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 Stadi finali

8.   Troppo grande per sopravvivere?

 

Con l'ingresso della Gran Bretagna nel 1972 la Comunità divenne un club aperto in cui,  per entrarvi, bastava che accettare l'acquis communautaire, cioè l'insieme degli accordi e delle direttive adottate negli anni precedenti. Cominciò così il pro­cesso dell'allargamento. Nel 1977 Portogallo e Spagna presentarono domanda di adesione, ma entrarono nella Comunità soltanto nel 1986. La Grecia fu più rapida e venne ammessa nel 1981. La Comunità europea era ormai troppo grande e troppo forte perché gli altri governi europei potessero esimersi dal prendere in considerazione la prospettiva del­l'ammissione al club. Dopo il crollo dell'impero sovietico in Europa centrorientale i can­didati erano diventati molti: tutti gli ex sa­telliti dell'URSS, le tre repubbliche del Baltico, Turchia, Austria, Svezia, Finlandia e la Norvegia. I negoziati con gli ultimi quattro vennero conclusi nel 1994. Ma la Norvegia, dopo un referendum, dovette ritirare la firma. Alcuni di essi volevano i van­taggi del mercato allargato, ma non erano disposti a sacrificare la loro sovranità. Fra i nuovi candidati invece vi erano otto Paesi (Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, Re­pubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Slovenia) che erano stati comunisti per mezzo secolo e avevano subìto una pro­fonda trasformazione anticapitalista. L'industria era obsoleta e l'agricol­tura antiquata, le infrastrutture erano vecchie e cadenti, il mercato dei capitali era inesistente. Ma non era possibile ignorarli. I dieci Paesi (gli otto dell' est, più Cipro e Malta) rimasero per qualche anno in attesa. Restava da decidere, tuttavia, quale sarebbe stato il loro ruolo nell'Unione. Avrebbero avuto la stessa rilevanza politica degli altri membri o minore? Erano favorevoli alla seconda soluzione tutti coloro che temevano il definitivo snaturamento dell'Unione europea. Ma prevalsero, soprattutto dopo la scelta di Romano Prodi alla presi­denza della Commissione, coloro che volevano la prima soluzione. In contrasto vi erano coloro che speravano di ridurre l'Unione, con l'allargamento, a una grande zona di libero scambio: la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Agli inizi del 2000 si verificarono così in Eu­ropa due avvenimenti contraddittori. Dodici Paesi adottarono la stessa moneta e crearono in tal modo fra le loro economie un vincolo più stretto e rigido. L'U­nione decise che l’ade­sione dei candidati avrebbe avuto luogo nel maggio del 2004. Da un lato si andava rapidamente verso una Federazione europea, dall'altro l'Unione di­ventava pletorica e ingovernabile. Il rischio era che finisse squartata in direzioni opposte.

 

9.     Europa e Stati Uniti

I membri della Comunità avevano fatto progressi modesti verso l'integra­zione politica e militare. Vi fu un momento in cui l'Unione ebbe la possibilità di fare il suo apprendistato politico-militare. Accadde nel 1991, quan­do la Jugoslavia cominciò a sgretolarsi e il presidente degli Stati Uni­ti, George Bush sr, lasciò capire che il problema era europeo e che toccava all'Unione occuparsene. Ma gli europei furono incapaci di trovare una soluzione efficace e finirono per sollecitare l'intervento dell'America. I due interventi in Bosnia e in Kosovo, nel 1995 e nel 1999, ridettero egemonia militare in Europa alla NATO di cui gli Stati Uniti se ne servirono a proprio vantaggio e interesse. Agli inizi del 2003, mentre si stavano preparando all'invasione dell'Iraq gli Stati Uniti avevano chiesto, senza successo, l'approvazione dell'ONU. Quando gli americani chiesero alla NATO ciò che non avevano otte­nuto dall'ONU, i membri europei del Consiglio atlantico si divisero. Alcuni (Francia, Germania, Belgio) si opposero, altri (Italia, Spagna, Polonia) erano pronti ad accogliere la richiesta. Le divergenze concer­nevano in apparenza l'opportunità e l'utilità della guerra, ma la reale sostanza del dissenso era il rapporto con gli Stati Uniti. Francia e Germania volevano l’indipendenza dagli Stati Uniti. Spagna, Polonia, Italia e gli altri, (a parte il Belgio e i neutrali) credettero che il loro rapporto con gli Stati Uniti li avrebbe resi più indipenden­ti e più autorevoli in Europa, cioè meno dipendenti da Francia e Germania. La NATO permette agli Stati Uniti di mantenere basi in Europa e divenne un ostacolo per la sua integrazione. Ciascuna di queste scelte fu ca­ratterizzata dalla personalità e dalle convinzioni politiche dei singoli leader: ognuno di essi ha agito, durante la crisi irachena, "secondo copione". Infatti ogni Paese è stato guidato dal proprio istinto di conservazione.

 

10.  L'Europa ingovernabile

L’ingresso di dieci nuovi Paesi nel maggio del 2004 provocò la nascita di tre questioni politiche:

·               il sistema di voto: doveva impedire che il veto di un Paese o il blocco di una piccola minoranza paralizzassero l'Unione. Al vertice europeo di Nizza nel dicembre del 2000 fu deciso che ogni membro dell'U­nione avrebbe avuto un numero di voti corrispondente alla propria importanza economica, demografica e territoriale. Fu calco­lato che la possibilità di approvare un provvedimento a maggioranza era scesa all'1,8 per cento.

·               la composizione del Parlamento e della Commissione: doveva garantire l'effica­cia delle due istituzioni e, contemporaneamente, il diritto di ogni Paese a essere convenientemente rappresentato. Ma se ogni Paese avesse avuto diritto a un commis­sario, l'organo che aveva maggiormente contribuito al progresso del­la Comunità e dell'Unione sarebbe divenuto troppo vasto.

Quando fu chiaro che l'Europa allargata, dopo l'accordo di Nizza, sarebbe stata ingovernabile, riapparve il tema della costituzione. Fu deciso che l'Assemblea costituente (Convenzione) avrebbe avuto il compito di proporre ai governi un trattato costituzionale. Vennero affrontati alcu­ni temi: le radici cristiane e culturali dell'Europa, il concetto di cittadinanza, la Carta dei diritti, la natura giuridica dell'Unione. Il vero problema restava quello del sistema di voto. La proposta prevedeva la maggioranza degli Stati (tre­dici nel caso dell'Europa a venticinque) e quella della popolazione (almeno il 60 per cento). Ma Spagna e Polonia di­fesero il voto ponderato, vale a dire il diritto di rendere estremamen­te improbabile qualsiasi decisione che non corrispondesse alla loro volontà. Le ultime fasi dell'integrazione europea, dall'adozione dell'euro al dibattito sulla costituzione, hanno coinciso con manifestazioni di na­zionalismo fondato sulla convin­zione che ogni comunità, per meglio difendersi, debba alzare barrie­re protettive e fermare i "barbari alle porte". Lo stesso accade in molti aspetti all'interno della Chiesa: infatti i fedeli invocano, per tenere i musulmani fuori della porta di casa, le radici cristiane dell'Europa. La cultura e l'appello alla tradizione sono soltanto il nobile alibi di gruppi sociali che vedono nella modernità un attentato alla loro condizione sociale e difendono strenuamente il diritto di non cambiare, di non accettare nuove sfi­de, di non rimettere in discussione la loro formazione professionale. Temono l'Europa del mercato unico e della moneta unica perché la ritengono un volto della globalizzazione.

 

11. Conclusioni

Lo Stato europeo è un cantiere dove non si è mai smesso, da Carlo­ Magno in poi, di costruire, demolire e ricostruire. Nasce dalla volon­tà di dare un erede all'impero romano, ma chiede legittimità a una fede religiosa, il cristianesimo, che ha unificato il continente e ha contribuito alla creazione delle "nazioni". Crea una res publica christiana, ma autorizza implicitamente ogni nazione a rivendicare la propria autonomia. Lo Stato ha la sua logica: deve affermarsi, espandersi, rimuovere gli ostacoli che gli attraversano la strada. I re non governano soltan­to per grazia di Dio; governano anche in nome del potere che hanno saputo conquistare e mantenere. Il quadro si com­plica quando alcuni sovrani approfittano della grande crisi della Chiesa di Roma e del movimento protestante, fra il Quattrocento e il Cinquecento, per creare Chiese nazionali. Controllano meglio una parte importante della loro legittimità, ma non si accorgono di avere aperto la strada al dissenso religioso e alla democrazia. Nasce così lo Stato moderno, in cui il sovrano regna per grazia di Dio e in nome del potere conquistato, ma anche per volontà della pubblica opinione. Il nazionalismo e l'espansione coloniale sono anche per molti aspetti un tentativo per ricomporre l'unità dello Stato. Ma il nazionalismo, nell'epoca del­l'industrializzazione e dell'innovazione tecnologica provoca agli inizi del Novecento la Prima guerra mondiale. Le monarchie sconfitte scompaiono, gli imperi si dissolvono, gli stes­si Paesi vincitori escono indeboliti dal conflitto e tutti debbono far fronte a nuovi titoli di legittimità. Al conflitto tra gli Stati si aggiunge quindi, dopo il 1917, un conflitto civile all'interno degli Stati tra nazionalismo e internazionalismo comunista. La Seconda guerra mondiale è soltanto la continuazione della Prima e si conclu­de con la vittoria di una grande democrazia extraeuropea, ma non senza avere travolto tutti gli Stati democratici del continente, a sud della Manica, e dato un colpo mortale alla loro legittimità.

 

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