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L’Europa in Asia

 

Gli spagnoli erano nelle Filippine e i portoghesi avevano conservato i loro antichi possedimenti sulle coste dell'India, dell'Indonesia e della Cina. Ma le loro energie sembravano essersi consumate. Gli inglesi e gli olandesi invece non smettevano di estendere le loro stazioni commerciali e accrescere i loro possedimenti. Gli inglesi avevano in India, agli inizi della loro colonizzazione, ambizioni esclusivamente commerciali. Nessuno a Londra, nel corso del Seicento, avrebbe osato immaginare la conquista di un subcontinente dove un discendente di Tamerlano e di Gengis Khan aveva creato verso il 1530 il grande impero islamico dei Moghul. Ma agli inizi del Settecento, dopo la morte dell'imperatore Awrangzeb, lo Stato si era diviso in dozzine di piccole e grandi feudalità. Fu quello il momento in cui gli inglesi cominciarono a divenire, quasi senza accorgersene, gli eredi dell'impero defunto. Appoggiata dal governo, la Compagnia delle Indie s'impadronì del Bengala ed estese progressivamente il suo potere all'interno. Ma era soltanto un'impresa commerciale, quindi poco adatta a sostenere lo sforzo finanziario e l'impegno organizzativo di una grande impresa coloniale. Quando dovette ricorrere per un prestito alle casse dello Stato, fu costretta a permettere che il governo, con il Regulating Act del 1773, esercitasse la sua supervisione sull'amministrazione dei territori conquistati.

La Gran Bretagna stava diventando la più dinamica potenza economica del mondo. Il trasporto dei deportati cominciò nel 1787 e fornì ai proprietari terrieri una specie di servitù della gleba.

In una sommaria cronologia degli avvenimenti coloniali nel Mediterraneo dopo la fine delle guerre napoleoniche, il primo episodio importante è la conquista francese di Algeri. Il secondo è l'inaugurazione del canale di Suez. Il terzo è il trattato del Bardo con cui la Francia impose il suo protettorato al bey di Tunisi. Il quarto è il bombardamento inglese di Alessandria, seguito dall' occupazione del Cairo nel settembre dello stesso anno.

Non passò anno senza che i popoli europei estendessero il loro potere alle più lontane regioni del globo e nuove parti della carta geografica si coprissero di colori uniformi, ciascuno dei quali rappresentava simbolicamente una potenza coloniale. Prevaleva su tutti il giallo arancione dell'impero britannico, il più grande della storia e, per la classe dirigente inglese, illegittimo erede dell'impero romano. Nel 1859, in un famoso discorso alla Camera dei Comuni, Lord Palmerston riconobbe a ogni cittadino britannico nel mondo il diritto di proclamare "civis romanus sum" e di invocare e ottenere, dovunque egli fosse, la protezione della madrepatria.

 

Gli altri popoli europei, del resto, avevano di se stessi un concetto altrettanto elevato. A Berlino, nel 1884, quattordici potenze voltarono pagina e fissarono le regole del catechismo coloniale a cui sarebbe stato necessario, d'ora in poi, conformarsi. I temi all' ordine del giorno furono l'assetto dell'Africa occidentale, la libera navigazione sul fiume Congo, l'abolizione della schiavitù, la guerra al commercio degli schiavi. Le motivazioni quindi furono in parte economiche, in parte ideali e umanitarie.

Anche là dove le società sono multinazionali e i regimi sono autocratici o autoritari vi è ormai, fra gli ingredienti della politica internazionale, un nuovo fattore rappresentato dalla pubblica opinione nazionale; ed è questa, per l'appunto, che conferisce all'impresa coloniale nuove motivazioni.

Ma l'opinione pubblica è soggetta a sollecitazioni contraddittorie, a un continuo alternarsi di impulsi umanitari e febbri nazionaliste, di facili entusiasmi e brusche delusioni. La caduta di Khartum e la morte di Gordon nel 1885, le disavventure francesi in Indocina nello stesso anno e la disfatta italiana a Adua nel 1896 spingono l'opinione pubblica a chiedersi se valga la pena consumare risorse umane e finanziarie per terre sconosciute e finalità imprecise. In Francia, ai circoli colonialisti si contrapponevano correnti e gruppi per i quali il Paese avrebbe dovuto concentrare ogni energia sul recupero delle province perdute durante la guerra contro la Prussia del 1870.

Il colonialismo, alla fine del secolo, è un perfetto misuratore delle virtù che concorrono a formare una potenza: forza militare, consenso politico e sociale, capacità organizzativa, equilibrio morale, orgoglio nazionale, stabilità psicologica. é lecito interrogarsi sulla utilità geopolitica delle colonie e sulla loro effettiva importanza per il progresso economico degli Stati europei.

Ma non è possibile disconoscere che esse hanno contribuito a fissare, dopo le grandi unità nazionali, la gerarchia delle potenze. I rapporti di forza, per alcuni decenni, vennero definiti in terre lontane dove i maggiori Stati europei, senza dichiararsi guerra, si contesero gli stessi territori e s'impegnarono in un lungo braccio di ferro.

 

L'Entente cordiale, di cui Francia e Gran Bretagna hanno solennemente celebrato il centenario a Parigi nel 2004, fu preceduta da un incidente durante il quale i due Paesi furono per qualche settimana sull' orlo di un conflitto. Lo scontro ebbe luogo in uno sperduto villaggio sudanese, Fashoda, sulla riva sinistra del Nilo Bianco, dove Lord Kitchener e il capitano Marchand si guardarono in cagnesco per alcuni giorni. Il francese voleva proseguire verso le coste orientali del continente e creare un' Africa francese a sud del Sahara, dall'Atlantico al mar Rosso. L'inglese era deciso a impedire che qualcuno tagliasse trasversalmente la catena di possedimenti coloniali che la Gran Bretagna intendeva amministrare dal Mediterraneo al capo di Buona Speranza. La guerra fu evitata quando la Francia riconobbe che gli interessi inglesi nella regione erano più importanti dei suoi e preferì coltivare l'amicizia di Londra contro la Germania. Anche inglesi e russi, dopo molti dispetti reciproci, firmarono a Pietroburgo una convenzione per regolare i loro rapporti nelle tre aree di cui si erano contesi il controllo. E anche in questo caso il rinsavimento ebbe luogo quando ciascuno dei due contendenti giunse alla conclusione che la Germania era più pericolosa, per il suo futuro, di quanto non fosse il concorrente coloniale.

La Gran Bretagna introduceva nei Paesi conquistati modelli europei, ma restava pur sempre lontana e diversa, da ciò che aveva creato oltremare. La Russia, invece, impegnava se stessa nella creazione di un grande Stato euro-asiatico che avrebbe cambiato in ultima analisi il conquistatore e il conquistato.

Queste storie e leggende appartengono all'''età degli imperi", che gli storici collocano generalmente fra gli ultimi decenni dell'Ottocento e la Grande guerra. Ma chi ha seguito sin qui la storia dell' espansione europea nel mondo sa che vi erano già stati nei secoli precedenti altre conquiste coloniali, non meno importanti e ambiziose. Perché allora tracciare una frontiera tra ciò che era accaduto in precedenza e ciò che accadde fra gli ultimi decenni del XIX secolo e la Grande guerra? La ragione è il sentimento di superiorità che gli europei provano nell'Ottocento quando confrontano se stessi con il resto del mondo. Nei secoli precedenti si erano considerati superiori sul piano religioso, ma sapevano di avere di fronte a sé, soprattutto nel Levante e in Asia, Stati forti e nemici temibili, capaci di mettere in campo grandi eserciti e armi comparabili a quelle dell'Europa. Nella seconda metà del Settecento esistevano fra una regione e l'altra grandi disparità ma non tali da apparire insormontabili.

La rivoluzione industriale e quella dei trasporti furono Il risultato di alcune nuove tecnologie: i telai meccanici, il motore a scoppio. Da allora, in Europa e in America, industria, scienza e tecnologia si sono nutrite a vicenda. Quanto più la prima allargava le sue ambizioni tanto più scienza e tecnologia erano sollecitate a dotarla di nuovi strumenti. Quanto più queste inventavano, scoprivano e adattavano le loro invenzioni al processo produttivo, tanto più l'industria era sollecitata a proporsi nuovi obiettivi, a consumare una maggiore quantità di materie prime, ad allargare lo sguardo verso nuovi mercati. Grazie alla rivoluzione industriale il mondo entra nell'orizzonte economico dell'Europa. Tra l'Asia fornitrice di spezie e l'Asia fornitrice di minerali e gomma, tra l'Africa vivaio di schiavi e l'Africa delle grandi miniere in Congo o nel Natal vi è, come usa dire, un salto di qualità. Non basta. Quando si confrontano militarmente con gli eserciti del Levante e dell' Asia, gli europei e gli americani si accorgono che la loro forza si è centuplicata. Il felice connubio tra industria, scienza e tecnologia ha creato fucili più rapidi e precisi, cannoni più potenti corazze meno penetrabili, navi più veloci e maestose, trasporti più efficaci, comunicazioni "in tempo reale". E creerà o perfezionerà ben presto, grazie alle esigenze della Grande Guerra: aerei da battaglia e da bombardamento, motori sottomarini, carri armati, gas tossici. In meno di un secolo il divario fra l'Europa e il resto del mondo è diventato sbalorditivo. E questa la ragione per cui ogni Paese europeo, anche Il piccolo Belgio e la piccola Olanda, si considera imperiale.

 

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