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Turchia? il problema è l'Europa.

 

 

Uno dei temi geopolitici che maggiormente sta suscitando discussioni in Europa, è quello di accogliere la Turchia nell'Unione o meno. Ambizione turca già di vecchia data, essa fu ripresa lo scorso anno dalla promozione accordata da George W. Bush al suo vitale alleato; la stessa Unione ha infine acconsentito ad avviare dei negoziati che si prevedono molto lunghi (dieci-quindici anni probabilmente), ma che dovrebbero concludersi con l'entrata della Turchia nell'UE.

Il problema di gran lunga più importante che si presenta in riferimento alla probabile (sicura) entrata della Turchia nell'Unione Europea: quello geopolitico. Molti si oppongono o semplicemente dubitano della sua opportunità. perché essa potrebbe costituire una sorta di "cavallo di Troia" nordamericano: la faccenda è complessa e difficilmente riducibile a schemi troppo semplicistici. Va innanzitutto notato, a conferma di questo timore, che la Turchia è un alleato di lunga data degli USA, avendo abbracciato la NATO durante la Guerra Fredda. Il giro di boa è stato rappresentato dall'ascesa del partito musulmano moderato di Erdogan, i cui militanti mostrano una chiara ad acuta insofferenza verso la protezione americana, che ha finora utilizzato la Turchia in funzione anti-europea e anti-russa, lusingandone le vecchie ambizioni pan-turaniche che l'hanno portata a destabilizzare i Balcani e l'Asia Centrale. Oggi la situazione è però diversa: i Balcani appaiono molto più tranquilli, e largamente in mano agli Europei - mentre gli USA si sono ridotti a fomentare il terrorismo albanese -, mentre la Russia sta rapidamente riconquistando le posizioni perse nei paesi turcomanni asiatici, sfruttando lo stallo nordamericano in Iraq. Inoltre la classe dirigente turca sta ripensando radicalmente la sua condotta geopolitica, poiché ha finalmente realizzato che il suo ruolo nel Nuovo Ordine Mondiale americanocentrico non andrebbe al di là del gendarme custode del "Grande Medio Oriente" - e in ciò si è trovata in piena sintonia con l'opinione pubblica, che non vuol perdere la sua tradizione nel grande pentolone del melting pot globale. E' per questo che, dopo una rivalità sorta in tempi immemorabili, i rapporti tra Ankara e Mosca si vanno rapidamente sviluppando verso una riconciliazione storica. Di più, Erdogan ha speso tutte le energie possibili per accelerare l'entrata nell'UE. Infine, segnali di tensione neppure dissimulati sono apparsi con USA e Israele. E' noto come Ankara abbia duramente stigmatizzato la politica di repressione attuata dagli Ebrei nei territori occupati, arrivando addirittura a ritirare momentaneamente l'ambasciatore da Tel Aviv e ad annullare le consuete esercitazioni militari congiunte. Inoltre, il "cavallo di Troia americano", a differenza di Londra, Madrid, Roma, Varsavia, Amsterdam, Kiev, ecc., si è rifiutato di partecipare all'invasione dell'Iraq: un'operazione, tra l'altro, che la danneggia non poco, giacché sta portando alla formazione a ridosso dei suoi confini, d'un forte e ostile stato curdo nutrito d'irredentismo anti-iracheno, anti-turco, anti-siriano e anti-iraniano. Inoltre il piano del "Grande Medio Oriente", il quale verte proprio sull'asse Israele-Turchia, è molto pericoloso per il paese anatolico, poiché ne accentua il marcato isolamento internazionale dai suoi vicini Arabi, Europei e Russi. Il declino dell'egemonia americana, anche se a lungo termine, si profila sempre più nitido all'orizzonte; ma quando questo arriverà, non saranno certo gli USA - ben protetti da due oceani - a subire la vendetta di tutte le loro vittime, bensì i loro alleati in loco. Il risultato è che Ankara si sta ora guardando in giro, alla ricerca d'un serio progetto alternativo alla globalizzazione unipolare promossa dagli USA, che possa garantirgli un eguale ruolo di potenza regionale, senza però costringerla a snaturarsi sul piano socio-culturale o a scontrarsi con tutti i paesi vicini. La Russia può offrire un progetto eurasiatico, che è però ancora in fase di costituzione e dunque molto fragile; in compenso Mosca, da quando è finito il regime comunista, non si permette più di ficcare il naso negli affari interni dei suoi alleati, e questo l'ha già resa più appetibile degli USA per governi come quelli dell'Asia Centrale. L'Europa ha un progetto già in atto, cioè l'Unione Europea, ma non ben definito; però pacifico e, seppure anche l'UE imiti gli USA nel cacciare il becco negli affari altrui, non pretende - perché non può - d'essere presa sul serio e ascoltata: paradossalmente, questa sua debolezza la rende più desiderabile della federazione nordamericana. In questo momento la linea di condotta della Turchia sembrerebbe essere questa: aprire alla Russia come interlocutrice, alleggerire il peso dell'alleanza con Washington e Tel Aviv, integrarsi nell'Unione Europea. E per noi resta da vedere - ed è questa la domanda fondamentale di tutta la faccenda - quale ruolo la Turchia vorrà ricoprirvi: fare asse con Londra e affossare definitivamente l'UE sotto il tallone statunitense, oppure schierarsi con Parigi, Berlino e Madrid per fare dell'Unione un vero soggetto geopolitico autonomo? In breve, è l'alternativa già individuata da Tiberio Graziani (vedi "Turchia, dall'Impero all'Eurasia", nel già citato numero della rivista "Eurasia").

Insomma, la partita si gioca tra gli assi Londra-Washington e Parigi-Berlino, per accogliere la neofita Turchia nelle proprie file. Gli atlantici partono in vantaggio, eppure l'asse europeo può confidare nell'evoluzione impressa dal governo Erdogan. La debole Unione Europea di oggi, con l'aggiunta di una Turchia forte e sensibile ai reali interessi comuni col nostro Continente, si tramuterebbe immediatamente in una potenza (in questi termini si è espresso anche Alexandre del Valle, "ideologo" degli identitaires francesi, ricordando loro che, ammettendo la Turchia, si "corre il rischio" di cancellare la "coerenza geopolitica dell'UE", cioè la sua sudditanza agli USA): la Turchia ha una posizione dotata d'un valore strategico che pochi altri paesi hanno: collega l'Europa al Vicino e all'Estremo Oriente, controlla due dei corsi d'acqua più importanti del mondo (Tigri ed Eufrate, che hanno le sorgenti sull'Altopiano anatolico) e inoltre ospita un'importante via di rifornimento energetico per l'Europa. Quest'ultimo fatto dovrebbe far riflettere coloro che mirano a difendere quel poco d'autonomia di cui oggi gode l'Europa, e anzi incrementarla: i principali oleodotti e gasdotti che alimentano il territorio dell'Unione entrano uno dagli stati baltici, uno dall'Ucraina e uno dalla Turchia. Ora, com'è noto, Estonia, Lettonia e Lituania sono tra i membri più zelanti della "Nuova Europa" collaborazionista; come avranno visto tutti, l'Ucraina sta scivolando nella sfera d'influenza nordamericana; infine, come abbiamo ripetuto fin qui, la Turchia è alleata degli USA. Qual è il risultato? Che gli Anglo-sassoni controllano più o meno fortemente tutte e tre queste importanti linee d'approvvigionamento energetico per l'Europa. Nel corso della storia millenaria se ne sono viste di tutti i colori, ma mai uno stratega degno di questo nome è stato tanto inetto da rinunciare a occupare o difendere le vie vitali per i suoi rifornimenti: pena l'essere assediati e presi per fame. Ad esempio, l'antica Atene poteva permettere che i Lacedemoni devastassero ogni anno i campi dell'Attica, poiché essa controllava la Tracia, dove trovava il legname, e l'Ellesponto, da dove arrivava il grano; ma quando gli Spartani riuscirono a bloccare lo Stretto, la "patria della democrazia" (e dell'imperialismo) non esitò a consegnare la città in mano agli oligarchici e a chiedere la pace tante volte rifiutata. O per restare a tempi più recenti, l'Intesa vinse la Prima Guerra Mondiale soprattutto perché la flotta britannica bloccava ogni rifornimento alla Germania. Se un giorno l'Europa alzasse la testa, allo stato attuale Washington non dovrebbe far altro che qualche telefonata per riportarla all'era pre-industriale. Ma se, ad esempio, la Turchia fosse membro dell'Unione, essa sarebbe divisa tra due fedeltà, e nessuno può dire quale delle due avrebbe la meglio. Ma almeno nel secondo caso si avrebbe una possibilità.

Inoltre, la Turchia porterebbe l'Unione a confinare direttamente con una zona vitale quale quella del Vicino Oriente e, inevitabilmente, potrebbe finalmente dire la sua. Chi dice che l'UE non potrebbe difendere quei confini "caldi", si macchia del grave reato d'imbecillità: la Turchia ha un moderno esercito di 800.000 uomini in servizio attivo, e quello basta e avanza per difendere i suoi confini da qualsivoglia nemico della regione. Ma ciò che più importa, è che l'Europa entrerà con più forza nell'irrisolto conflitto israelo-palestinese e, nessuno potrà negare, persino Bruxelles sarebbe un mediatore più imparziale della Casa Bianca. Non a caso molti sionisti sono preoccupati dalla prospettiva di ritrovarsi il loro "amico" nell'UE. Il commercio con la Turchia è vitale per Israele, a dispetto d'ogni aiuto americano; l'analista ebreo Vuk Zlatan mette in guardia i suoi compatrioti, perché con la Turchia l'Unione Europea acquisirebbe un eccezionale potenziale contrattuale da usare verso Tel Aviv, se non per fare giustizia in Palestina, almeno per normalizzare la situazione.

Molti movimenti e individui sinceramente europeisti si stanno mobilitando contro l'entrata della Turchia nell'UE. La mia modestissima opinione, per tutto quanto finora detto, è che essi potrebbe essere cento volte più utili alla causa dell'Europa proprio appoggiando l'entrata della Turchia. Se i governi di Parigi e Berlino tratteranno con Ankara dalla forte posizione contrattuale in cui si trovano, anche le organizzazione politiche e sociali possono fare molto collegandosi ai loro pari turchi, e coordinando un'azione politica di base volta a fare della Turchia non un cavallo di Troia, ma un tassello fondamentale della Grande Europa, libera e indipendente.

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