KIERKEGAARD

E' con Kierkegaard, alla metà dell'800, che l'esistenza diviene oggetto della filosofia stessa. Egli pone il suo interesse sul singolo, fondando la categoria del singolo, colui che esiste, ossia colui che esce fuori dal nulla per vivere fino alla morte.
Con Kierkegaard assumono importanza i termini "scelta" e "angoscia", poiché egli afferma che ciò che caratterizza la condizione umana è il trovarsi di fronte a scelte che, in quanto libere, sono "infondate", quindi angoscianti. Quando l'individuo si accorge del carattere abissale della libertà, infatti, sorge in lui l'angoscia, che non è solo un sentimento spiacevole, ma soprattutto la coscienza della propria libertà. L'angoscia, infatti, è costitutiva dell'esistenza dell'uomo come "realtà della libertà come possibilità per la possibilità", ossia sentimento che deriva dalla libertà di potere. É una "vertigine della libertà" che, con il peccato originale, è divenuta possibilità del bene e del male; essa accompagna l'uomo in tutte le sue culture e situazioni, persino in ogni tentativo che egli compie per occultarla, chiudendosi nella chiacchiera, nella monotonia e nel vuoto, in quello che Pascal chiamava divertissement. Tale libertà si esercita nel compiere una delle tre scelte, ossia la vita estetica, etica e religiosa, che diventano strutture essenziali dell'esistenza quando, a livello consapevole, sono disperazione, pentimento e angoscia.
Kierkegaard, quindi, mette in evidenza la problematicità, l'imprevedibilità e la libertà del singolo.

Esistenzialismo