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Ultime conquiste e Decolonizzazione

 

L'ultima grande conquista dell'Europa è quella che si concluse con la spartizione della Turchia ottomana alla fine della Prima guerra mondiale. Alla vigilia della Grande guerra la Turchia fu costretta a subire le peggiori umiliazioni: dovette abbandonare la gestione del proprio debito pubblico a un' autorità straniera, affidare la direzione del proprio esercito allo stato maggiore tedesco e impegnarsi a permettere che un corpo di ispettori internazionali vigilasse sul trattamento degli armeni nelle zone anatoliche dove erano maggiormente presenti.

La Grande guerra cambiò tutto. La Turchia scese in campo a fianco degli imperi centrali contro la Gran Bretagna e la Francia. Si aprì così un fronte mediorientale in Siria e in Mesopotamia. Prima di spartire l'impero occorreva sconfiggerlo. Per meglio battere i turchi, gli inglesi e i francesi distribuirono promesse di autonomia o indipendenza a Hussein, grande sceriffo della Mecca.

Nel contempo, l'Africa tedesca cambiò colore: un pezzo alla Gran Bretagna, uno alla Francia, uno al Belgio. Qualcosa del genere, su scala minore, accadde in Asia, dove le colonie tedesche subirono lo stesso trattamento.

 

La Seconda guerra mondiale lo rese inevitabile. I Paesi sconfitti, come l'Italia e il Giappone, perdettero i loro possedimenti coloniali.

Altri, benché vincitori, li avevano già temporaneamente perduti nel corso del conflitto. Le Indie olandesi, l'Indocina francese, la Malesia, la Birmania, le Filippine, Singapore e Hong Kong erano cadute nelle mani dei giapponesi. Terminato il conflitto, i Paesi vincitori dovettero pagare il debito di riconoscenza che avevano contratto con le truppe coloniali e subire la pressione degli Stati Uniti, profondamente convinti che un mondo senza colonie sarebbe stato più libero e prospero.

Esisteva d'altro canto nella maggior parte dei territori coloniali, soprattutto in Asia, una classe dirigente indigena desiderosa di riscattare il suo Paese dalla dominazione imperiale dell'Europa. In alcuni Paesi, con grande sgomento delle potenze coloniali, il movimento anticoloniale presentò sin dall'inizio una inquietante colorazione comunista.

Il primo Paese vincitore che accettò coraggiosamente la logica della decolonizzazione e dette subito l'indipendenza alla sua "perla" più preziosa fu la Gran Bretagna. Due anni dopo l'India diventava nuovamente uno Stato sovrano.

I confini con cui nacquero erano stati tracciati dalle potenze imperiali. Tenevano conto delle esigenze dello Stato europeo dominante o segnavano il punto estremo oltre il quale esso non era riuscito a spingersi, ma non prendevano in considerazione le differenze tribali o religiose delle popolazioni che vi abitavano.

Fedeli alla loro filosofia anticoloniale e desiderosi di ridurre la Gran Bretagna a più modeste dimensioni, gli americani chiesero il ritiro del corpo di spedizione dalle posizioni conquistate e indirizzarono agli inglesi la più convincente delle minacce: gli Stati Uniti avrebbero smesso di sostenere i corsi della sterlina alla Borsa di New York. Il governo di Londra dovette piegarsi alla volontà di Washington e i francesi, qualche giorno dopo, fecero lo stesso.

Negli anni seguenti la Gran Bretagna accettò la lezione di Suez e dette il via alla decolonizzazione dell'impero. Elargita a tutti come medicina universale, la formula della decolonizzazione fu in molti casi la peggiore delle cure possibili. I casi più gravi furono quelli dei Paesi in cui vivevano forti comunità europee, emigrate nel corso delle generazioni precedenti: l'Algeria, la Rhodesia, il Sud Africa, le colonie portoghesi. Appena giunti all'indipendenza, molti caddero nelle mani di piccole consorterie politiche e militari. Nacquero così gli Stati "patrimoniali", grandi haciendas politiche amministrate da un leader-proprietario. Qualcuno fece bancarotta, altri scatenarono o subirono una guerra civile, altri ancora se ne andarono nelle ville e negli chateaux che avevano comprato in Europa.

 

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