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Nell'opera
Il Piacere, D'Annunzio affida il compito di raccontare gran
parte della vicenda ad un narratore esterno, in terza persona singolare.
Egli è un narratore onnisciente, sa tutto quello che è successo
e che succederà, interviene ad integrare il punto di vista dei personaggi,
spiega e puntualizza gli avvenimenti e si lascia andare addirittura
ad anticipazioni e premonizioni.
La narrazione prevale sui dialoghi che in tutto il romanzo sono
abbastanza pochi, l’autore si abbandona a lunghe e minuziose descrizioni
degli ambienti e degli stati d’animo dei personaggi.
Il tutto è fatto utilizzando un registro decisamente aulico e molto
elaborato. Il lessico è prezioso e ricercato e si adatta perfettamente
all'ambiente aristocratico in cui si svolgono i fatti.
D’Annunzio predilige le forme arcaiche dei termini (imagine, romore,
conscienza) e tronca molto spesso le parole (lor, volgevan, rendevan,
riduzion, espansion).
Inoltre l'autore fa un costante utilizzo di riferimenti ad opere
letterarie ed artistiche che danno un tono più elevato al romanzo
e non mancano dei vocaboli in latino, francese ed inglese.
Va anche sottolineato l’uso della tecnica del flashback, con la
quale D’Annunzio apre il romanzo e che più avanti impiega per vitalizzare
una narrazione piuttosto statica e per coinvolgere maggiormente
il lettore nella ricostruzione degli avvenimenti stimolandone la
memoria.
Il
Piacere è
opera pienamente indicativa del modo in cui D'Annunzio andava elaborando
la propria arte in sintonia con le maggiori correnti culturali
dell'epoca, specie quelle all'avanguardia in Francia, allora al
centro del dibattito europeo. Alla fine degli anni Ottanta si assiste
al crescente declino della narrativa realista e naturalista, di
cui pure Il Piacere risente ancora parzialmente l'influsso
di alcuni maestri prediletti come Flaubert e Maupassant.
La
vita viene vista come una vita raffinata, svincolata
dagli impacci della morale, dedita unicamente ai piaceri e al culto
della bellezza; una vita che, in un'indissolubile intreccio, mira
a costruirsi come un'opera d'arte, che si prefigge la creazione
di un capolavoro unico e supremo (ricordiamo che Andrea è poeta)
e che infine si
circonda di oggetti preziosi, descritti con il maniacale puntiglio
del collezionista. Tutta la realtà appare nel romanzo filtrata
attraverso lo schermo dell'arte, velandosi cosi di una patina raffinata
e antica.
Sul
piano di più stretta poetica, D'Annunzio traduce nelle sue pagine
le indicazioni della nuova scuola simbolista; attraverso la sua
sensibilità fuori del comune e la sua vigile attitudine contemplativa,
il protagonista cerca di penetrare oltre l'apparenza dei fenomeni
per cogliere, in maniera simbolico-analogica, la loro essenza misteriosa,
più profonda e nascosta; e insieme, varcando la loro linea divisoria,
individua sottili corrispondenze, impalpabili identità tra gli stati
d'animo dei personaggi e gli oggetti e i luoghi.
Per
quanto riguarda l'ideale di poesia, D'Annunzio ritiene che essa
sia lo strumento migliore nell'imitazione della natura: infatti
il verso è una forma che può adattarsi a tutto, può riuscire a descrivere
tutto, può rappresentare tutto, e come tale può inebgriare come
un vino.
"[...] Il
verso è tutto. Nella imitazion della Natura nessun istrumento d'arte
è più vivo, agile, acuto, vario, multiforme, plastico, obediente,
sensibile, fedele. Più compatto del marmo, più malleabile della
cera, più sottile d'un fluido, più vibrante d'una corda, più luminoso
d'una gemma, più fragrante d'un fiore, più tagliente d'una spada,
più flessibile d'un virgulto, più carezzevole d'un murmure, più
terribile d'un tuono, il verso è tutto e può tutto. Può rendere
i minimi moti del sentimento e i minimi moti della sensazione; può
definire l'indefinibile e dire l'ineffabile; può abbracciare l'illimitato
e penetrare l'abisso; può avere dimensioni d'eternità; può rappresentare
il sopraumano, il soprannaturale, l'oltramirabile; può inebriare
come un vino, rapire come un'estasi; può nel tempo
medesimo posseder il nostro intelletto, il nostro spirito, il nostro
corpo; può, infine, raggiungere l'Assoluto. Un verso perfetto e
assoluto, immutabile, immortale; tiene in sé le parole con la coerenza
d'un diamante; chiude il pensiero come in un cerchio preciso che
nessuna forza mai riuscirà a rompere; diviene indipendente da ogni
legame da ogni dominio; non appartiene più all'artefice, ma è di
tutti e di nessuno, come lo spazio, come la luce, come le cose immanenti
e perpetue. [...]"
D'Annunzio fa un'altro
paragone tra la poesia e il vino: sempre nel libro secondo, egli
dice che il poeta, quando scrive, deve riversare la poesia nella
forma metrica che esce fluidamente da lui, come fluidamente il vino
viene versato in una coppa.
"[...] Quale
gioia è più forte? - Andrea socchiuse un poco gli occhi, quasi per
prolungare quel particolar brivido ch'era in lui foriero della inspirazione
quando il suo spirito si disponeva all'opera d'arte, specialmente
al poetare. Poi, pieno d'un diletto non mai provato, si mise a trovar
rime con la èsile matita su le brevi pagine bianche del taccuino.
Gli vennero alla memoria i primi versi d'una canzone del Magnifico:
Parton
leggieri e pronti
dal
petto i miei pensieri...
Quasi
sempre, per incominciare a comporre, egli aveva bisogno d'una intonazione
musicale datagli da un altro poeta; ed egli usava prenderla quasi
sempre dai verseggiatori antichi di Toscana. Un emistichio di Lapo
Gianni, del Cavalcanti, di Cino, del Petrarca, di Lorenzo de' Medici,
il ricordo d'un gruppo di rime, la congiunzione di due epiteti,
una qualunque concordanza di parole belle e bene sonanti, una qualunque
frase numerosa bastava ad aprirgli la vena, a dargli, per così dire,
il la, una nota che gli servisse di fondamento all'armonia della
prima strofa. Era una specie di topica applicata non alla ricerca
degli argomenti ma alla ricerca dei preludii. Il primo settenario
medìceo gli offerse infatti la rima; ed egli vide distintamente
tutto ciò ch'egli voleva mostrare al suo imaginario uditore in persona
dell'Erma; e, insieme con la visione, nel tempo medesimo, si presentò
spontaneamente al suo spirito la forma metrica in cui egli doveva
versare, come un vino in una coppa, la poesia. [...]"
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