:a) il gruppo di coloro che nello Stato ravvisano semplicemente una comunità più o meno volontaria di uomini sotto una sovrana potestà di impero.Questo è il gruppo più numeroso. Nelle sue file si trovano, particolarmente, gli adoratori dell'odierno principio di legittimità, ai cui occhi la volontà dell'uomo non sostiene nessuna parte in tutto questo affare. Per essi, nel solo fatto della esistenza d'uno Stato è già fondata la sua sacrosanta invulnerabilità. Per adattarsi a questo vaneggiamento di cervelli umani, occorre avere una canina adorazione dell'autorità statale. Nella testa di questa gente, in un attimo il mezzo si trasforma nello scopo finale. Lo Stato non esiste più per servire gli uomini; ma gli uomini esistono per adorare un'autorità statale che racchiude in sé anche l'ultimo dei funzionari. Affinché questa tacita, estatica adorazione non si tramuti in inquietudine, in agitazione, l'autorità statale esiste unicamente per conservare l'ordine e la calma, e viceversa, l'ordine e la calma debbono rendere possibile l'esistenza della Stato. La vita intiera deve muoversi entro questi due poli.In Baviera, questa mentalità è in prima linea rappresentata dagli artisti politici del Centro bavarese, chiamato "partito populista bavarese"; in Austria, dai legittimisti giallo-neri; e il Reich, purtroppo, gli elementi cosiddetti conservatori si fanno questa idea dello Stato.b) Il secondo gruppo è alquanto meno numeroso; di esso fanno parte coloro che almeno connettono certe condizioni all'esistenza d'uno Stato. Essi vogliono non solo un medesimo governo ma anche, se è possibile, una medesima lingua, sia pure partendo da punti di vista di generica tecnica amministrativa. L'autorità statale non è più l'unico ed esclusivo scopo dello Stato: ad esso aggiunge quello di promuovere il bene dei sudditi. Nella concezione dello Stato, propria di questo gruppo, s'insinuano già idee di "libertà", per lo più una libertà malintesa. La forma di governo non appare più intangibile per il fatto stesso della sua esistenza; ma viene esaminata per constatarne la vantagiosità. La sanità delle tradizioni non protegge dalla critica del presente. Del resto, questa concezione attende, soprattutto, dallo Stato una favorevole configurazione della vita economica, e quindi giudica partendo da punti di vista pratici e secondo principi economici generici, fondati sulla produttività. I principali rappresentanti di queste opinioni si incontrano nella normale borghesia tedesca, e specialmente dei circoli della nostra democrazia liberale.c) Il terzo gruppo è il meno numeroso;Esso ravvisa già nello Stato un mezzo per realizzare le tendenze di potenza politica per lo più poco chiare di un popolo unito e ben caratterizzato da un suo proprio linguaggio. Qui, la volontà d'un'unica lingua statale si manifesta non solo nella speranza di creare con ciò a questo Stato una solida base per accrescere la sua potenza all'estero, ma altresì con l'opinione (del resto, falsissima) di potere con ciò nazionalizzare lo Stato in una direzione determinata.Negli ultimi cento anni fu una vera pietà il dover veder come questi circoli giocassero, talora in buona fede, con la parola "germanizzare". Lo stesso rammento che, quand'ero giovane, questo termine conduceva ad idee di incredibile falsità. Perfino nelle sfere del pangermanesimo si poteva allora sentir dire che, con l'aiuto del governo, il germanesimo d'Austria poteva riuscire benissimo a germanizzare i paesi slavi austriaci. Costoro non capivano affatto che si può solo germanizzare il suolo ma non mai gli uomini. Ciò che allora s'intendeva con quella parola era solo la forzata accettazione esteriore della lingua tedesca. E' invece un grave errore il credere che, poniamo, un Cinese o un Negro diventi un Tedesco perché impara il tedesco ed è pronto a servirsi in avvenire della lingua tedesca e dare il suo voto ad un partito politico tedesco. Il nostro mondo borghese non ha mai capito che una simile germanizzazione è, in realtà, una sgermanizzazione. Perché se, con l'imposizione d'una lingua comune, certe distinzioni finora visibili fra popolo e popolo vengono superate  ed infine cancellate, ciò significa l'inizio d'un imbastardimento e, nel caso nostro, non una germanizzazione ma un annientamento di elementi germanici. Troppo spesso nella storia accade che un popolo conquistatore riesca, grazie ai suoi mezzi di potenza, ad imporre ai vinti la propria lingua, e che dopo mille anni la sua lingua sia parlata da un altro popolo e quindi i vincitori diventano i veri vinti.La nazione, o meglio, la razza non consiste nella lingua, ma solo nel sangue. Quindi si potrà parlare d'una germanizzazione solo quando si sappia trasformare con questo processo il sangue ai vinti. Ma ciò non è possibile: a meno che grazie alla mescolanza dei sangui si produca un mutamento, significante l'abbassamento del livello della razza superiore. Il risultato finale di questo processo sarebbe dunque la distruzione appunto di quelle qualità che un giorno resero il popolo conquistatore capace di vincere. Particolarmente le forze culturali sparirebbero nell'accoppiamento con una razza inferiore, quando anche il risultato prodotto misto parlasse mille volte la lingua della razza che una volta era superiore.Per un certo tempo sussisterà ancora una lotta fra spiritualità diverse, e può darsi che la nazione piombante sempre più in basso, in un ultimo scatto riveli valori culturali eminenti. Ma questi sono solo gli elementi appartenenti alla razza superiore, oppure bastardi, in cui, nel primo incrocio, prevale ancora il sangue migliore e cerca di farsi strada, non mai però prodotti conclusivi della miscela, nei quali si mostrerà sempre un movimento culturale retrogrado.Si deve oggi considerare come fortuna che una germanizzazione dell' Austria nel senso di Giuseppe II non abbia avuto successo, lo Stato austriaco si sarebbe conservato, ma la comunanza di linguaggio avrebbe addotto un abbassamento del livello razziale della nazione tedesca. Nel corso dei secoli si sarebbe bensì formato un certo istinto di armento, ma l'armento avrebbe avuto minor valore. Sarebbe forse nata una nazione Stato, ma sarebbe andato perduto un popolo d'alta cultura.Per la nazione tedesca fu meglio che questo processo di mescolanza sia fallito, se non in conseguenza d'un nobile pensiero, almeno grazie alla miope meschinità degli Absburgo. Se le cose fossero andate altrimenti, il popolo tedesco non conterebbe oggi tra i fattori della civiltà.Non solo in Austria ma anche in Germania i cosiddetti circoli nazionali professano simili idee del tutto false.La politica polacca, da tanti approvata, nel senso di una germanizzazione dell'Oriente si fondò, purtroppo, quasi sempre su questo sofisma. Anche qui si credette di poter germanizzare l'elemento polacco medesimo. E anche qui il risultato fu infelice: si ebbe un popolo di altra razza esprimente in lingua tedesca pensieri estranei ai tedeschi, compromettente col suo minor valore l'altezza e la dignità della nostra propria nazione.Terribile è già oggi il danno che sofferse per via indiretta il germanesimo in causa del fatto che gli ebrei masticanti il tedesco, quando entrano in America sono scambiati per Tedeschi da molti Americani ignoranti delle cose nostre. Ma a nessuno verrà in mente di trovare la prova della origine e nazionalità tedesca di questi pidocchiosi immigrati, nella circostanza che essi parlano tedesco.Ciò che nella storia fu utilmente germanizzato fu il suolo, che i nostri antenati conquistarono con la spada e colonizzarono con contadini tedeschi. Quando iniettarono nel corpo della nostra nazione sangue straniero, cooperarono a quel disgraziato frazionamento del nostro essere che si manifesta nel superindividualismo tedesco, purtroppo ancor oggi spesso esaltato.Anche in questo terzo gruppo lo Stato è pur sempre, in certo modo, fine a se stesso, e la conservazione dello Stato è la più alta metà dell'esistenza umana.Concludendo, si può stabilire che tutte queste concezioni non hanno le loro radici profonde nel riconoscimento che le forze foggianti la civiltà e i valori si basano essenzialmente su elementi razziali e che quindi lo Stato deve considerare sua missione suprema la conservazione e l'elevamento della razza, condizione preliminare di ogni sviluppo della civiltà umana.Quindi, l'ebreo Marx poté trarre la conseguenza estrema di quelle false concezioni e idee sull'essenza e sullo scopo d'uno Stato: il mondo borghese, abbandonando il concetto politico delle oblazioni di razza, senza poter trovare un' altra formula da tutti accettata, spianò la via ad una dottrina negante lo Stato in sé.Già per questo e su questo campo la lotta del mondo borghese contro l'Internazionale marxista è destinata a fallire. Il mondo borghese ha da lungo tempo sacrificato le fondamenta indispensabile a sostenere il suo stesso mondo di idee. Il suo scaltro avversario s'è accorto della debolezza della sua costruzione ed ora la attacca con le armi che esso medesimo gli ha involontariamente fornite.Quindi, il primo dovere d'un nuovo movimento basato su una concezione razzista del mondo è quello di fare in modo che la nozione dell'essenza e dello scopo della esistenza dello Stato assuma una forma chiara ed unitaria.Bisogna anzitutto riconoscere questo, che lo Stato non rappresenta un fine ma un mezzo. Esso è la premessa della formazione d'una superiore civiltà umana, ma non è la causa di questa. La causa è riposta solo nella presenza d'una razza idonea alla civiltà. Quand'anche si trovassero sulla Terra centinaia di Stati-modello, nel caso che si spegnesse l'Ario portatore di civiltà non sussisterebbe nessuna civiltà rispondente all'altezza spirituale degli odierni popoli superiori. Si può andare ancor oltre e dire che il fatto della formazione di Stati non escluderebbe  appunto la possibilità dell'annientamento del genere umano se andassero perdute le facoltà intellettuali superiori e l'elasticità, in conseguenza della mancanza d'una razza che le porti in sé.Se, per esempio, oggi la superficie della terra fosse scossa da un fatto sismico, e dalle onde dell'oceano si sollevasse un nuovo Himalaia, una sola crudele catastrofe annienterebbe l'umana civiltà. Nessuno Stato potrebbe più sussistere; sarebbero  infranti tutti i vincoli dell'ordine, frantumati i documenti d'un'evoluzione millenaria, la Terra sarebbe un unico grande cimitero inondato dall'acqua e dal fango. Ma se da questo orribile caos si salvasse anche solo pochi individui d'una determinata razza capace di civiltà, la Terra, sia pure dopo migliaia d'anni, quando si fosse calmata conserverebbe testimonianze di una umana forza creatrice. Solo la distruzione dell'ultima razza capace di civiltà e degli individui che la compongono apporterebbero alla Terra la desolazione definitiva. Viceversa vediamo, dagli esempi stessi che il presente ci offre, che formazioni statali ai loro inizi per la mancanza di genialità nei portatori della loro razza non seppero conservare questi ultimi. Come grandi varietà di animali preistorici dovettero cedere ad altre e sparirono senza lasciar traccia, così anche l'uomo deve cedere, se gli manca una determinata forza spirituale la quale sola gli fa trovare le armi necessarie alla propria conservazione.Non lo Stato in crea una determinata altezza di civiltà; esso può solo conservare la razza che è condizione di quest'altezza. In caso diverso lo Stato può continuare a sussistere, come tale, per secoli, mentre, perchè non gli fu vietata una mescolanza di razze, la capacità di cultura e la vita d'un popolo condizionata da questa hanno già da lungo tempo sofferti profondi mutamenti. Lo stato odierno, per esempio, può, come meccanismo formale, seguitare per secoli ad esistere, ma l'intossicazione razziale del corpo della nostra nazione opera una decadenza culturale che già oggi si rivela spaventosa.Così, la premessa dell'esistenza d'un' umanità superiore non è lo Stato ma la nazione, solo capace di addurla.Questa capacità è sempre presente, ma deve essere destata all'azione pratica da determinare condizioni esteriori. La nazione o, meglio, le razze dotate di qualità creatrici portano in sé, latenti, queste condizioni, anche se, in un dato momento, sfavorevoli circostanze esterne non permettono alle loro buone disposizioni di realizzarsi. E' una incredibile stoltezza il rappresentante come incivili, come barbari i Germani dei tempi anteriori al cristianesimo. Non furono mai tali. Ma la asprezza del loro clima nordico li costrinse a condizioni di vita ostacolanti lo sviluppo delle loro forze creatrici. Se fossero giunti nelle miti terre del sud e nel materiale di popoli inferiori avessero trovate le prime risorse tecniche, la capacità di cultura sonnecchiante in essi, avrebbe prodotto una splendida fioritura, come avvenne, per esempio, ai Greci.Ma questa stessa forza primordiale, creatrice di civiltà, non dipende solo dal clima nordico. Un Lappone, trasferito nel sud, non sarebbe, più d'un Eschimese, creatore di civiltà. No, questa meravigliosa facoltà di creare è donata precisamente all'Ario, sia ch'egli la porti in sé sonnecchiante o sia che la desti alla vita, secondo che le circostanze favorevoli glielo permettono o una matrigna Natura glielo vieta. Da ciò segue questa nozione:Lo stato è un mezzo per raggiungere un fine. Il suo fine consiste nella conservazione e nello incremento d'una comunità conducente una vita fisica e morale omogenea. Questa stessa conservazione include l'esistenza d'una razza e con ciò permette il libero sviluppo di tutte le forze sonnecchianti in questa razza. Una parte di queste servirà sempre in prima linea alla conservazione della vita fisica, mentre l'altra promuoverà la continuazione dello sviluppo intellettuale. in realtà però, l'una delle parti crea le premesse dell'altra.Gli Stati che non servono a questo scopo sono fenomeni male riusciti, sono aborti. Ciò non è mutato dal fatto della loro esistenza, così come il successo d'un'associazione di filibustieri non può giustificare la pirateria o la rapina. Noi nazional-socialisti, quali campioni d'una nuova concezione, non dobbiamo mai metterci sul famoso, e per di più falso, "terreno dei fatti". Altrimenti non saremmo più i campioni d'una nuova grande idea ma i "coolies" dell'odierna menzogna. Dobbiamo distinguere con la massima nettezza fra lo Stato, che è un recipiente, e la razza, che è il contenuto. Questo recipiente ha un senso solo se è capace di contenere e salvaguardare il contenuto; in caso diverso, non ha valore.Lo scopo supremo dello Stato nazionale è quello di conservare quei primordiali elementi di razza che, quali donatori di civiltà, creano la bellezza e la dignità d'una umanità superiore. Noi, Arii, in uno Stato possiamo solo raffigurarci l'organismo vivente di una nazione: organismo che non solo assicura la durata di questa nazione, ma la conduce alla suprema libertà sviluppandone le capacità spirituali e ideali. Ciò che oggi si vuol far passare per Stato non è altro che l'aborto di gravi aberrazione umane, e ha per conseguenza indicibili patimenti.Noi nazional-socialisti sappiamo di essere ostili nel mondo odierno, a questa concezione, e siamo bollati come rivoluzionari. Ma il nostro pensiero e le nostre azioni non debbono affatto dipendere dal plauso o dalla disapprovazione del tempo nostro, ma dai nostri obblighi verso una verità che abbiamo riconosciuta. Dobbiamo convincerci che i posteri, meglio giudicandoci, non solo comprenderanno la nostra condotta ma la troveremo giusta e la esalteranno.Da ciò risulta pure, per noi nazional-socialisti, il criterio per valutare uno Stato. Il valore d'uno Stato sarà relativo, se partiremo dal punto di vista della singola nazione; sarà assoluto se partiremo da quello dell'umanità in sé. In altre parole:La bontà d'uno Stato non può essere valutata dall'altezza della sua cultura o dall'importanza della sua potenza nella cornice del resto del mondo, ma unicamente dal grado di bontà delle sue istituzioni per la nazione di cui si tratta.Uno Stato può essere considerato esemplare se è conforme alle condizioni di vita della nazione che deve rappresentare e se, in pratica, proprio mediante la sua esistenza conserva in vita quella nazione: qualunque sia l'importanza culturale spettante a tale Stato nella cornice del resto del mondo. Perché non è compito dello Stato il generare capacità, suo compito è quello di aprire strada libera alle forze già esistenti.Viceversa, può essere definito cattivo uno Stato che, sebbene di alta civiltà, consacra al tramonto il portatore di questa civiltà nella sua composizione razziale. Perché con ciò distrugge praticamente la condizione preliminare dell'ulteriore esistenza di questa civiltà, che lo Stato non creò e che è il frutto d'una nazione creatrice di cultura, garantita dal vivente organismo statale che la compendia in sé. Lo stato per sé non costituisce un contenuto, ma una forma. Dunque, la temporanea altezza della civiltà d'un popolo non offre il criterio della bontà dello Stato, in cui questo popolo vive. E' comprensibile che un popolo dotato d'alta cultura abbia maggior valore d'una tribù di negri; tuttavia l'organismo statale di quello, dal punto di vista della realizzazione dei suoi scopi, può essere peggiore di quello della tribù negra. Il migliore Stato e la migliore forma statale non sono in grado di ricavare da un popolo faacoltà che gli mancano e che non vi esistettero mai. Invece uno Stato cattivo è in grado di fare scomparire facoltà che in origine esistevano, permettendo o favorendo la soppressione dei portatori della civiltà della razza. Inoltre, il giudizio sulla bontà d'uno Stato può solo essere determinato, in prima linea, dalla relativa utilità che esso possiede per un dato popolo e non già dal valore che gli è assegnato nel mondo. Questo giudizio relativo può essere formato presto e bene; mentre il giudizio sul valore assoluto è assai difficile da formare, perché è condizionato non più soltanto dallo Stato, ma anche dalla bontà e dall'altezza morale della nazione. Quindi, se si parla d'un'alta missione dello Stato, non si deve dimenticare che l'alta missione si trova soprattutto nella nazione, alla quale lo Stato deve solo rendere possibile, con la forza organica, della propria esistenza, il libero sviluppo. E se ci chiediamo come debba essere configurato lo Stato di cui noi Tedeschi abbiamo bisogno, dobbiamo prima renderci ben chiaro quali uomini lo Stato debba comprendere e a quale scopo debba servire. Purtroppo, la nostra nazione tedesca, non è più fondata su un nucleo razziale unitario. Il processo di fusione dei diversi elementi originari non è tanto progredito, però, che si possa parlare di una nuova razza da esso formata. All'opposto! Le intossicazioni del sangue sofferte dal corpo della nostra nazione, specialmente dopo la guerra dei Trent'anni, decomposero non solo il sangue tedesco, ma anche l'anima tedesca. I confini aperti della nostra patria, il fatto di appoggiarsi a corpi estranei non germanici lungo i territori di confine, ma soprattutto il forte continuo afflusso di stranieri nell'intero Reich, afflusso sempre rinnovato, non lasciarono tempo disponibile per un'assoluta fusione. Non fu prodotta una nuova razza, ma gli elementi razziali rimasero gli uni accanto agli altri, col risultato che, in modo particolare nei momenti critici, nei quali ogni armeno suole adunarsi, il popolo tedesco si disperde in tutte le direzioni. Gli elementi razziali sono diversamente stratificati non solo nei diversi territori, ma anche in ogni singolo territorio. Accanto a uomini nordici si trovano uomini orientali; accanto agli orientali, dinarici; accanto a costoro, uomini occidentali, e ,fra tutti , miscele umane. Ciò è di grave danno: manca al popolo tedesco ogni sincero istinto di armamento facendo tacere i gradi e piccoli dissensi interni e opponendo al comune nemico la chiusura fronte di un armento unitario. Nel groviglio dei nostri fondamentali elementi di razza, che rimasero non mescolati, si trova il fondamento di ciò che noi designiamo con la parola "superindividualismo": esso, in tempo di pace, può rendere buoni servigi, e, in fondo, ci condusse alla egemonia mondiale. Se il popolo tedesco, nel suo sviluppo storico, avesse posseduto quella unità di armento che possedettero altri popoli, oggi il Reich tedesco sarebbe padrone della Terra.La storia mondiale avrebbe seguito un altro corso, e nessuno può dire se per questa via non si sarebbe verificato ciò che tanti ciechi pacifisti sperano oggi di ottenere piagnucolando e mendicando: una pace non appoggiata agli scodinzolamenti di lacrimose prefiche pacifiste, ma fondata dalla vittoriosa spada di un popolo di dominatori, che s'impadronisce del mondo per servire ad una superiore civiltà. La mancanza di una nazione avente unità di sangue fu per noi causa di indicibile sofferenze. Ha donato metropoli, per risiedervi, a molti potentati tedeschi, ma ha privato il popolo tedesco del diritto di dominare. Ancor oggi il nostro popolo soffre di questa interna lacerazione, di questo disgregamento. Ma ciò che ci apportò sventura nel passato e nel presente può formare la nostra fortuna nel futuro. Perché, se, da un lato, fu funesto il fatto che non abbia avuto luogo una totale fusione dei nostri originari elementi di razza e quindi non si sia prodotta la formazione unitaria del nostro popolo, fu, d'altro lato, una ventura che almeno una parte del nostro miglior sangue sia, con ciò, rimasta pura e sia sfuggita all'abbassamento razziale. Certo, dall'assoluta mescolanza dei nostri primordiali elementi di razza sarebbe risultato un corpo nazionale chiuso, ma esso, come prova di ogni incrocio di razze, avrebbe avuto una capacità d'incivilimento inferiore a quella che possedeva il più nobile fra tali elementi primordiali. Qui sta la fortuna del fallimento d'una totale mescolanza: oncor oggi noi possediamo nel nostro corpo nazionale tedesco grandi elementi, rimasti non mescolati, di uomini germanici del nord, nei quali possiamo ravvisare il più prezioso tesoro per il nostro avvenire. Nei torbidi tempi dell'ignoranza di tutte le leggi di razza, quando il valore d'un uomo appariva eguale a quello d'un altro, la chiara conoscenza del diverso valore dei singoli elementi fondamentali mancava. Ma oggi sappiamo che l'assoluta mescolanza degli elementi del nostro corpo nazionale avrebbe (in grazia della unità che ne sarebbe risultata) apportata forse la potenza esterna, ma avrebbe resa irraggiungibile la più alta metà dell'umanità, perché quello che fu scelto visibilmente dal Destino per raggiungerla sarebbe perito nella generica poltiglia di razze della nazione unitaria. Ma ciò che, senza nostro concorso, fu impedito da una propizia sorte, dobbiamo esaminare e valutare oggi noi, partendo dalle cognizioni ormai acquisite. Chi parla d'una missione del popolo tedesco sulla Terra, deve sapere che questa può solo consistere nella formazione d'uno Stato ravvisante il suo compito supremo nella conservazione e nell'incremento degli elementi più nobili, rimasti illesi, della nostra nazione; anzi, dell'intera umanità. Con ciò lo Stato riceve, per la prima volta, un alto intimo scopo. Di fronte alla ridicola parola d'ordine di assicurare la calma e l'ordine onde rendere possibili reciproci imbrogli, appare una missione realmente elevata quella di conservare e promuovere un'umanità superiore, donata a questa Terra dalla bontà dell'Onnipotente. Un meccanismo morto, che pretende di esistere solo per amor di se stesso, deve diventare un organismo vivente con l'unico scopo di servire un'idea superiore.Il Reich tedesco deve, come lo Stato, comprendere tutti i Tedeschi, col compito non solo di raccogliere e conservare di questo popolo i più preziosi fra gli elementi originari di razza, ma di sollevarli, con lentezza ma in modo sicuro, ad una posizione di predominio. Così, ad una situazione statica, di irrigidimento, succede un periodo di lotta. Ma, come sempre ed in ogni cosa, vale qui il proverbio"chi sta fermo arrugginisce"; ed è sempre vero che "la vittoria sta nell'attacco". Quando più è alta la meta della lotta che ci splende dinanzi agli occhi, e quando minore è la comprensione che ne ha in questo momento la vasta massa, tanto è, come insegna la storia mondiale, il successo: e tanto maggior valore ha questo successo quando lo scopo è esattamente afferrato e la battaglia è condotta con incrollabile tenacia. Per molti dei funzionari che oggi dirigono lo Stato può essere più tranquillante il battersi per la conservazione del regime esistente che il lottare per un futuro. Ad essi apparirà molto più comodo il vedere nello Stato un meccanismo che esiste solo per conservarsi in vita, così come, viceversa, la loro vita "appartiene allo Stato", come essi sogliono dire: quasi che ciò che è germogliato dalla nazione potesse logicamente servire ad altro che alla nazione, e come se l'uomo potesse operare per altri che per l'uomo. Come dissi, è naturale che sia più facile ravvisare nell'autorità statale niente altro che il formale meccanismo d'un'organizzazione, che la suprema incarnazione dell'istinto della propria conservazione d'un popolo sulla Terra. Perché, nel primo caso, per quegli spiriti deboli lo Stato e l'autorità statale sono già scopi in sé,  mentre nel secondo caso sono solo la formidabile arma a servizio della grande eterna lotta per l'esistenza, un'arma alla quale ognuno deve adattarsi perché non è meccanica e formale ma è l'espressione d'una comune volontà di conservare la vita. Quindi, nella lotta per la nostra nuova concezione che risponde al primordiale significato delle cose, troveremo solo pochi commilitoni in una società che non solo fisicamente ma spesso (purtroppo!) moralmente è decrepita. Solo uomini d'eccezione, vecchi dal cuore giovane e dalla mente rimasta fresca, verranno a noi da quei ceti, ma non coloro che ravvisano compito della loro vita conservare una situazione già esistente.Sta di fronte a noi la sterminata schiera non tanto dei cattivi e dei maligni quanto dei pigri di pensiero, degli indifferenti e degli interessati alla conservazione dell'attuale stato delle cose. Ma appunto nella apparente mancanza di probabilità di successo della nostra battaglia si trova la grandezza del nostro compito ed anche la possibilità del successo. Il grido di battaglia, che allontana gli spiriti meschini o li intimorisce presto, diventa il segnale di raccolta dei veri temperamenti battaglieri. Ci si deve render conto di questo: Quando un popolo presenta un determinata somma di altissima energia appuntata ad uno scopo ed è sfuggito definitivamente all'ignavia delle vaste masse, i pochi diventano padroni del gran numero. La storia del mondo è fatta da minoranze, se nelle minoranze numeriche si incorpora la maggioranza della volontà e della forza di decisione. Quindi, ciò che oggi può a molti apparire molesto, è in realtà la premessa della nostra vittoria. Appunto nella grandezza e nelle difficoltà del nostro compito è risposta la probabilità che solo i migliori combattenti si accingano a lottare per esso. E in questa selezione sta la garanzia del successo. In generale già la Natura prende certe decisioni ed apporta certi emendamenti nel problema della purezza di razza di creature terrestri. Essa ama poco i bastardi, soprattutto i primi prodotti di incroci, per esempio nella terza, quarta, quinta generazione, debbono soffrire amaramente: non solo sono privi del valore proprio del più nobile fra i primitivi elementi dell'incrocio, ma, mancando loro l'unità del sangue, manca pure l'unità del volere e della forza di decisione, necessariamente alla vita. In tutti i momenti critici, in cui l'essere di razza pura prende decisioni giuste ed unitarie, l'essere di razza mista diventa esitante e prende mezze misure. Ciò significa una certa inferiorità della creatura di razza mista di fronte a quella di razza unitaria, e nella pratica include anche la possibilità di un rapido tramonto. In casi innumerevoli la razza tiene duro, mentre il bastardo crolla. In ciò si deve ravvisare la correzione della Natura; la quale spesso va ancor più lontano. Essa limita le possibilità di propagazione: sopprime le fecondità di ulteriori incroci e li spinge alla estinzione. Se, per esempio, un individuo d'una razza si unisce ad uno di razza inferiore, ne risulterebbe in primo luogo l'abbassamento del livello in sé, e, in secondo luogo, un indebolimento dei discendenti di fronte agli altri individui rimasti pura razza. Se alla razza superiore s'impedisce costantemente di apportare nuovo sangue, i bastardi o si spegnerebbero in causa della loro minore forza di resistenza voluta dalla saggia Natura o formerebbero, nel corso dei millenni, una nuova miscela, in cui i singoli elementi originari sarebbero commisti in forza di molteplici incroci e non sarebbero più riconoscibili. Così si sarebbe formata una nuova nazione, d'una capacità di resistenza analoga a quella degli armenti, ma assai minorata di valore spirituale e culturale a petto della razza superiore, operante nel primo incrocio. Ma anche in questo caso il prodotto misto soccomberebbe nella reciproca lotta per la esistenza, quando trovasse un avversario in una unità di razza superiore, rimasta immune da ogni mescolanza. La intima compattezza di questo nuovo scopo, la compattezza da armento formatasi nel corso dei millenni, non basterebbe, in conseguenza del generale abbassamento del livello della razza e della diminuita elasticità intellettuale e facoltà di creazione, a lottare vittoriosamente contro una razza altrettanto unitaria ma superiore d'intelletto e di civilttà. Si può quindi enunciare la seguente valida proposizione: Ogni incrocio di razza conduce per forza, prima o poi, al tramonto del prodotto misto, finché la parte più nobile di questo stesso incrocio sussiste in una unitarietà di razza. Il pericolo per il prodotto misto è eliminato solo nel momento in cui la razza superiore si imbastardisce.In ciò è fondato un lento processo di rigenerazione naturale, che a poco o poco elimina le intossicazioni razziali, finché sussiste ancora una certa quantità di elementi di razza pura e non ha più luogo un ulteriore imbastardimento.Questo processo può prodursi da sé in creature fornite di un forte istinto di razza. Quando questa situazione forzosa è terminata, la parte rimasta pura tenderà subito di nuovo all'accoppiamento fra eguali, imponendo così fine ad un ulteriore mescolanza. E con ciò i fatti di imbastardimento passano in seconda linea, a meno che il loro numero si sia già tanto moltiplicato che non possa più aver luogo una seria resistenza degli elementi rimasti di razza pura. L'uomo che ha perduto l'istinto e misconosce l'obbligo impostogli dalla Natura, in generale non può contare su questa correzione da parte della Natura finché non ha sostituito con chiare cognizioni l'istinto perduto: spetta allora a queste il fornire il necessario lavoro di riparazione. Tuttavia permane il grave pericolo che chi è diventato cieco spezzi sempre più le barriere di razza, e che anche l'ultimo resto della sua miglior parte finisca con l'andar perduto. In tal caso rimane solo più una poltiglia, come sognano i famosi miglioratori contemporanei del mondo, per i quali rappesenta l'ideale del nostro mondo. Certo: un grosso armento potrebbe venir foggiato così, si può creare un animale da armento, ma da uan miscela di questo genere non risulta mai un uomo portatore di civiltà, creatore o fondatore di civiltà. E la missione della umanità potrebbe allora essere considerata finita.Chi vuole che la terra vada incontro a questa sorte, deve professare la concezione che sia compito soprattutto dello Stato germanico quello di fare in modo che sia imposto un termine definitivo ad ogni ulteriore imbastardimento.La generazione dei nostri notori deboli d'oggi getterà alte grida contro queste affermazioni, e si lagnerà di interventi nei più sacri diritti dell'uomo. No, c'è un solo sacrosanto diritto dell'uomo, che è nello stesso tempo un sacrosanto dovere, quello di provvedere perché  il sangue resti puro, affinché la conservazione della migliore umanità renda possibile un più nobile sviluppo dell'umanità stessaQuindi, uno Stato nazionale dovrà in prima linea elevare il matrimonio dal livello d'un costante scandalo per la razza, e dargli la consacrazione d'un istituto chiamato a generare creature fatte ad immagine del Signore e non aborti fra uomo e la scimmia. La protesta contro ciò, fondata su motivi cosiddetti umani non è lecita ad un'epoca che da un lato offre ad ogni degenerato la possibilità di propagarsi, imponendo ai prodotti di costui e ai loro contemporanei ineffabili patimenti, e dall'altro lato permette che in ogni drogheria e perfino dai mercanti di strada si vedano a buon mercato intrugli per impedire le nascite anche in genitori sani. Nell'odierno Stato della tranquillità e dell'ordine, agli occhi dei rappresentanti di questo bel mondo nazional-borghese, è dunque un delitto l'impedire la capacità di generazione nei sifilitici, tubercolosi, in quelli aventi tare ereditarie, nei deformi e nei cretini, mentre l'interruzione pratica della facoltà di generare in milioni di persone sane non è considerata cosa condannabile e non urta contro i buoni costumi di  questa ipocrita società, anzi giova alla miope pigrizia del pensiero. Perché altrimenti ci si dovrebbe stillare il cervello su questo problema: come si possano creare le premesse del nutrimento e della nostra nazionalità, dovranno un giorno assolvere la stessa funzione di fronte alla generazione successiva? Ma questo sistema è ignobile e privo d'ogni ideale. Non ci si sforza più di educare i migliori per la posterità, ma si lascia che le cose vadano come vogliono. Anche le nostre Chiese peccano contro l'immagine di Dio, benché ne accettino il valore, e ciò risponde alla loro attuale condotta: esse parlano sempre dello spirito ma lasciano degenerare in un abbruttito proletario il portatore dello spirito, l'uomo. E poi facciamo gli stupidi, con sciocchi volti, sulla poca influenza della fede cristiana nel nostro paese, sull'"ateismo" di questa gente male conciata nel corpo e quindi anche demoralizzata spiritualmente, e cerchiamo un compenso nel convertire Ottentotti, Zulù e Cafri con la benedizione della Chiesa. Mentre, grazie a Dio, i nostri popoli europei cadono in uno stato di lebbra fisica e morale, il poi missionario emigra nell'Africa centrale e fonda missioni per Negri: così la nostra "civiltà superiore" farà anche colà, di uomini sani sebbene primitivi e incolti, una putrida razza di bastardi. Sarebbe più conforme al senso di quanto ha di più nobile sulla terra, questo: che le nostre due Chiese cristiane, invece di molestare i Negri con missioni dai Negri non desiderate né comprese, insegnassero, con bontà ma con serietà, alla nostra umanità europea che, quando i genitori non sono sani, è opera più gradita a Dio l'aver pietà d'un piccolo orfano sano e donargli un padre e una madre che mettere al mondo un bimbo malato, apportatore di sofferenze e di sventure a sé e agli altri. Lo Stato nazionale deve ricuperare ciò che oggi, su questo campo, è trascurato da tutte le parti. Deve mettere la razza al centro della vita generale. Deve darsi pensiero di conservarla pura. Deve dichiarare che il bambino è il bene più prezioso d'un popolo. Deve fare in modo che solo chi è sano generi figli, che sia scandaloso il mettere al mondo bambini quando si è malati o difettosi, e che nel rinunziare a ciò consista il supremo onore. Ma, viceversa, deve essere ritenuto riprovevole il sottrarre alla nazione bambini sani. Quindi lo Stato deve presentarsi come il preservatore di un millenario avvenire, di fronte al quale il desiderio e l'egoismo dei singoli non contano nulla e debbono piegarsi. Lo Stato deve valersi, a tale scopo, delle più moderne risorse mediche. Deve dichiararsi incapace di generare chi è affetto da visibile malattia o portatore di tare ereditarie e quindi capace di tramandare ad altri queste tare, e provocare praticamente questa incapacità. Deve, d'altro lato, provvedere che la fecondità della donna sano non venga limitata dalla sconcia economica e dalla finanza d'un regime statale che di quella benedizione che è il bambino fa una maledizione per i genitori. Deve eliminare questa pigra, criminale indifferenza con cui si trattano oggi le premesse sociali dell'abbondanza di figli, deve posare da supremo protettore di questa massima fortuna d'un popolo. Deve preoccuparsi più del bambino che dell'adulto.Chi non è sano e degno di corpo e di spirito, non ha diritto di perpetuare le sue sofferenze nel corpo del suo bambino. Qui. lo Stato nazionale deve fornire un enorme lavoro educativo, che un giorno apparirà quale una opera grandiosa, più grandiosa delle più vittoriose guerre della nostra epoca borghese. Lo Stato deve, con l'educazione, insegnare agli individui che l'esser malati e deboli non è una vergogna, ma è solo una disgrazia meritevole di compassione, e che è delitto e vergogna il disonorarsi e il dar prova d'egoismo imponendo la malattia e la debolezza a creature innocenti. E che quindi è prova di nobiltà, di mentalità elevata e di umanitarismo degno d'ammirazione il fatto che chi senza colpa sua è malato, rinunziando ad avere figli propri, doni il suo affetto e la sua tenerezza ad un piccolo, povero, sconosciuto rampollo della sua nazione, sano e promettente de essere un giorno robusto membro di una forte comunità. E lo Stato deve ravvisare in questo lavoro di educazione l'integrazione spirituale della sua attività pratica. Deve agire in questo senso, senza riguardo a comprensione o incomprensione, a consensi o dissensi. Basterebbe impedire per i secoli la capacità e la facoltà di generare nei degenerati di corpo e nei malati di spirito per liberare l'umanità da un'immensa sventura e per condurla ad uno stato di sanità oggi quasi inconcepibile. Quando sarà realizzata, in modo cosciente e metodico, e favorita la fecondità della parte più sana della nazione, si avrà una razza che, almeno in principio, avrà eliminati i germi dell'odierna decadenza fisica e morale. Se una nazione o uno Stato si mette per questa via, volgerà poi da sé la sua attenzione all'accrescimento del nucleo della nazione più prezioso dal punto di vista della razza e all'aumento della sua fecondità; e in ultimo l'intera nazione godrà la fortuna d'un tesoro razziale nobilmente forgiato. La via conducente a ciò è questa, che lo Stato non abbandoni al caso la colonizzazione di paesi di nuovo acquisto ma la assoggetti a norme particolari. Commissioni opportunamente composte debbono rilasciare ai singoli l'attestato di colonizzazione; e l'attestato deve essere connesso con una purità di razza da stabilire. Così si potrebbero, per gradi, fondare colonie marginali, i cui abitanti fossero di razza purissima e quindi possedessero le migliori qualità della razza. Esse sarebbero un prezioso tesoro nazionale della collettività popolare; il loro sviluppo riempirebbe di gioia, di fiducia e d'orgoglio ciascun membro della nazione, ed in esse giacerebbe pure il germe di un grande futuro sviluppo della nazione e dell'umanità intera. Infine, nello Stato nazionale la concezione razzista deve riuscire ad affrettare quella nobile d'epoca in cui gli uomini non si occuperanno più dell'allevare cani, cavalli e gatti, ma dall'elevare condizione dell'uomo stesso; epoca che sarà per gli uni di silenziosa e saggia rinunzia, per gli altri di doni e sacrifici gioiosi. Non è contestabile che ciò sia possibile in un mondo in cui centinaia di migliaia di uomini si impongono volontariamente il celibato, senza altro obbligo o vincolo che un comandamento della Chiesa. Non sarà possibile un eguale rinunzia se invece di tale comandamento si presenta quello di metter fine al peccato originale, tuttora operante, dell'avvelenamento della razza e di donare all'onnipotente Creatore esseri quali egli stesso creò? Certo, il miserabile esercito dei piccoli borghesi di oggi non comprenderà mai queste cose. Ne rideranno o crolleranno le spalle storte o gemeranno i loro eterni discorsi: "sarebbe, in sé, una cosa bellissima, ma è irrealizzabile!" Certo, con voi è irrealizzabile, il vostro mondo è incapace di realizzarla! Per voi c'è una sola preoccupazione: la vostra vita personale; e un solo Dio: il vostro denaro! Ma noi non ci rivolgiamo a voi, ma al grande stuolo di coloro che son troppo poveri perché la loro vita personale significhi la suprema felicità della Terra, a quelli che adorano non il denaro ma altri Dei, ai quali affidano la loro esistenza. Anzitutto ci rivolgiamo al formidabile esercito della nostra gioventù tedesca. Essa matura in una grande epoca, e si batterà contro i mali dovuti alla pigrizia e all'indifferenza dei suoi padri. La gioventù tedesca o sarà un giorno la costruttrice d'un nuovo Stato nazionale o sarà l'ultimo testimonio del completo crollo, della fine del mondo borghese. Perché, quando una generazione soffre di errori che riconosce ed ammette, e tuttavia, come avviene dell'odierno mondo borghese, si contenta di dichiarare che non c'è nulla da fare per ripararli, è segno che la società così fatta è destinata a perire. Ma è caratteristico del nostro mondo borghese appunto questo, che non può più negare la propria fragilità. Esso deve ammettere che molte cose sono putride e cattive, ma non sa ancora risolversi ad insorgere contro il male, ad adunare con aspra energia la forza d'un popolo di sessanta o settanta milioni e a stornare così il pericolo. All'opposto: se ciò avviene in altri paesi, si fanno solo sciocchi commenti e si cerca di dimostrare da lontano l'impossibilità teorica di quanto è accaduto e di dichiararne inverosimile la buona riuscita. Ogni più stupido motivo serve d'appoggio alla loro meschinità di nani e alle loro disposizioni mentali. Se, per esempio, un intero continente muove guerra all'intossicazione alcolica, onde strappare un popolo agli artigli di quel vizio devastatore, il nostro borghese mondo europeo non sa far altro che sbarrare agli occhi e scuotere la testa, con un sorriso di superiorità trova ridicola la cosa, e ciò fa un bell'effetto in una società così ridicola! Ma se tutto ciò serve a niente e in qualche punto del mondo si agisce contro il sublime e intangibile andazzo generale, e con successo, allora, come dissi, si mette in dubbio almeno il successo e lo si abbassa, e non si esita a contrapporre punti di vista della morale borghese au una lotta mirante a sopprimere una grandiosa immortalità. No, su questo non dobbiamo farci illusioni, l'attuale borghesia è già diventata senza valore per ogni alto compito dell'umanità, semplicemente perché è priva di qualità, cattiva: e, a parer mio, è tanto cattiva meno per cattiveria voluta che in conseguenza d'una incredibile indolenza e di tutto ciò che ne deriva. Quindi, anche quei club politici che vanno sotto il nome di "partiti borghesi" già da tempo non sono altro che comunità d'interessi di determinati ceti sociali e gruppi  di professionisti, e il loro più sublime compito è solo quello di rappresentare come meglio possono egoistici interessi. E' evidente che una simile Gilda borghese politicante è idonea a tutto piuttosto che alla lotta: soprattutto quando la parte avversaria è composta non di prudenti mercantucoli ma di masse proletarie aizzante e disposte ad ogni atto estremo.  Se riconosciamo quale prima missione dello Stato al servizio e per il bene del popolo la conservazione, la cura e lo sviluppo dei migliori elementi della razza, è naturale che le provvidenze statali debbano estendersi fino alla nascita del piccolo rampollo della nazione e della razza e che lo Stato debba altresì fare, l'educazione, del giovanetto un prezioso elemento della ulteriore propagazione della stirpe. E come, in generale si trova nella qualità di razza d'un dato materiale umano, così anche nell'individuo si deve anzitutto tener d'occhio e favorire la sanità corporea. Perché lo spirito sano e forte si trova solo nel corpo forte e sano. Il fatto che talora i geni furono solo nel corpo poco sano o magari infermo, non dice nulla di contrario. Qui si tratta solo di eccezioni che, come sempre, confermano la regola. Ma quando la massa d'un popolo è composta di degenerati, è ben raro che da un simile pantano si levi un grande spirito. e in ogni caso le sue azioni non avranno grande successo. Il volgo obietto o non lo comprenderà o sarà di volontà così debole da non poter tenere dietro all'alto volo d'una simile aquila. Lo Stato nazionale deve, in questo riconoscimento, dirigere il suo complessivo lavoro di educazione in prima linea non ad inculcare semplici cognizioni ma ad allevare corpi sani. Solo dopo, in seconda linea, viene lo sviluppo delle capacità spirituali. E qui deve essere favorita la forza della volontà e della decisione, e l'educazione deve insegnare la gioia della responsabilità: ultima deve venire l'istruzione scientifica. Dunque, lo Stato nazionale deve partire dalla premessa che un uomo di minor cultura scientifica ma di corpo sano, di carattere buono e saldo, lietamente deciso e volitivo, ha per la comunità nazionale maggior pregio che un debole intelligente e raffinato. Un popolo di dotti, che per di più fossero pacifisti poltroni, degenerati nel corpo e deboli di volontà, non solo non conquisterà il cielo ma non si assicurerà l'esistenza nemmeno su questa terra. E' raro che nelle gravi avversità soccomba colui che sa meno; soccombe colui che dal suo sapere trae deboli conseguenze e le traduce pietosamente in atto. Infine, anche qui deve esistere una determinata armonia. Un corpo imputridito non sarà punto reso più estetico da uno spirito radioso; anzi, la più alta formazione spirituale non potrebbe giustificarsi se nello stesso tempo i suoi portatori fossero deformi, storpi, privi di carattere , esitanti e codardi. Ciò che rende immortale l'ideale greco della bellezza è la meravigliosa unione di una splendida bellezza è la meravigliosa unione di una splendida bellezza fisica con uno spirito brillante e un'anima nobilissima. Se vale il motto di Moltke: "A lungo andare, solo il capace ha fortuna", vale certo per i rapporti fra corpo e spirito: anche lo spirito, se è sano, a lungo andare abiterà, di regola in un corpo sano. Quindi, l'educazione fisica del corpo non è nello Stato nazionale compito dell'individuo, né affare riguardante in prima linea i genitori e solo in seconda o terza linea la generalità; è una esigenza della conservazione del popolo, rappresentato e protetto dallo Stato. Già oggi, per quanto riguarda il perfezionamento puramente scientifico, lo Stato interviene nel diritto di autodecisione dell'individuo e tutela, di fronte a questo, il diritto della collettività, in quanto che, piaccia o no ai genitori, obbliga il fanciullo a frequentare  la scuola. Allo stesso modo, e in misura assai più alta, lo Stato nazionale dovrà un giorno far prevalere la sua autorità di fronte all'ignoranza o alla incomprensione dei singoli nei problemi della salvezza della nazione. Esso dovrà distribuire il suo lavoro educativo in modo che i giovani corpi vengano rafforzati e temprati per la vita ulteriore. Soprattutto dovrà vigilare perché non venga  educata una generazione di sgobboni. Questo lavoro di allevamento e di educazione deve iniziarsi già presso la giovane madre. Come fu possibile, grazie ad un accurato lavoro di decenni, eliminare l'infezione dai parti e restringere a pochi casi la febbre puerperale, così sarà e deve essere possibile introdurre, grazie ad una opportuna educazione delle sorelle e della madre stessa, già nei primi anni del bambino un trattamento che servirà di ottima base per il futuro sviluppo. In uno Stato nazionale, la scuola deve lasciare libero per l'educazione fisica un tempo di gran lunga maggiore. Non è necessario riempire i giovani cervelli d'una zavorra di cui, come insegna l'esperienza, riterranno solo la minima parte e non riterranno l'essenziale ma solo le cose secondarie, poiché il fanciullo non può fare una ragionevole selezione delle materie che gli vengono inculcate. Oggi, anche nel programma delle scuole medie, alla ginnastica cono riservate due scarse ore settimanali e la frequentazione dei corsi di ginnastica non è nemmeno obbligatoria; ma questo è un grosso malinteso, dovuto all'educazione puramente intellettuale. Non dovrebbe passare un solo giorno senza che il giovanetto ricevesse almeno un'ora d'educazione fisica al mattino e alla sera, in ogni genere di sport e di ginnastica. E conviene, soprattutto non dimenticare uno sport che appunto agli occhi di molti "nazionali" passa per rozzo e spregevole: il pugilato. E' incredibile, quante false opinioni siano diffuse sulla boxe nei circoli "colti". E' considerata cosa naturale ed onorevole questa, che il giovane impari a tirar di scherma e se ne vanti; ma la boxe è ritenuta volgare. Perché? Nessun altro sport desta in così alto grado lo spirito di assalto, esige così fulminea decisione, rende forte e flessibile il corpo. Se due giovani decidono coi pugni un dissenso non commettono un atto più rozzo che se lo decidessero con un affilato pezzo di ferro. E un aggredito, se si difende dall'assalitore col pugno, non si comporta meno nobilmente che se scappasse e chiamasse in aiuto una guardia. Ma il ragazzo giovane e sano deve anche imparare a sopportare i colpi. Ciò apparrà cosa selvaggia agli odierni combattenti dello spirito. Ma lo Stato nazionale non ha il compito di educare una colonia di atleti pacifisti e di degenerati: esso non ravvisa l'ideale umano in onesti piccoli borghesi o in vecchie virtuose zitelle ma nella audace personificazione della forza civile e in donne capaci di mettere al mondo uomini. In genere, lo sport deve non solo rendere forte, agile e ardito il singolo, ma anche indurire il corpo e insegnare a sopportare le intemperie. Se il nostro ceto intellettuale non avesse ricevuto un'istruzione così distinta e avesse invece imparata la boxe, non sarebbe mai stato possibile ai lenoni, ai disertori e simili canaglie di fare una rivoluzione in Germania. Perché la vittoria della rivoluzione non fu dovuta ad una azione coraggiosa, energica, ardita dei suoi autori ma alla codarda, pietosa irresolutezza di coloro che dirigevano lo Stato e ne erano responsabili. Ma i nostri dirigenti spirituali avevano appunto ricevuto solo un'educazione "spirituale" e perciò si trovarono sconcertati nel momento in cui gli avversari posero mano non alle armi spirituali ma ai randelli. E ciò fu possibile appunto perché la nostra istruzione scolastica superiore non educava uomini ma funzionari, ingegneri, tecnici, chimici, letterati, giuristi, e, perché questo ceto di intellettuali non si spegnesse, professori. I nostri dirigenti spirituali fornirono sempre prestazioni magnifiche, mentre i dirigenti della nostra volontà rimasero al di sotto di ogni critica. Certo l'educazione non potrà fare un coraggioso di un uomo dal temperamento fiacco; ma è pure certo che un uomo, non privo di coraggio, è paralizzato nello sviluppo delle sue capacità se, per difetti della sua educazione, è a priori inferiore ad altri in forza fisica e agilità. Nell'esercito si può meglio valutare quanto la convinzione dell'abilità corporea favorisca il coraggio e desti lo spirito d'assalto. Anche nell'esercito non s'incontrano tutti eroi; ma ce n'è un buon numero. Se non che, la superiore educazione del soldato tedesco in tempo di pace infuse all'intiero enorme organismo quella suggestiva credenza nella propria superiorità che neppure i nostri avversari ritenevano possibile. Nei mesi d'estate e d'autunno 1914 l'avanzata dell'esercito tedesco diede immortali prove di valore e di spirito offensivo, e ciò fu risultato di quella instancabile educazione che nei lunghi anni di pace rese idonei a incredibili prestazioni corpi spesso deboli, e inculcò quella fiducia in sé che non andò smarrita nemmeno nell'orrore delle grandi battaglie. Appunto il nostro popolo tedesco, che, dopo essere crollato, è preso a calci dal resto del mondo, ha bisogno della forza suggestiva che è riposta nella fiducia in sé. Ma la fiducia in sé deve venire infusa fin dall'infanzia nel giovane cittadino. La sua istruzione e la sua educazione debbono tendere a infondergli la convinzione della sua assoluta superiorità sugli altri. Il giovane deve recuperare, nella sua forza e agilità fisica, la fede nell'invincibilità della sua nazione intera. Perché ciò che un giorno condusse l'esercito tedesco alla vittoria fu la somma della fiducia che ciascun soldato nutriva in sé e tutti insieme nutrivano nei loro capi. E ciò che può portare di nuovo in alto il popolo tedesco è la convinzione della possibilità di riacquistare la libertà. ma questa convinzione può solo costituire il prodotto finale di un egual modo di sentire di milioni d'individui. Anche qui non dobbiamo farci illusioni. Spaventoso, enorme fu il crollo del nostro popolo, e altrettanto enorme dovrà essere lo sforzo da compiere per mettere fine a tanta miseria. Chi crede che l'odierna educazione borghese alla tranquillità e all'ordine possa dare al popolo la forza di spezzare un giorno l'attuale ordinamento del mondo che significa il nostro tramonto, e di gettare in faccia agli avversari gli anelli della catena della nostra schiavitù, s'inganna a partito. Solo in grazia d'una immensa volontà nazionale di forza, in grazia di un'intensa sete di libertà e d'una suprema passione sarà recuperato ciò che andò perduto. Anche il modo di vestire dei giovani deve essere adatto a questo scopo. E' una vera pietà il vedere come anche la nostra gioventù sia già soggetta ad una pazza moda che capovolge il vecchio proverbio: "l'abito non fa il monaco". Precisamente nei giovani l'abbigliamento deve essere posto al servizio dell'educazione. Il giovane che d'estate  va in giro con lunghi calzoni, avviluppato negli abiti fino al collo, perde già nel suo vestire un impulso all'educazione fisica. Perché bisogna servirsi anche dall'ambizione e, diciamolo pure, della vanità. Non della vanità di portare abiti belli che non tutti possono comprarsi, ma della vanità di possedere un corpo bello, ben formato, che ognuno può cercare di forgiarsi. Ciò e utile anche più tardi. La fanciulla deve imparare a conoscere il suo cavaliere. Se oggi la perfezione corporea non fosse respinta in seconda linea dalla nostra moda trascurata, non sarebbe possibile che centinaia di migliaia di ragazza fossero sedotte da ripugnanti bastardi ebrei dalle gambe storte. E' nell'interesse della nazione anche questo, che i corpi più belli si trovino e collaborino a donare nuova bellezza alla nazione. Ed oggi tutto ciò sarebbe necessario più che mai, poiché manca l'educazione militare e quindi è soppressa l'unica istituzione che in tempo di pace ricuperasse almeno in parte ciò che va perduto in grazia dell'educazione moderna. Il successo si deve cercare non solo nell'educazione dell'individuo ma anche nell'influenza che questa esercita sui reciproci rapporti fra i due sessi. La fanciulla preferiva il soldato al non soldato. Lo Stato nazionale non deve limitarsi a introdurre l'educazione fisica nelle scuole ufficiali e a sorvegliarla: deve anche nel doposcuola provvedere perché il giovane, finché si sta sviluppando corporalmente, faccia di questo sviluppo la propria fortuna. E' assurdo credere che quando finiscono gli anni di scuola cessi senz'altro il diritto dello Stato alla sorveglianza dei suoi giovani cittadini, e ricominci solo col servizio militare. Questo diritto è un dovere, e come tale sussiste sempre. Lo Stato odierno, che non ha interesse all'uomo sano, ha criminosamente trascurato questo dovere. Esso lascia che la gioventù si corrompa nelle strade o nei bordelli, invece di prenderla per le briglie e formare il corpo affinché un giorno si sviluppino da essa uomini sani e donne sane. Oggi può essere indifferente la forma in cui lo Stato svolge questa educazione: l'essenziale è che la svolga e che cerchi le vie opportune. Lo Stato nazionale considererà compito suo non solo l'educazione intellettuale ma anche quella fisica del doposcuola, e la impartirà per mezzo di istituti statali. Così questa educazione potrà essere, a grandi tratti, il modello di un servizio militare da prestarsi più tardi. L'esercito non apporterà più, come finora, al giovane le nozioni fondamentali di un semplice regolamento di esercizi, e non conserverà reclute nel senso odierno: dovrà piuttosto trasformare in un soldato il giovane dal corpo già preparato ed educato in modo impeccabile. Nello Stato nazionale l'esercito non insegnerà più a marciare e a star fermo, ma sarà l'ultima e suprema scuola della educazione patriottica. La giovane recluta imparerà nell'esercito a maneggiare le armi, ma in pari tempo dovrà essere attrezzata per la sua vita ulteriore. E in cima all'educazione militare deve esserci ciò che già al vecchio esercito fu attribuito come merito sommo: alla scuola dell'esercito il ragazzo deve essere trasformato in un uomo, deve non solo imparare ad obbedire ma altresì acquistarsi le premesse del futuro comando. Deve imparare a tacere non solo quando è rimproverato a ragione, ma anche quando è rimproverato a torto. Inoltre deve, rafforzato dalla fiducia nella propria forza, e pervaso dalla forza del comune spirito di corpo, acquistare la convinzione dell'invincibilità del suo popolo. Quando avrà finito il servizio militare, gli saranno consegnati due documenti: il suo diploma di cittadini dello Stato, documento giuridico che ormai gli permetterà un'attività pubblica, e un attestato di salute fisica, che gli varrà a provare la sua sanità corporea e la sua attitudine al matrimonio. Lo Stato nazionale può intraprendere anche l'educazione delle ragazze, partendo dagli stessi punti di vista in cui si mette per svolgere l'educazione dei ragazzi. Anche qui si mette per svolgere l'educazione dei ragazzi. Anche qui si deve attribuire la maggiore importanza all'educazione del corpo, e solo dopo si deve pensare a promuovere i valori psichici e intellettuali. Si deve educare la fanciulla con lo scopo costante di farne la futura madre. Solo in seconda linea lo Stato nazionale deve favorire in ogni modo la formazione di carattere. Certo, le caratteristiche principali dell'uomo sussistono in esso già prima di ogni educazione; chi è egoista rimane sempre tale, chi è fondamentalmente idealista lo sarà sempre. Ma fra i caratteri coniati con estrema nettezza vi sono milioni di caratteri vaghi, confusi, poco chiari. Il delinquente nato resterà sempre un delinquente: ma numerosissimi uomini in cui sussiste solo una certa inclinazione e delinquere possono diventare, in grazia d'una appropriata educazione, utili membri della comunità nazionale. Viceversa, una cattiva educazione può fare pessimi elementi di caratteri esitanti. Durante la guerra, fu spesso lamentato che il nostro popolo sapesse così poco tacere. E perciò fu talora difficile sottrarre alla conoscenza del nemico segreti anche importanti. Ma poniamoci questa domanda: Che ha fatto, prima della guerra, l'educazione tedesca per insegnare all'individuo la taciturnità? E purtroppo, nella scuola stessa il piccolo denunziatore non fu spesso preferito ai suoi taciturni compagni? Non si considerò e non si considera la denunzia come lodevole "schiettezza" e la taciturnità come biasimevole ostinazione? Si è forse cercato di presentare la taciturnità come una preziosa virtù virile? No, perché agli occhi della nostra moderna educazione scolastica queste sono bazzecole. Ma tali bazzecole costano allo Stato milioni di marchi di spese giudiziarie, perché il novanta per cento dei processi di diffamazione deriva solo dal non saper tacere. Parole proferite senza pensarci vengono ripetute in giro con altrettanta leggerezza, la nostra economia è continuamente danneggiata dalla propagazione di importanti sistemi di fabbricazioni, e perfino le silenziose preparazioni della difesa del paese sono rese illusorie perché il popolo non ha imparato a tacere e chiacchiera tutto. Ma in guerra questa loquacità può condurre perfino alla perdita d'una battaglia, e così contribuire in modo essenziale all'esito infelice della lotta. Anche qui si deve essere persuasi che non si può fare in vecchiaia ciò che non si è imparato in gioventù. Il maestro non deve cercare di venir a conoscenza di certi stupidi tiri giovanili favorendo le denunzie. La gioventù forma come un Stato per sé, si trova in una certa solidarietà chiusa di fronte agli adulti, e questo è naturale. L'amicizia del fanciullo di dieci anni col suo coetaneo è più che naturale e intima che l'amicizia con un adulto. Il giovane che denunzia i suoi camerati, compie un tradimento e, rivela una mentalità che, in parole rozza e trasferita su scala maggiore, risponde con esattezza a quella di traditore del suo genere. Un ragazzo come questo non può essere considerato "bravo, per bene", ma deve essere ritenuto di mediocre carattere. Per un maestro può essere comodo il servirsi di questi difetti per accrescere la propria autorità, ma così si pone nel petto dei giovani il germe d'una mentalità che avrà più tardi un'azione funesta. Spesso un piccolo denunziatore diventò una grande canaglia! Questo è solo un esempio fra molti. Oggi, nella scuola , è quasi nullo lo sviluppo cosciente di buone e nobili qualità del genere. A tale sviluppo si dovrà un giorno attribuire ben altro peso. Fedeltà, abnegazione, taciturnità sono virtù di cui un grande popolo ha necessità: l'insegnarle e il perfezionarle nella scuola è più importante di molte cose che oggi riempiono i nostri programmi scolastici. Appartiene pure a questo soggetto l'insegnamento della rinunzia a piagnucolose lamentele, alle grida di dolore ecc. Se una educazione dimentica d'insegnare al bambino a sopportare in silenzio le sofferenze e i torti, non deve stupirsi se, più tardi, in un'ora critica, per esempio quando il bambino fatto uomo si troverà al fronte, il servizio postale non servirà ad altro che a lettere lamentose e piagnucolose. Se nelle nostre scuole si inoculasse alla gioventù un po' meno di sapienza e maggiore padronanza di sé se ne sarebbero raccolti buoni frutti negli anni 1915-1918. Così lo Stato nazionale, nel suo lavoro di educazione, deve attribuire grandissimo valore, accanto all'educazione, del corpo, a quella del carattere. Numerosi acciacchi morali che oggi il corpo della nazione porta in sé possono essere eliminati o molti mitigati da una educazione così orientata. Di estrema importanza è l'educazione della forza di volontà e di decisione, e la coltivazione della gioia della responsabilità. Una volta, vigeva nell'esercito la massima che un ordine è sempre meglio di nessun ordine; nella gioventù deve vigere questo principio: è sempre meglio una risposta che nessuna risposta. Il timore di rispondere, per lo spavento di dire il falso, deve essere più umiliante di una risposta non esatta. Partendo da questo principio, si deve educare la gioventù al coraggio dell'azione. Si è spesso lamentato che nel novembre e dicembre 1918 tutte le cariche abbiano mancato al loro compito, che dal monarca fino all'ultimo divisionario nessuno abbia trovato la forza di prendere con indipendenza una decisione. Questo spaventevole fatto è un severo monito della nostra falsa educazione, perché in quella gigantesca catastrofe si è solo rivelato in scala colossale ciò che in piccolo era presente dappertutto. E' la mancanza di volontà con la mancanza d'armi, che oggi ci rende incapaci di ogni seria resistenza. Questa mancanza è riposta dentro il nostro popolo e impedisce ogni decisione che sia connessa con un rischio. Senza sospettarlo, un generale tedesco è riuscito a trovare la formula classica di questa pietosa mancanza di volontà: " io agisco solo quando posso calcolare sul cinquantun percento di probabilità di successo". In questo "cinquantun percento" è fondata la tragedia del crollo tedesco: chi esige dal destino la garanzia del successo rinunzia da sé all'importanza d'un'azione eroica: la presenta morale pericolo, si intraprende il passo che forse può condurre al successo. Un malato di cancro, che in caso diverso è sicuro di morire, non ha bisogno del 51 percento di probabilità, un uomo di coraggio la tenterà; in caso diverso non deve gemere perché muore. Ma, in complesso, la piaga dell'odierna vile mancanza di volontà e di decisione è il risultato soprattutto dell'errata educazione che ci fu impartita in gioventù, i cui funesti effetti si propagano nell'età matura, e nella mancanza di coraggio civile negli uomini di Stato dirigenti trova la sua conclusione e la sua corona. Ha le stesse origini quel rifuggire dalla responsabilità che oggi imperversa. Anche qui l'errore si trova già nella educazione data ai giovani; poi pervade tutta la vita pubblica e trova la sua immortale integrazione nelle istituzione di governi parlamentari. Già in scuola, purtroppo, si assegna più valore alla confessione "coraggiosa e piena di pentimento" e ai "contriti rinnegati" del piccolo peccatore che ad una franca ammissione. Quest'ultima, a più d'un odierno educatore appare perfino come segno evidente di una incorreggibile abiezione, e così (cosa incredibile!) a parecchi giovani viene profetato il patibolo per quantità che sarebbero d'inapprezzabile valore se formassero il bene comune d'un'intiera nazione. Lo Stato nazionale, come dovrà un giorno dedicare l'attenzione più alta all'educare la volontà e la forza di decisione, così dovrà infondere già nei cuori dei piccini la gioia della responsabilità e il coraggio della schietta e aperta confessione. Solo se riconoscerà in tutto il suo valore questa necessità, otterrà, dopo un secolare lavoro educativo, un corpo nazionale non più soggetto a quelle debolezze che oggi contribuirono, in modo così funesto, al nostro tramonto. L'educazione scolastica, che costituisce oggi l'intiero lavoro di educazione compiuto dallo Stato, può essere assunta con soli pochi cambiamenti dallo Stato, può essere assunta con soli pochi cambiamenti dallo Stato nazionale. I cambiamenti riguardano tre campi. Anzitutto il cervello dei giovani, in generale, non deve più essere gravato di cose che, nella proporzione di 95 su 100, non servono loro e che perciò essi dimenticano. In modo particolare, il programma delle scuole popolari e medie rappresenta oggi alcunché di ibrido; in molti oggetti d'insegnamento la materia da imparare è così gonfiata che solo un frammento ne resta nella testa dello scolaro e che solo una frazione di tutta quella abbondanza può trovare impiego. D'altro lato, questa frazione non basta ai bisogni di chi esercita una determinata professione e si guadagna il suo pane. Si prenda per esempio il normale funzionario dello Stato che ha compiuto il ginnasio o la scuola tecnica superiore: lo si prenda quando è in età di 35 40 anni, e si metta alla prova il sapere che un giorno, a fatica, imparò a scuola. Quanto poco sussiste della materia allora introdotta a forza! Certo, ci si sentirà rispondere: "Se allora s'imparavano molte materie, ciò non aveva il solo scopo di possedere più tardi molteplici cognizioni, ma anche quello di educare le facoltà dell'intelletto, la memoria e soprattutto la forza di pensare del cervello". Ciò è in parte esatto. Ma c'è un pericolo nel fatto che il cervello del giovane sia inondato da impressioni che solo di rado può dominare e di cui non sa vedere, né apprezzare  al loro giusto valore, i singoli elementi; e di solito avviene che sia sacrificato e dimenticato non il secondario ma l'essenziale. Così va già perduto lo scopo principale di questa copiosa istruzione: perché esso non può consistere nel rendere il cervello in sé capace d'imparare accumulandovi un enorme quantità di materie d'insegnamento ma deve consistere nel donare alla vita ulteriore quel tesoro di cognizioni di cui il singolo ha bisogno e che attraverso il singolo torna a vantaggio della comunità. Ma ciò resta illusorio se l'individuo, in conseguenza dell'eccesso in materia inculcandogli in gioventù, più tardi non possiede più questa materia o ne ha dimenticato l'essenziale. Milioni di persone nel corso degli anni debbono imparare due o tre lingue straniere di cui più tardi utilizzeranno solo una minima parte; il maggior numero, anzi le dimenticherà del tutto, perché di centomila scolari che, per esempio, imparano il francese, duemila tutt'al più troveranno più tardi un proficuo impiego di questa loro conoscenza, mentre gli altri novant'ottomila  non avranno mai occasione pratica di servirsene. Così abbiamo dedicato da giovani milioni di ore ad una cosa che più tardi non ha per essi valore né importanza. Anche l'obiezione che questa materia fa parte della cultura generale e inesatta, perché sarebbe esatta solo se gli uomini disponessero per tutta la vita di ciò che hanno imparato. In realtà, per amore di duemila persone a cui è utile la conoscenza di quella lingua, novant'ottomila debbono essere tormentate invano a perdere tempo prezioso. E in questo caso si tratta d'una lingua di cui non si può dire che educhi alla logica e all'acume del pensiero, come è per esempio il caso del latino. Quindi sarebbe apportunissimo insegnare il francese agli studenti solo nei suoi contorni generali, o per dir meglio nel suo piano interno, dar loro conoscenza del carattere saliente di quella lingua, introdurli nelle fondamenta della grammatica francese e spiegare con esempi la pronunzia, la formazione della frase, ecc.. Ciò basterebbe per l'uso generale e, perché più facile da osservare e da notare, sarebbe più utile che l'inculcare, come si fa oggi, l'intiero idioma, il quale non sarà padroneggiato bene e più tardi dimenticato. E così si eviterebbe anche il pericolo che dell'eccessiva abbondanza delle materie non restassero nella memoria altro che sconnessi frammenti, perché il giovane avrebbe da imparare solo ciò che è più notevole, e sarebbe già anticipata la scelta fra ciò che ha valore e ciò che non ne ha. I fondamentali generali così insegnati dovrebbero bastare ai più, anche pel resto della vita, mentre a coloro che in seguito hanno reale bisogno di questa lingua darebbero la possibilità di perfezionarsi più tardi in essa e dedicarsi con libertà di scelta ad impararla a fondo. E così si guadagnerebbe nel programma d'insegnamento il tempo necessario all'educazione fisica, e alle esigenze già da noi affacciate in altri campi dell'educazione. Soprattutto nell'insegnamento della storia e necessario cambiare i metodi finora in uso. Nessun popolo dovrebbe più del popolo tedesco imparare la storia: ma esso ne fa pessimo impiego. Se la politica è storia che diviene, la nostra educazione storica è orientata dal genere della nostra attività politica. Anche qui è inutile lagnarsi dei pietosi risultati forniti dalla nostra politica se non si è risoluti a provvedere ad una migliore educazione alla politica. In novantanove casi su cento, il nostro odierno insegnamento della storia ha risultati pietosi. Poche date, anni di nascite e nomi restano, di solito, nella memoria, mentre manca una linea direttiva grande e chiara. Tutto l'essenziale, quello che in realtà importa, in genere non viene insegnato; resta abbandonato alle disposizioni più o meno geniali dei singoli il ricavare dal diluvio di date e dalla serie degli avvenimenti le ragioni profonde di questi. Si può strepitare quanto si vuole contro questa amara constatazione: ma si leggano con attenzione i discorsi tenuti, durante una sola sessione, dai nostri signori parlamentari su problemi politici, per esempio, su questioni di politica estera; si rifletta che costoro costituiscono (così si sostiene) il fiore della nazione tedesca, e che in ogni caso gran parte di essi sedette sui banchi delle nostre scuole medie e parecchi frequentarono l'Università; e si constaterà la meschinità della formazione intellettuale di questa gente. Se essi non avessero affatto studiato la storia ma possedessero un istinto sano, le cose andrebbero meglio e la nazione ne trarrebbe gran profitto. Appunto nell'insegnamento della storia bisogna abbreviare la materia. Il valore principale risiede nel riconoscere le grandi linee dello sviluppo storico. Quanto più l'insegnamento viene limitato a questo, tanto più si può sperare che il singolo trovi in seguito vantaggio nella sua erudizione, e tutti questi vantaggi sommati insieme giovano alla comunità. Perché non s'impara la storia solo per sapere quello che è successo ma per trovare in essa una maestra dell'avvenire e della conservazione del proprio popolo. Questo è lo scopo, e l'insegnamento della storia è solo un mezzo per raggiungerlo. Ma oggi anche qui il mezzo è diventato fine, il fine è perduto di vista. Non si dica che un profondo studio della storia esige appunto che si ritengano tutte queste date indispensabili per fissare la grande linea; perché il fissare è compito dei professionisti della storia.Ma l'uomo medio, normale, non è un professore di storia. Per lui la storia esiste anzitutto per permettergli quel grado di cognizioni storiche che è necessario a prendere una posizione propria negli affari politici del suo paese. Chi vuol diventare professore di storia può dedicarsi tutto, più tardi a questo studio; allora potrà occuparsi anche dei minimi particolari. A questo però non può bastare il nostro moderno insegnamento della storia, che è troppo vasto per l'uomo medio e troppo limitato per il dotto professore. Del resto, è dovere dello Stato nazionale il provvedere perché venga finalmente scritta una storia del mondo dove il problema delle razze occupi la posizione dominante. Riassumendo: lo Stato nazionale dovrà ridurre a forma più breve ma abbracciate tutto l'essenziale l'istruzione scientifica generale. E dovrà, inoltre, offrire la possibilità di un perfezionamento speciale. E' sufficiente che l'individuo riceva, come base, una cultura generica, a grandi linee, e venga istruito a fondo e in modo dettagliato e specializzato solo in quella materia che formerà l'occupazione della sua vita. Quindi l'istruzione generale dovrebbe essere obbligatoria in tutte le materie, l'istruzione speciale dovrebbe essere lasciata alla scelta dei singoli. Si otterrebbe così un abbreviamento del programma scolastico e delle ore di lezioni che andrebbe a tutto vantaggio del perfezionamento del corpo, del carattere e della forza di volontà e di decisione. Quanto futile sia l'attuale istruzione scolastica, specialmente nelle scuole medie, quanto poca importanza abbia per l'esercizio di una professione, è dimostrato dal fatto che oggi possono arrivare ad occupare un medesimo posto uomini provenienti da tre scuole diverse fra loro. Decisiva è solo l'educazione generale, non il sapere speciale, questo non può essere acquistato entro i programmi scolastici delle attuali scuole medie.Lo Stato nazionale deve eliminare una volta o l'altra cotali mezze figure.Il secondo cambiamento nel programma d'istruzione scientifica deve essere il seguente, per lo Stato nazionale: E' nel carattere del nostro tempo materialistico questo, che l'istruzione scientifica si rivolge sempre più alle discipline reali, ossia alla matematica, alla fisica, alla chimica, ecc. e solo a queste. Esse sono, certo, necessarie in un tempo in cui la tecnica e la chimica regnano e sono rappresentate nella vita quotidiana dai loro segni visibili; ma è pericoloso fondare unicamente su queste la cultura generale d'una nazione. Questa cultura, all'opposto, deve sempre essere ideale. Deve fondarsi più sulle discipline umanistiche e offrire solo le basi di un'ulteriore istruzione scientifica speciale. Altrimenti si rinunzia a forze più importanti d'ogni sapere tecnico per la conservazione della nazione. In particola modo, nell'istruzione storica non si deve abbandonare lo studio degli antichi. La storia romana nelle sue grandi linee è e rimane la migliore maestra non solo per i tempi nostri ma per tutti i tempi. Anche l'ideale della civiltà ellenica deve esserci conservato nella sua esemplare bellezza. Le diversità dei singoli popoli non debbono farci dimenticare la grande comunità di razza. La lotta che oggi imperversa ha grandissime mete: una civiltà combatte per la propria esistenza: una civiltà che unisce in sé millenni e racchiude insieme l'Ellenismo e il Germanismo. Occorre fare una netta distinzione fra la cultura generale e le discipline speciali. Queste ultime, oggi, minacciano sempre più di cadere al servizio di Mammone; perciò la cultura generale deve essere conservata come contrappeso, almeno nelle sue forme più ideali. Anche qui si deve imprimere in mente la massima che industria e tecnica, commercio e artigianato possono solo fiorire se una comunità nazionale idealistica offre i presupposti necessari. E questi non si trovano nel materialismo egoistico ma nell'abnegazione e nella gioia della rinunzia. L'odierna educazione dei giovani s'è proposta come primo scopo quello di inculcare al giovane le cognizioni di cui avrà bisogno per fare la sua strada nella vita. Ciò è espresso in questi termini: "Il giovane deve diventare un giorno un utile membro della società umana". Ma con tali parole s'intende la capacità di guadagnarsi onestamente il pane quotidiano. La superficiale istruzione che è fornita in sovrappiù dallo Stato in sé rappresenta solo una forma, è difficile educare su questa degli uomini, assegnare loro dei doveri. Una forma può spezzarsi con troppa facilità. Ma, come vedemmo, il concetto di "Stato" non possiede oggi un contenuto chiaro. Quindi non rimane altro che la solita educazione "patriottica". Questo nella vecchia Germania, dava il massimo peso alla divinazione (spesso poco saggia ma per lo più molto insipida) di piccoli e piccolissimi potentati, la cui abbondanza rendeva impossibile valutare la vera grandezza della nostra nazione. Ne risultava, nelle masse, una insufficiente conoscenza della storia tedesca: anche qui, mancava la grande linea. E' evidente che per tal via non si poteva giungere a creare un vero entusiasmo nazionale. Alla nostra educazione mancava l'arte di estrarre, dallo sviluppo storico della nostra nazione, pochi nomi per farne il bene comune del popolo tedesco, e di allacciare così un uguale sapere ed un uguale entusiasmo, attorno alla nazione un nastro che tutta la restringesse. Non s'è saputo far apparire quali veri eroi, agli occhi della generazione presente, gli uomini di reale valore della nostra nazione, né concentrare su essi l'attenzione generale creando così uno stato d'animo chiuso, unitario. Non si seppe ricavare dalle varie materie d'insegnamento ciò che è più glorioso per la nazione ed elevarlo al di sopra del livello d'un'esposizione obiettiva, per infiammare l'orgoglio nazionale al lume di così insigni esempi. Ciò sarebbe apparso allora un brutto sciovinismo, e in questa forma sarebbe poco piaciuto. Il meschino patriottismo dinastico appariva più piacevole e sopportabile che l'urlante passione d'un supremo orgoglio nazionale. Quello era sempre pronto a servire, questa poteva un giorno diventare padrona. Il patriottismo monarchico terminava in leghe di veterani, la passione nazionale avrebbe battuto vie difficili da prevedere. Essa è come un nobile cavallo, che non si lascia montare da tutti. Non è da stupire che si preferisse tenersi lontani da un simile pericolo. Nessuno credeva possibile che un giorno sopravvivesse una guerra che, nel fuoco tambureggiante e nelle ondate di gas, metterebbe alla prova l'intima forza di resistenza della mentalità patriottica. Ma quando la guerra venne, la mancanza di alta passione nazionale si vendicò in modo spaventoso. Gli uomini ebbero  solo poca voglia di morire per le loro Altezza imperiali e reali, mentre la "nazione" era sconosciuta alla maggior parte. Da quando la rivoluzione è scoppiata in Germania, lo scopo dell'insegnamento della storia non è più altro che quello di inculcare dell'erudizione. Questo stato non ha bisogno di entusiasmo nazionale, ma non otterrà mai ciò che in realtà vorrebbe. Perché, come non vi poté essere un patriottismo dinastico capace di suprema resistenza in un'epoca in cui regna il principio di nazionalità, così e ancor più non vi può essere un entusiasmo repubblicano. Non può essere dubbio che il popolo tedesco, sotto il motto "per la repubblica", non resterebbe quattro anni e mezzo sul campo di battaglia; e meno di tutti vi resterebbero coloro che hanno creato la repubblica. In realtà, questa repubblica può continuare indisturbata solo in grazia della sua prontezza, premessa a tutti, ad assumersi qualsiasi tributo o riparazione verso lo straniero ed a firmare qualsiasi tributo o riparazione verso lo straniero ed a firmare qualsiasi rinunzia territoriale. Essa è simpatica al resto del mondo; come ogni debole, è più gradita che un uomo nerboruto a coloro che ne hanno bisogno. Nella simpatia dei nemici per questa forma di governo si trova la più annientante critica della forma stessa. Si ama la repubblica tedesca e la si lascia vivere perché non si potrebbe trovare miglior alleato nell'opera di asservimento della nostra nazione. A questo solo fatto la repubblica deve la sua conservazione. Perciò essa può rinunziare ad ogni educazione realmente nazionale e contentarsi che gli eroi della Reichsbanner gridino "evviva!"; eroi che, del resto, se dovessero difendere col sangue la bandiera del Reich, scapperebbero come pecore. Lo stato nazionale dovrà lottare per la propria esistenza. Non otterrà né difenderà la propria esistenza sottoscrivendo piani Dawes. Ma per sussistere e per difendersi avrà bisogno appunto di quelle cose a cui ora si crede di poter rinunziare. Quanto più saranno incomparabili e preziosi il contenuto e la forma, tanto maggiori saranno l'invidia e l'opposizione degli avversari. La miglior protezione non si troverà nelle sue armi ma nei suoi cittadini; lo difenderanno non i bastoni delle fortezze ma i viventi muri di uomini e donne, pervasi da supremo amor patrio e da fanatico entusiasmo nazionale. Il terzo punto da considerare nell'educazione scientifica è dunque il seguente: Anche nella scienza lo Stato nazionale deve ravvisare un mezzo per promuovere l'orgoglio nazionale. Non la sola storia del mondo, ma tutta la storia della civiltà deve essere insegnata da questo punto di vista. Un inventore deve apparire grande non solo quale inventore ma, ancor più, quale membro della nazione. L'ammirazione d'ogni grande gesto deve rifondersi in fierezza del fatto che chi lo ha compiuto appartiene al nostro popolo. Ma dagli innumerevoli grandi nomi della storia tedesca se ne debbono estrarre i sommi per imprimerli talmente nello spirito della gioventù, che diventino i pilastri d'un incrollabile sentimento nazionale. La materia d'insegnamento deve essere apprestata metodicamente partendo da questi punti di vista, l'educazione deve essere foggiata in modo che il giovane, quando lascia la scuola, non sia un mezzo pacifista, un democratico o alcunché di simile, ma un completo tedesco.  Perché questo sentimento nazionale sia schietto fin dall'inizio o non consista in una semplice apparenza, deve essere impresa già nelle teste dei giovani, ancora suscettibili di essere modellate, una ferrea, massima fondamentale: Chi ama la nazione può solo provare il suo amore mediante i sacrifici che è pronto a fare per essa. Un sentimento nazionale che miri solo al guadagno, non esiste. E non c'è un nazionalismo che racchiuda solo delle classi. Il gridare: urrah! non testimonia nulla e non dà il diritto di chiamarsi nazionali, se dietro quel grido non si trova l'amorosa preoccupazione del mantenimento di una nazione. C'è motivo di essere fieri del proprio popolo solo quando non ci si deve più vergognare di nessun ceto sociale. Ma una nazione, di cui m,età è povera e macilenta o del tutto deperita, offre un quadro così brutto che nessuno deve sentirsene fiero. Solo se una nazione è sana in tutte le sue membra, nel corpo e nell'anima ognuno può essere lieto di appartenerle, e questa letizia può assurgere all'altezza di quel sentimento che noi chiamiamo orgoglio nazionale. E questo elevato sentimento sarà provato solo da colui che conosce la grandezza della sua nazione. Già nel cuore dei giovani bisogna radicare la nozione dell'intimo nesso del nazionalismo col senso della giustizia sociale. Così sorgerà un giorno un popolo di cittadini uniti fra loro e temprati da un amore e un orgoglio comuni, incrollabile e invincibile in eterno. La paura che il tempo nostro ha dello sciovinismo è il segno della sua impotenza. Poiché gli manca, anzi, gli riesce sgradita ogni traboccante forza, esso non può essere eletto dal destino a grandi opere. Perché le più grandi rivoluzioni avvenute sulla Terra non sarebbero state pensabili se avessero avuto per forze motrici non passioni frenetiche, isteriche, ma le virtù borghesi della tranquillità e dell'ordine. Ma il mondo va, certo, incontro ad una grande rivolgimento. E solo si può chiedere se esso avrà per risultato la salvezza dell'umanità aria o il vantaggio del giudaismo dell'ebreo errante. Lo stato nazionale dovrà darsi pensiero di creare, mediante un'acconcia educazione della gioventù, una generazione matura alle supreme e massime decisioni che allora saranno prese nel nostro globo. Vincerà quel popolo che sarà il primo a battere questa via. Il complessivo lavoro d'istruzione e d'educazione dello Stato nazionale deve trovare il suo coronamento nell'infondere, nel cuore e nel cervello della gioventù a lui affidata, il senso e il sentimento di razza, conforme all'istinto e alla ragione. Nessun ragazzo, nessuna ragazza deve lasciare la scuola senza essere giunta a conoscere alla perfezione l'essenza e la necessità della purezza del sangue. Con ciò restano create le premesse di una base razzista della nostra nazione e, alla sua volta, è fornita la certezza dei presupposti d'un ulteriore sviluppo scientifico, culturale. Perché, in ultima analisi, ogni educazione del corpo e dello spirito rimarrebbe priva di valore se non andasse a favore di un essere risoluto e pronto a conservare se stesso e le sue caratteristiche qualità. In caso diverso, sopravverrebbe quello che noi Tedeschi dobbiamo già lamentare, senza forse avere del tutto compresa l'ampiezza di questa tragica sventura: accadrebbe che noi resteremmo anche in avvenire soltanto concime da cultura, non solo nel senso della meschinità della nostra odierna concezione borghese, che in un membro della razza perduto ravvisa solo un cittadino perduto, ma nel senso che dovremmo con dolore riconoscere che, a dispetto della nostra sapienza e della nostra potenza, il nostro sangue è destinato al tramonto. Congiungendoci sempre di nuovo con altre razze, innalziamo queste dal loro precedente livello di civiltà ad un livello superiore, ma discendiamo per sempre dall'altezza nostra. Del resto, anche questa educazione deve trovare, dal punto di vista della razza, il suo adempimento supremo nel servizio militare. E in generale il tempo del servizio militare deve essere considerato la conclusione dell'educazione normale del Tedesco medio. Come il genere dell'educazione fisica e morale avrà grande importanza nello Stato nazionale, così avrà grande importanza per esso la selezione degli uomini. Su questo punto oggi ci si comporta con leggerezza. In generale, i figli di genitori occupanti posizioni elevate sono considerati alla loro volta meritevoli di una educazione superiore. Il talento ha qui una parte subordinata. In sé, il talento può solo essere valutato in modo relativo. Un giovane contadino può possedere assai più talento che il figlio di genitori occupanti da molte generazioni un alto posto, sebbene sia inferiore di cultura generale al figlio di borghesi. Ma la superiore cultura di quest'ultimo non ha, per se stessa, nulla a che fare col talento più o meno grande, ha la sua radice nella maggior coppia di impressioni che il fanciullo riceve in grazia della sua varia educazione e dell'ambiente che lo circonda. Se anche l'intelligente figlio di contadini fosse stato, sin da bambino, educato in simile ambiente, ben diverso sarebbe la sua capacità di prestazioni intellettuali. Oggi c'è forse un solo campo in cui decida meno l'origine che le qualità innate il campo della Arte. Qui, dove non basta "imparare" ma bisogna già avere doti congenite , che solo più tardi subiranno un più o meno felice sviluppo (e lo sviluppo non potrà consistere in altro che nel favorire disposizioni congenite), il denaro e i beni dei genitori non hanno quasi valore. E qui appare che la genialità non è connessa con gli alti strati sociali o con la ricchezza. Non di rado i maggiori artisti uscirono da povere famiglie. E spesso un ragazzo di villaggio divenne più tardi un celebre maestro. Non è prova di grande profondità di pensiero del tempo nostro il fatto che questa nozione non venga utilizzata per l'intiera vita intellettuale. Si opina dai più che ciò che è incontestabile nell'arte non valga per le cosiddette scienze esatte. Senza dubbio, si possono insegnare all'uomo certe abilità meccaniche, così come un accorto ammaestramento può insegnare ad un docile cane i più incredibili esercizi. Ma, come nell'ammaestramento di animali non è l'intelligenza della bestia che la conduce da sé a simili esercizi, così avviene anche nell'uomo. Si può segnare certi esercizi scientifici, ma in tal caso si ha un fenomeno privo di vita, inanimato, come nell'animale, con un determinato addestramento intellettuale si può dare all'uomo medio una tinta di sapienza superiore alla media: ma resta un sapere morto e non utilizzabile. Risultano allora quegli uomini che possono bensì essere un lessico vivente, ma che nelle situazioni importanti e nei momenti decisivi della vita falliscono miseramente. Costoro dovranno essere guidati in ogni emergenza, anche nelle più modeste, e per se stessi non sono in grado di apportare il minimo contributo al perfezionamento dell'umanità. Un simile sapere meccanico, inoculato, basta tutt'al più ad assumere uffici statali nel tempo nostro. Ben s'intende che nella somma degli abitanti d'uno Stato si trovano talenti per tutti i campi della vita quotidiana. Ed è naturale che il valore del sapere sia tanto maggiore quanto più la morta erudizione viene animata dal talento dell'individuo. In generale, prestazioni creatrici si possono solo avere quando la capacità si sposa al sapere. Un esempio mostrerà come l'umanità odierna pecchi in questa direzione. Di quando in quanto i giornali illustrati mettono sotto gli occhi del piccolo borghese tedesco una notizia: qua o là, per la prima volta, un Negro è diventato avvocato, professore o pastore o alcunché di simile. Mentre la sciocca borghesia prende notizia con stupore d'un così prodigioso addestramento, piena di rispetto per questo favoloso risultato della pedagogia moderna, l'ebreo, molto scaltro, sa costruire con ciò una nuova prova della giustezza della storia, da inocularsi ai popoli, della eguaglianza degli uomini. Il nostro decadente mondo borghese non sospetta che qui in verità si commette un peccato contro la ragione; che è una colpevole follia quella di ammaestrare una mezza scimmia in modo che si creda di averne fatto un avvocato, mentre milioni di appartenenti alla più alta razza civile debbono restare in posti indegni. Si pecca contro la volontà dell'Eterno Creatore lasciando languire nell'odierno pantano proletario centinaia e centinaia delle sue più nobili creature per addestrare a professioni intellettuali Ottentotti, Cafri e Zulù. Perché qui si tratta proprio d'un addestramento, come nel caso del cane, e non di un "perfezionamento" scientifico. La stessa diligenza e fatica, impiegata su razza intelligenti, renderebbe gli individui mille volte più capaci di simili prestazioni. Questo stato di cose sarebbe intollerabile se un giorno non si trattasse più sole eccezioni; ma già oggi è intollerabile là dove non il talento e le disposizioni naturali decidono d'un'educazione superiore. Sì, è insopportabile il pensiero che ogni anno centomila individui privi di ogni talento siano ritenuti degni d'un'educazione superiore. Se negli ultimi decenni, crebbe d'assai, sopratutto nell'America del Nord, il numero delle scoperte importanti, una delle cause è questa, che laggiù un numero assai maggiore che in Europa di talenti usciti dai ceti inferiori trova la possibilità di ricevere un'istruzione superiore. Per inventare, non basta un sapere inculcato, ci vuole un sapere vivificato dall'ingegno. Ma da noi si attribuisce a ciò poco valore: importano solo i buoni punti agli esami. Anche qui dovrà intervenire seriamente lo Stato nazionale. Non è suo compito l'assicurare un'influenza decisiva ad una data classe sociale, ma l'estrarre dalla totalità dei membri della nazione le teste più capaci e importarle agli impieghi e alle cariche. Esso deve fornire al fanciullo medio nella scuola popolare, una determinata educazione, e mettere l'ingegno sulla via che è fatta per lui. E soprattutto deve badare ad aprire a tutti i bene dotati le porte degli istituti statali dell'insegnamento superiore, qualunque sia il ceto da cui gli studiosi provengono. Solo così dal ceto dei rappresentanti d'un'erudizione morta può svilupparsi un geniale ceto dirigente della nazione. C'è poi un altro motivo per cui lo Stato deve svolgere in questo senso in Germania, così chiusi in sé e fossilizzati, che manca loro un evidente collegamento con gli strati più bassi. Questo fatto ha due cattive conseguenze: anzitutto, viene così a mancare ai ceti intellettuali la comprensione e il senso della vasta massa. Da troppo tempo fu infranto per essi il contatto con la massa, perché possano ancora possedere la necessaria compressione psicologica del popolo. Sono diventati estranei al popolo. In secondo luogo, manca loro la necessaria forza di volontà. Perché questa è sempre più debole in isolati circoli intellettuali che nella massa del popolo primitivo. ma in verità a noi Tedeschi non manca mai la cultura scientifica: mancò spesso invece la forza di volontà e di decisione. Quanto più "intelligenti", per esempio, erano i nostri uomini di Stato, tanto più debole fu in genere l'opera da essi fornita. La preparazione politica e l'attrezzamento tecnico per la guerra mondiale furono insufficienti non già perché teste troppo poco colte governassero il nostro popolo, ma perché i governanti erano troppo colti, colmi di sapere e di spirito, ma privi d'ogni istinto e d'ogni energia ed audacia. Fu una fatalità che il nostro popolo abbia dovuto combattere per la sua esistenza sotto il cancellierato di un debole filosofeggiante. Se in luogo di Bethmann - Holweg avessimo avuto per capo un robusto uomo del popolo, l'eroico sangue dei nostri granatieri non sarebbe stato versato invano. Così pure, l'elevata educazione, puramente spirituale, dei nostri dirigenti fu la miglior alleata della canaglia rivoluzionaria di novembre. Quegli intellettuali riservarono il bene nazionale loro affidato, invece di metterlo tutto in giuoco, e così crearono le condizioni necessarie al successo degli altri. Qui la Chiesa cattolica può offrirci un esempio molto istruttivo. In causa del celibato dei preti, è necessario scegliere i sacerdoti futuri non dalle file del clero ma dalla vasta massa del popolo. Ma appunto questo significato del celibato non è riconoscibile dai più. Esso è la causa della forza sempre fresca che vige in quell'antichissima istituzione. Perché, per il fatto che questo gigantesco esercito di dignitari ecclesiastici si integra senza posa sugli strati più bassi del popolo, la Chiesa si conserva l'istinto collegamento col mondo di sentimenti del popolo, e si assicura una somma di energie che solo è presente, in tal forma, nella vasta massa popolare. Di qui deriva la sorprendente giovinezza di quel colossale organismo, la sua flessibilità spirituale e la ferrea forza di volontà.  Lo Stato nazionale avrà il compito di curare, nei suoi istituti d'insegnamento, che abbia luogo un costatante rinnovamento dei ceti intellettuali mediante l'infusione di sangue fresco dei ceti inferiori. Lo Stato ha l'obbligo, di estrarre, dopo averlo vagliato con attenz<ione e diligenza estrema dalla totalità della popolazione, il materiale emano più favorito dalla Natura e di impiegarlo al servizio della collettività. Perchè Stato e funzionari statali non esistono per rendere possibile il sostenimento a singole classi ma per soddisfare i compiti loro spettanti. E ciò sarà solo possibile se, per incarnare lo Stato, verranno educate, per principio, solo persone capaci e di forte volontà. E ciò vale non solo per tutti i funzionari, ma anche per la direzione spirituale della nazione in tutti i campi. Un fattore della grandezza d'una nazione è pure riposto in questo, che si riesca a sceverare ed educare i migliori per  le  funzioni loro spettanti e a metterli al servizio della comunità nazionale. Se due popoli gareggiano fra loro, aventi eguali qualità e disposizioni, vincerà quello, che nella sua direzione spirituale trova rappresentanti i suoi migliori ingegni, e perderà quello il cui governo rappresenta solo una grande greppia comune per certe classi o ceti, senza riguardo alle capacità innate dei singoli governanti. Certo, questo sembra a prima vista impossibile nel mondo d'oggi. Si obietterà che, per esempio, non c'è da aspettarsi che il piccolo figlio d'un alto funzionario statale diventi, poniamo, artigiano perché un altro, i cui genitori erano artigiani, appare meglio dotato di lui. Ciò può essere giusto, data l'odierna valutazione del lavoro manuale. Ma perciò lo Stato nazionale deve prendere  una posizione fondamentale diversa di fronte al concetto di lavoro. Esso, e se è necessario mediante un'educazione prolungata per secoli, romperà con l'assurda abitudine di disprezzare l'attività corporale. Apprezzerà l'individuo nondal genere del suo lavoro, ma dalla forma e dalla bontà dell'opera fornita. Ciò sembrerà mostruoso ad un'epoca per la quale il più sciocco rimpinzatore di colonne di giornale vale più d'un intelligente meccanico, per il solo fatto che lavora con la penna. Ma, come dicemmo, questa falsa valutazione non è riposta nella natura delle cose: fu installata artificialmente con l'educazione, e una volta non esisteva. Il presente innaturale stato di cose è basato appunto sui generali fenomeni morbosi della nostra materialistica epoca. In linea di principio, ogni lavoro ha un doppio valore: uno materiale ed uno ideale. Il valore materiale consiste nell'importanza che il lavoro ha per la vita della collettività. Quanto maggiore è il numero dei cittadini che traggono vantaggio da una determinata prestazione, vantaggio diretto o indiretto, tanto più deve essere stimato il valore materiale. Questa stima trova espressione plastica nel compenso  materiale che l'individuo riceve per il suo lavoro. A questo lavoro puramente materiale si contrappone quello ideale. Questo non si fonda sull'importanza materiale del lavoro fornito ma sulla sua necessità in sé.  L'utilità materiale d'una scoperta può essere più grande che quella del servizio reso da un manovale, ma è certo che la collettività si fonda tanto sul servizio piccolo quanto su quello grande. Può fare una distinzione materiale nel valutare l'utilità del singolo lavoro per la collettività, e può esprimere quella distinzione nel compenso accordato; ma deve idealmente stabilire l'equivalenza di tutti i lavori nel momento in cui ogni individuo si sforza di fare del suo meglio nel proprio campo, qualunque questo sia. Ma la stima del valore d'un uomo deve fondersi su ciò, e non sul compenso dato. In uno Stato ragionevole si deve fare in modo che all'individuo venga assegnata quella attività che risponde alle sue facoltà; o, in altre parole, i capaci debbono essere educati al lavoro loro spettante, ma la capacità non può essere infusa, deve essere innata, poiché è un dono della Natura e non merito dell'uomo. Quindi, la generale valutazione borghese non può regolarsi a seconda del lavoro assegnato, in certo modo, al singolo. Perché questo lavoro va messo in conto della sua nascita e dell'istruzione dipendente dalla nascita, istruzione ricevuta per mezzo della collettività. La valutazione dell'uomo deve essere fondata sul modo in cui egli diventa idoneo al compito assegnatogli dalla collettività. Perché l'opera che l'individuo svolge non è lo scopo della sua esistenza, ma ne è il mezzo. Egli deve, come uomo, nella cornice della sua comunità di cultura, la quale, deve sempre riposare sul fondamento d'uno Stato. Egli deve contribuire alla conservazione di questo fondamento. La forma di questo contributo è determinata dalla Natura. L'importante è solo restituire e rendere possibile alla comunità nazionale, con diligenza e onestà, ciò che la comunità ha donato all'individuo. Chi fa ciò, merita stima ed alta considerazione. La ricompensa materiale può essere assegnata a colui che con le sue prestazioni giova alla collettività; ma la ricompensa ideale deve consistere nella considerazione che ognuno può pretendere, se dedica al servizio della propria nazione le forze che la Natura gli donò e che la comunità nazionale educò e perfezionò. Allora non è più un indegnità essere un bravo artigiano: indegno è invece l'essere un funzionario inetto e il rubare al buon Dio il giorno e al buon popolo il pane quotidiano. E allora sarà ritenuto naturale che non si affidino ad un uomo funzioni alle quali non è pari. Del resto, questo modo di attività offre l'unico criterio del diritto alla generale parità giuridica dell'attività borghese.L'epoca nostra si demolisce da sé: introduce il suffragio universale, chiacchiera d'eguaglianza di diritti, ma non trova un fondamento morale di tutto ciò. Ravvisa nella ricompensa materiale l'espressione del valore d'un uomo, e con ciò stritola le basi della più nobile eguaglianza non riposa né può riposare sulle prestazioni dei singoli in sé; ed è solo possibile nella forma in cui ciascuno adempie i suoi particolari doveri. Solo così viene eliminato, nel giudicare il valore dell'uomo, il caso che è opera della Natura, e l'individuo è reso artefice del proprio valore sociale.Al tempo nostro, i cui interi gruppi umani sanno solo più apprezzarsi a vicenda secondo lo stipendio che riscuotono, queste cose non trovano comprensione. Non per questo noi rinunziamo a sostenere le nostre idee. All'opposto: Chi vuol salvare l'epoca nostra, malata e fradicia, deve in primo luogo avere il coraggio di identificare le cause di questa malattia. E a ciò deve provvedere il movimento social-nazionalista: radunare, passando sopra ogni meschinità ordinare quelle forze che sono atte a farsi campioni d'una nova concezione del mondo.Si obietterà che in genere è difficile separare la valutazione materiale della ideale, e che la declinante valutazione del lavoro corporale è conseguenza del minor compenso. Si dirà che il minor compenso è alla sua volta causa d'una minor partecipazione dell'individuo ai beni culturali della sua nazione; che così resta danneggiata appunto la cultura ideale dell'uomo, la quale non ha nulla a che fare con la sua attività in sé. Si soggiungerà che l'avversione al lavoro corporale ha radice nel fatto che, in conseguenza della peggiorata rimunerazione, il livello di cultura dell'artigiano fu abbassato: ciò che giustifica una minor valutazione generale. In tutto questo c'è molta verità. Ma appunto per ciò dovremo guardarci in avvenire da una differenziazione troppo grande della misura dei salari. Non si dica che allora verranno meno le buone prestazioni. Sarebbe tristissimo indizio  della decadenza d'un'epoca se l'impulso ad una superiore prestazione intellettuale fosse unicamente riposto nella retribuzione più alta. Se in questo nostro mondo una simile mentalità fosse sempre prevalsa, l'umanità non avrebbe mai acquistati i suoi preziosi beni scientifici e culturali. Perché le maggiori invenzioni, le maggiori scoperte, i lavori scientifici più innovatori, i più splendidi monumenti all'umana civiltà non furono donati al mondo dall'impulso di guadagnar denaro. All'opposto: non di rado la loro nascita significò la rinuncia alla felicità terrestre donata dalla ricchezza. Può darsi che oggi il denaro sia diventato l'esclusivo signore della vita; ma un giorno l'uomo ritornerà ad inchinarsi a più alte divinità. Oggi molte cose debbono la loro esistenza solo all'attività del denaro e della ricchezza: ma fra esse ben poche spno quelle che, se non esistessero, lascerebbero più povera l'umanità. Il nostro movimento ha pure questo compito, di annunciare gia oggi un'epoca che darà al singolo ciò di cui ha bisogno per vivere, ma terrà fermo il principio che l'uomo, non vive esclusivamente per i godimenti materiali. Ciò troverà la sua espressione in una graduazione dei meriti  definita con saggezza, assicurante anche all'ultimo onesto lavoratore, per ogni caso, una normale esistenza, nella sua qualità di uomo e di membro della nazione. Non si dica che questo è uno stato ideale che non si può realizzare nella pratica e non sarà mai realizzato. Perchè anche noi non siamo così ingenui da credere possibile introdurre un giorno un'epoca senza difetti. Ma tuttavia ci sentiamo in obbligo di combattere gli errori riconosciuti, di superare le debolezze e di tendere con ogni sforzo all'ideale. Già per se stessa la dura realtà addurrà fin troppe limitazioni: e per questo appunto l'uomo deve cercare di servire all'ultimo scopo, e gli errori non debbono  distoglierli dai suoi propositi così come egli non può rinunciare ad una Giustizia per il solo fatto che anche questa è soggetta ad errare, e così come si ripudia la medicina per il solo fatto che le malattie continuano a sussistere. Bisogna guardarsi dal fare poco conto della forza di un ideale. Se taluno è, per questo riguardo, pusillanime, e se è stato soldato, io gli ricorderò quel tempo il cui eroismo fu dovuto alla generale ammissione della forza dei motivi ideali. Ciò che allora spinse gli uomini a morire non fu la preoccupazione del pane quotidiano ma l'amore della patria, la credenza nella grandezza di questa, il diffuso sentimento dell'onore della nazione. Solo quando il popolo tedesco si allontanò da questi ideali per ascoltare le materiali promesse della rivoluzione, e depose le armi, giunse, non al paradiso terrestre ma al purgatorio dell'universale disprezzo e della generale miseria. Quindi è anzitutto necessario opporre ai contabili della presente repubblica materiale la fede in un Reich ideale.

 

CAPITOLO III

CITTADINI E SOGGETTI DELLO STATO


In generale quell'istituto che oggi viene chiamato Stato conosce due sole specie di uomini: cittadini e stranieri. Cittadini sono tutti quelli che o per la loro nascita o per essere stati più tardi incorporati nello Stato posseggono il diritto di cittadinanza; stranieri sono coloro che posseggono questo diritto in un altro Stato. Fra gli uni e gli altri vi sono delle comparse: i cosiddetti "apolidi": uomini che hanno l'onore di non appartenere a nessuno degli Stati odierni, e quindi non posseggono in nessun luogo il diritto di cittadinanza. Il diritto di cittadinanza s'acquisisce oggi in prima linea col nascere entro i confini d'uno Stato. La razza o l'appartenenza alla nazione non hanno in ciò nessuna parte. Un negro, vissuto una volta nei territori di protettorato tedesco, ed ora dimorante in Germania, mette al mondo un figlio che è "cittadino Tedesco". E così, ogni figlio di Ebrei o di Polacchi o di Africani o di Asiatici può essere senz'altro dichiarato cittadino tedesco. Oltre alla cittadinanza acquisita con la nascita, sussiste la possibilità di diventare cittadini più tardi. Possibilità connessa con varie condizioni preliminari, per esempio, col fatto che il cittadino non sia, possibilmente, né un ladro né un leone,che non sia pericoloso dal punto di vista politico, che non riesca di "peso" alla sua nuova patria politica. Naturalmente il nostro tempo materialistico pensa solo ad un "peso" finanziario. Anzi, per affrettare l'acquisto della cittadinanza giova oggi indicare nel candidato un futuro ottimo pagatore d'imposte. Considerazioni razziste non vi hanno la minima parte. L'acquisto della cittadinanza si svolge non diversamente dalla ammissione in un club automobilistico. Il candidato presenta la sua richiesta, si procede ad un'indagine, la richiesta è accolta, e un bel giorno gli si fa conoscere con un biglietto che è diventato cittadino dello Stato. E la notizia gli è data in forma umoristica: a colui che finora è stato un Zulù o un Cafro si comunica che "è diventato tedesco"! Siffatto sortilegio è la prerogativa di un semplice funzionario. In un batter d'occhio, questo funzionario fa ciò che nemmeno il Cielo potrebbe fare. Un tratto di penna, e un Mongolo diventa un autentico "Tedesco". Non solo non ci si cura della razza di quel nuovo cittadino, ma non ci si preoccupa nemmeno della sua sanità fisica. Egli può essere roso dalla sifilide quanto vuole, tuttavia è benvenuto quale cittadino per lo Stato odierno, purché non rappresenti né un onere finanziario né un pericolo politico. Così ogni anno quel mostro che è chiamato Stato assorbe elementi velenosi da cui non può più liberarsi. Il cittadino stesso si distingue dallo straniero solo in questo, che a lui è aperta la via degli uffici pubblici, che deve eventualmente prestare servizio militare e che può partecipare, attivamente e passivamente, alle elezioni. In complesso, è tutto qui. Perchè non di rado anche lo straniero gode la protezione dei diritti civili e della libertà personale: per lo meno, così è nell'attuale repubblica tedesca. So che queste cose non si odono volentieri; ma non esiste nulla di più assurdo, di più irritante dell'odierno diritto di cittadinanza. C'è oggi uno Stato in cui si manifestano almeno i primi indizi d'una concezione migliore: e non è la nostra esemplare repubblica tedesca, ma l'Unione americana, dove si tenta di fare appello almeno in parte alla ragione. L'Unione americana rifiuta gli elementi cattivi dell'immigrazione, ed esclude semplicemente certe razze dalla concessione della cittadinanza: e con ciò professa già, in inizi ancora deboli, una mentalità che è propria del concetto nazionale di Stato. Lo Stato nazionale ripartisce i suoi abitanti in tre classi: cittadini, appartenenti allo Stato, e stranieri. La nascita conferisce solo l'appartenenza allo Stato. Questa, per sé, non rende capaci di coprire cariche pubbliche né di esercitare un'attività politica partecipando alle elezioni. In ogni appartenente allo Stato si deve, in prima linea di principio, stabilire la razza e la nazionalità. L'appartenente allo Stato può sempre rinunziare a questa appartenenza e diventare cittadino dello Stato la cui nazionalità risponde alla sua. Lo straniero si distingue dall'appartenente allo Stato solo in questo, che appartiene anche ad uno Stato estero. Il giovane di nazionalità tedesca, appartenente allo Stato, ha l'obbligo di compiere l'educazione scolastica prescritta ad ogni Tedesco. Così si assoggetta all'educazione necessaria a diventare un membro del popolo avente coscienza della razza e della nazionalità. Dovrà più tardi adempiere le esercitazioni fisiche ordinate dallo Stato e infine entrare nell'esercito. L'educazione nell'esercito è generale: deve comprendere ogni singolo Tedesco e renderlo idoneo ad impiegare le sue facoltà fisiche e intellettuali ad usi militari. Quando il Giovane, sano e virtuoso, ha terminato il servizio militare, gli viene conferito il diritto di cittadinanza. E' questo il più prezioso documento per la sua vita terrena. Con esso assume tutti i diritti del cittadino e ne gode tutti i vantaggi. Perché lo Stato deve fare netta distinzione fra quelli che, in qualità di membri del popolo, sono artefici e portatori della sua esistenza e della sua grandezza, e quelli che soggiornano entro i confini d'uno Stato unicamente per farvi i loro guadagni. Il certificato di cittadinanza deve essere conferito con un solenne giuramento da prestare alla comunità nazionale e allo Stato. Questo documento deve essere come un legame allacciante  tutti i ceti e varcante tutti gli abissi.L'essere come spazzino cittadino d'un tale Reich sarà onore più alto che l'esser re in uno Stato straniero.Il cittadino è privilegiato di fronte allo straniero. E' il padrone del Reich. Ma quest'alta dignità comporta doveri. Chi non ha onore né carattere, il volgare malfattore, il traditore della patria può essere privato di tale onore; e così ridiventa un semplice appartenente allo Stato. La fanciulla tedesca è appartenente allo Stato; solo il matrimonio la rende cittadina: Ma il diritto di cittadinanza può essere conferito alle Tedesche, appartenenti allo Stato, che si guadagnano la vita.

 

La traduzione integrale potete trovarla su  http://www.fascismoeliberta.net/kf/MEINKAMPF.html

 

DISCORSI

 

·        Discorso di Hitler alle SA e alle SS dopo la presa del potere (1933)

 

Hitler: Il grande momento è appena cominciato. La Germania si è svegliata! Siamo andati al potere in Germania e ora domineremo il popolo tedesco. Lo so, camerati, a volte può essere difficile, quando si desidera un cambiamento che non giunge, e più e più volte occorre ripetere l'appello a continuare la lotta. Ma non dovete agire da soli, dovete obbedire, dovete cedere e sottomettervi alla schiacciante necessità dell'obbedienza.

SA&SS: Ave! Ave! Vittoria! Ave! Vittoria!

 

·        La cerimonia di apertura di Berlino 1936: La prima trasmissione televisiva ufficiale della storia, presenta Adolf Hitler (1936)

VIDEO

 

·        Discorso di Hitler: "E' l'ora delle decisioni" (1939)

 

An attempt at Nuremburg in April 1939 to ready the youth of Germany to the eventuality of war:

"What is our Germany of today! How very beautiful and heroic! When I cast my gaze upon you, I know my life's struggle is not being fought in vain! You shall always remain faithful, as German always have. There will always be a new generation of youth, in this city, a city which saw the passage of centuries will see new generations. They will be even more beautiful, they will be even more powerful, and they shall inspire in the hearts of the living even greater hope for the future. I do not bewail - I sound a warning! I am not fear stricken, but I want you to be prepared! I do not tremble at the hour of decision, but I want you to see, and I want to be strong. I want my feet planted strongly in our earth, ready to withstand any onslaught! And you will stand by my side should that hour ever come. You will stand before me, behind me and beside me and at my hands, and together, we shall carry our banners to victory!"

 

·        Il discorso di Hitler al Reichstag dopo l'invasione della Polonia

Come sempre, tentai di mediare, col metodo pacato di fare proposte per una revisione, una modifica di questa posizione intollerabile. È una bugia quando il mondo esterno dice che noi tentammo solamente di sostenere le nostre revisioni con le pressioni. Quindici anni prima del Partito Nazional Socialista esisteva l'opportunità di eseguire queste revisioni con risoluzioni pacifiche e comprensive. Di mia iniziativa ho, non una volta ma molte volte, fatto proposte per la revisione di queste condizioni intollerabili. Tutti queste proposte, come Voi sapete, sono state respinte, proposte per la limitazione degli armamenti e pure, se necessario, per il disarmo, proposte per la limitazione delle cause di guerra, proposte per l'eliminazione di certi metodi di guerra moderna. Voi conoscete le proposte che ho fatto per soddisfare la necessità di ripristinare la sovranità tedesca sui territori tedeschi. Voi conoscete i tentativi senza fine che feci per una chiarificazione pacifica e comprensiva del problema dell'Austria e più tardi del problema dei Sudeti, della Boemia e della Moravia. Fu tutto vano. È impossibile richiedere che una posizione 'impossibile' sia chiarita con una revisione pacifica e allo stesso tempo si rifiuti continuamente tale revisione pacifica. È anche impossibile dire che colui che intraprende l'esecuzione di queste revisioni da solo trasgredisca una legge, poiché il Diktat di Versailles non è legge per noi. Una firma ci fu estorta con pistole puntate alla nostra testa e con la minaccia della fame per milioni di persone. E poi questo documento, con la nostra firma ottenuta con la forza, fu dichiarato legge solenne. Nello stesso modo, ho tentato anche di risolvere il problema di Danzica, del Corridoio etc etc, proponendo una discussione pacifica. Che i problemi dovessero essere risolti era chiaro. È abbastanza comprensibile per noi che il tempo in cui il problema sarebbe stato risolto aveva poco interesse per le Potenze Occidentali. Ma quel tempo non è una questione indifferente per noi. Inoltre, non era e non poteva essere una questione indifferente per coloro che soffrono di più. Nei miei colloqui con gli statisti polacchi trattai le idee che Voi conoscete dal mio ultimo discorso al Reichstag. Nessuno potrebbe dire che questa fosse in qualsiasi modo una procedura inammissibile o una pressione indebita. Poi, alla fine, formulai naturalmente le proposte tedesche e ancora una volta devo ripetere che non c'è nulla di più modesto o leale di queste proposte. Mi piacerebbe dire questo al mondo. Io solo ero nella posizione per fare tali proposte, perciò so molto bene che nel farle mi misi contro milioni di tedeschi. Queste proposte sono state rifiutate. Non solo essi risposero prima con la mobilitazione, ma pure con aumentato terrore e pressione contro i nostri compatrioti tedeschi e con uno strangolamento lento della Libera Città di Danzica, economicamente, politicamente, e nelle recenti settimane con mezzi militari e di trasporto.
La Polonia ha diretto i suoi attacchi contro la Libera Città di Danzica. Inoltre, la Polonia non era pronta a risolvere la questione del Corridoio in un modo ragionevole che sarebbe equo a entrambe le fazioni ed Essa non pensò di mantenere i suoi obblighi verso le minoranze. Devo qui affermare definitivamente una cosa; la Germania ha mantenuto questi obblighi; le minoranze che vivono in Germania non sono perseguitate. Nessun francese può alzarsi in piedi e dire che un qualunque francese che vive nel territorio della Saar è oppresso, è torturato o è privato dei suoi diritti. Nessuno può dire questo. Per quattro mesi ho guardato con calma gli sviluppi, sebbene non cessassi mai di dare avvertimenti. Negli ultimi giorni ho aumentato questi avvertimenti. Informai tre settimane fa l'Ambasciatore polacco che se Polonia avesse continuato a spedire a Danzica delle note in forma di ultimata, se la Polonia avesse continuato con i suoi metodi di oppressione contro i tedeschi e se sul versante polacco non si fosse posto fine alle misure doganali destinate a rovinare il commercio di Danzica, allora il Reich non sarebbe potuto rimanere inattivo. Non ebbi dubbi che le persone che volevano comparare la Germania di oggi con la vecchia Germania si stessero ingannando. Un tentativo fu fatto per giustificare l'oppressione dei tedeschi affermando che essi avevano commesso atti di provocazione. Non so in cosa potessero consistere queste provocazioni da parte di donne e bambini, se loro stessi sono maltrattati, in alcuni casi uccisi. Una cosa faccio sapere: che nessuna Grande Potenza può con onore sopportare passivamente e guardare tali eventi. Feci un ulteriore sforzo finale per accettare una proposta di mediazione da parte del Governo britannico. Loro proposero non che essi stessi conducessero le negoziazioni, ma piuttosto che la Polonia e la Germania entrassero in contatto diretto e ancora una volta proseguissero le negoziazioni. Devo dichiarare che accettai questa proposta e preparai una base per queste negoziazioni che vi sono note. Per due giorni interi sedetti col mio Governo e aspettai per vedere se era conveniente per il Governo polacco spedire un plenipotenziario oppure no. La notte scorsa loro non ci spedirono un plenipotenziario, ma invece ci informarono attraverso il loro Ambasciatore che stavano ancora considerando se e in che misura erano in nella posizione di andare incontro alle proposte britanniche. Il Governo polacco disse anche che avrebbe informato la Gran Bretagna della propria decisione. Deputati, se pazientemente il Governo tedesco e il suo Leader sopportassero tale trattamento, la Germania meriterebbe solamente di scomparire dal palcoscenico politico. Ma mi si giudica erroneamente se il mio amore per la pace e la mia pazienza sono confusi con la debolezza o la codardia. Io, perciò, la scorsa notte ho deciso e ho informato il Governo britannico che in queste circostanze non posso trovare più alcuna buona volontà da parte del Governo polacco per condurre negoziazioni serie con noi. Queste proposte di mediazione sono fallite perché nel frattempo, prima di tutto, venne come risposta l'improvvisa mobilitazione generale polacca, seguito da diverse atrocità polacche. Queste furono ripetute di nuovo la notte scorsa. Recentemente, in una sola notte ci furono ventuno incidenti di frontiera; la notte scorsa quattordici dei quale tre furono piuttosto seri. Io, perciò, mi sono risolto a parlare alla Polonia nella stessa lingua che la Polonia nei mesi passati ha usato con noi. Questo atteggiamento da parte del Reich non cambierà. Gli altri Stati europei capiscono in parte il nostro atteggiamento. Mi piacerebbe soprattutto qui ringraziare l'Italia che ci ha sostenuti in tutto, ma Voi comprenderete che per continuare questa lotta noi non intendiamo fare appello a un aiuto straniero. Noi eseguiremo questo compito da soli. Gli Stati neutrali ci hanno assicurato il mantenimento della loro neutralità, così come noi l'abbiamo garantita loro. Quando gli uomini di governo dell'Occidente dichiarano che questo concerne i loro interessi, posso solo rammaricarmi di quella dichiarazione. Non può per un momento farmi esitare nell'adempiere il mio dovere. Cosa si vuole in più? Li ho assicurati solennemente e lo ripeto, che noi non chiediamo nulla a questi Stati Occidentali e mai chiederemo qualcosa. Ho dichiarato che la frontiera tra Francia e Germania è definitiva. Ho offerto ripetutamente amicizia e, se necessario, la cooperazione più stretta alla Gran Bretagna, ma questo non può essere offerto da una sola parte. Deve trovare risposta dall'altro lato. La Germania non ha interessi in Occidente e il nostro muro occidentale sarà per tutti i tempi la frontiera del Reich a ovest. Inoltre, Noi non abbiamo nessuna mira di nessun genere laggiù per il futuro. Con questa assicurazione noi siamo in solenne onestà e finché altri non violeranno la loro neutralità noi avremo ogni cura di rispettarli. Sono particolarmente felice di potervi raccontare un evento. Voi sapete che la Russia e la Germania sono governate da due dottrine diverse. C'era solamente una questione che doveva essere chiarita. La Germania non ha alcuna intenzione di esportare la propria dottrina. Dato il fatto che la Russia sovietica non ha alcuna intenzione di esportare la sua dottrina in Germania, non vedo più ragione perché ci dovremmo ancora opporre l'un l'altro. Su entrambi i lati, noi siamo stati chiari su questo. Qualsiasi lotta tra i nostri popoli sarebbe solamente di vantaggio per altri. Noi, perciò, abbiamo deciso di concludere un patto che ripudia per sempre qualsiasi uso di violenza tra noi. Esso ci impone l'obbligo di consultarci su certe questioni Europee. Rende possibile per noi una cooperazione economica e soprattutto assicura che le potenze di entrambi questi Stati non siano sprecate l'una contro l'altra. Ogni tentativo dell'Occidente di provocare qualsiasi mutamento in questo, fallirà. Allo stesso tempo, mi piacerebbe qui dichiarare che questa decisione politica significa uno straordinario orientamento per il futuro che è definitivo. La Russia e la Germania lottarono l'una contro l'altra nella Guerra Mondiale. Ciò che poteva essere non accadrà una seconda volta. Anche a Mosca, questo patto fu salutato precisamente come Voi lo salutate. Posso solo confermare parola per parola il discorso del Commissario per gli Esteri russo, Molotov. Sono determinato a risolvere (1) la questione di Danzica; (2) la questione del Corridoio; e (3) far vedere che un cambiamento è stato fatto nelle relazioni tra Germania e Polonia che assicurerà una coesistenza pacifica. In questo, sono risoluto a continuare a lottare fino a che o l'attuale Governo polacco sarà disposto ad eseguire questo cambiamento o finché un altro Governo polacco sarà pronto a farlo. Sono determinato a rimuovere dalle frontiere tedesche l'elemento di incertezza, l'atmosfera eterna di condizioni che assomigliano a una guerra civile. Mostrerò loro che a Oriente, sulla frontiera, esiste una pace precisamente simile a quella presente sulle altre nostre frontiere. In questo, prenderò le misure necessarie per far sì che essi non contraddicono le proposte già rese note nel Reichstag stesso al resto del mondo cioè che non guerreggerò contro donne e bambini. Ho ordinato alla mia aeronautica militare di limitarsi a attacchi su obiettivi militari. Se, comunque, il nemico pensa che potrà avere carta bianca da parte sua per combattere con altri metodi, riceverà una risposta che lo ammutolirà. Questa notte per la prima volta, dei soldati regolari polacchi spararono sul nostro territorio. Dalle 5:45 noi stiamo rispondendo al fuoco e da ora in poi alle bombe risponderemo con le bombe. Chiunque combatterà con gas velenosi sarà combattuto con gas velenosi. Chiunque violerà le regole di guerra può aspettarsi solamente che noi faremo lo stesso. Continuerò questa lotta, non importa contro chi, fino a che l'incolumità del Reich e i suoi diritti saranno assicurati. Da sei anni ormai, sto lavorando all'edificazione delle difese tedesche. Oltre 90 miliardi sono stati spesi in questo periodo per costruire queste forze di difesa. Esse ora sono le meglio equipaggiate soprattutto a paragone con quello che erano nel 1914. La mia fiducia in loro è incrollabile. Quando richiamai queste forze e quando, ora, chiedo il sacrificio del popolo tedesco e se necessario ogni sacrificio, avevo diritto di farlo, perché sono oggi assolutamente pronto, come lo ero in precedenza, a fare ogni sacrificio personale. Non sto chiedendo a alcun uomo tedesco più di ciò che ero personalmente pronto a fare in qualsiasi momento durante questi quattro anni. Non ci saranno fatiche per tedeschi alle quali io non mi sottoporrò. La mia vita intera appartiene d'ora innanzi più che mai al mio popolo. Sono da ora in poi il primo soldato del Reich tedesco. Ancora una volta indosso l'abito che è a me più sacro e caro. Non lo toglierò fino a che la vittoria sarà assicurata o non sopravvivrò alle conseguenze. Qualunque cosa dovesse accadermi nella lotta, il mio primo successore è il Camerata di Partito Göring; qualunque cosa dovesse accadere al Camerata di Partito Göring, il successore sarà il camerata di Partito Hess. Voi avrete l'obbligo di dare loro come Führer la stessa lealtà e obbedienza cieca che date a me. Se qualsiasi cosa accadesse al Camerata di Partito Hess, allora per legge il Senato sarà convocato e sceglierà dal suo interno il più degno - vale a dire il più coraggioso - successore. Come Socialista Nazionale e come soldato tedesco entro in questa lotta con cuore indomito. La mia intera vita non è stata se non una lunga lotta per il mio popolo, per la sua restaurazione e per la Germania. C'era solamente una parola d'ordine per quella lotta: fede in questo popolo. Solo una parola che non ho imparato mai: ovvero, resa.
Se, comunque, qualcuno pensa che noi fronteggeremo dei tempi duri, gli direi di ricordare che una volta un Re di Prussia, con uno Stato ridicolmente piccolo, si oppose a una coalizione e in tre guerre finalmente uscì vincitore perché quello Stato aveva quel cuore indomito di cui noi abbiamo bisogno in questi tempi. Mi piacerebbe assicurare, perciò, al mondo intero che un altro Novembre 1918 non si ripeterà nella storia tedesca. Così come io sono pronto in qualunque momento a mettere in gioco la mia stessa vita - così che chiunque possa prenderla per il mio popolo e per la Germania - così chiedo lo stesso a tutti gli altri. Chiunque, comunque, pensi di potersi opporre a questo comando nazionale, non importa se direttamente o indirettamente, cadrà. Abbiamo nulla a che fare con i traditori. Noi siamo del tutto fedeli al nostro vecchio principio. È senza importanza se noi stessi viviamo, ma è essenziale che il nostro popolo viva, che la Germania viva. Il sacrificio che ci è richiesto non è più grande del sacrificio che molte generazioni hanno fatto. Se noi formiamo una comunità strettamente legata da voti, pronta a qualunque cosa, determinata a non arrendersi mai, allora la nostra volontà dominerà ogni fatica e difficoltà. E mi piacerebbe chiudere con la dichiarazione che feci una volta quando cominciai la lotta per il potere nel Reich. Dissi allora: "Se la nostra volontà è così forte che nessuna fatica e sofferenza può soggiogarla, allora la nostra volontà e la nostra potenza tedesca potranno prevalere".

 

·        Telegramma di Hitler a Mussolini, 10 giugno 1940

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Duce, la decisione storica che Voi avete oggi proclamato mi ha commosso profondamente. Tutto il popolo tedesco pensa in questo momento a Voi e al vostro Paese.Le forze armate germaniche gioiscono di poter essere in lotta al lato dei camerati italiani. Nel settembre dell’anno scorso i dirigenti britannici dichiararono al reich la guerra, senza un motivo. Essi respinsero ogni offerta di un regolamento pacifico. Anche la Vostra proposta di mediazione si ebbe una risposta negativa. Il crescente sprezzo dei diritti nazionali dell'ITALIA da parte dei dirigenti di Londra e di Parigi ha condotto noi,che siamo stati sempre legati nel modo più stretto attraverso le nostre Rivoluzioni e politicamente per mezzo dei trattati, a questa grande lotta per la libertà e per l'avvenire dei nostri popoli

 

 

Le frasi di Hitler

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pallanimred.gif (323 byte)"Il mio motto è distruggere tutto. Il nazional-socialismo distruggerà il mondo"

pallanimred.gif (323 byte)"Demoralizzare il nemico colpendo di sorpresa, spargendo terrore, sabotando e uccidendo. Così si vinceranno le guerre."

pallanimred.gif (323 byte)"L’acquisizione di nuovi territori si deve sviluppare solo verso est"

pallanimred.gif (323 byte)"La forza non sta nella difesa ma nell’attacco"

pallanimred.gif (323 byte)"Dobbiamo chiudere i cuori della pietà ed assumere un contegno brutale. I diritti di ottanta milioni di persone devono essere rispettati; la loro esistenza deve essere garantita. Il più forte ha ragione. Prontezza di decisione e ferma fiducia sono necessarie al soldato tedesco. Non vi sono crisi, se i nervi del fuhrer resistono."

pallanimred.gif (323 byte)"Annientare una vita senza valore non comporta alcuna colpa, il debole deve essere distrutto."

pallanimred.gif (323 byte)"Il vero responsabile di questo conflitto omicida: il giudaismo! Non ho nascosto a nessuno il fatto che questa volta non si sarebbe consentito che milioni di figli delle nazioni ariane d’Europa morissero di fame, che milioni di uomini adulti subissero la morte, che centinaia di migliaia di donne e bambini venissero arsi vivi nelle città o morissero sotto i bombardamenti, senza che il vero colpevole pagasse il fio del suo delitto, sia pure con metodi più umani. Prima di ogni altra cosa chiedo ai capi della nazione e ai loro seguaci di osservare scrupolosamente le leggi razziali e di opporsi implacabilmente al veleno universale di tutti i popoli, il giudaismo internazionale."

pallanimred.gif (323 byte)"Se l'ebreo trionfa sui popoli di questa terra, allora la sua corona diverrà la danza di morte per l'umanità, allora questo pianeta tornerà a muoversi nell'etere privo di abitanti, come migliaia di anni fa. Perciò io credo di agire oggi nel nome del Creatore onnipotente; combattendo contro l'ebreo, io mi batto per l'opera del Signore".