una tesina di M. Bortolotti |
|
La vita è
un flusso continuo che noi cerchiamo d'arrestare, di fissare in forme stabili e
determinate, dentro e fuori di noi, perché noi già siamo forme fissate, forme
che si muovono in mezzo ad altre immobili, e che però possono seguire il flusso
della vita, fino a tanto che, irrigidendosi man mano, il movimento, già a poco
a poco rallentato, non cessi. Le forme, in cui cerchiamo d'arrestare, di fissare
in noi questo flusso continuo, sono i concetti, sono gli ideali a cui vorremmo
serbarci coerenti, tutte le finzioni che ci creiamo, le condizioni, lo stato in
cui tendiamo a stabilirci. Ma dentro di noi stessi, in ciò che noi chiamiamo
anima, e che è la vita in noi, il flusso continua, indistinto, sotto gli
argini, oltre i limiti che noi imponiamo, componendoci una coscienza,
costruendoci
una personalità. In certi momenti tempestosi, investite dal flusso, tutte
quelle nostre forme fittizie crollano miseramente; e anche quello che non scorre
sotto gli argini e oltre i limiti, ma che si scopre a noi distinto e che noi
abbiamo con cura incanalato nei nostri affetti, nei doveri che ci siamo imposti,
nelle abitudini che ci siamo tracciate, in certi momenti di piena straripa e
sconvolge tutto. Vi sono
anime irrequiete, quasi in uno stato di fusione continua, che sdegnano di
rapprendersi, d'irrigidirsi in questa o in quella forma di personalità. Ma
anche per quelle più quiete, che si sono adagiate in una o in un'altra forma,
la fusione è sempre possibile: il flusso della vita è in tutti. E per tutti
però può rappresentare talvolta una tortura, rispetto all'anima che si muove e
si fonde, il nostro stesso corpo fissato per sempre in fattezze immutabili. Oh
perché proprio dobbiamo essere così, noi? - ci domandiamo talvolta allo
specchio, con questa faccia, con questo corpo? - Alziamo una mano,
nell'incoscienza; e il gesto ci resta sospeso. Ci pare strano che l'abbiamo
fatto noi. Ci vediamo vivere. Con quel gesto sospeso possiamo
assomigliarci a una statua; a quella statua d'antico oratore, per esempio, che
si vede in una nicchia, salendo per la scalinata del Quirinale. Con un rotolo di
carta in mano, e l'altra mano protesa a un sobrio gesto, come pare afflitto e
meravigliato quell'oratore antico d'esser rimasto lì, di pietra, per tutti i
secoli, sospeso in quell'atteggiamento, dinanzi a tanta gente che è salita,
che sale e salirà per quella scalinata! (...) Ciascuno si racconcia la maschera
come può la maschera esteriore. Perché dentro poi c'è l'altra, che spesso non
s'accorda con quella di fuori. E niente è vero! Vero il mare, sì, vera la
montagna; vero il sasso; vero un filo d'erba; ma l'uomo? Sempre mascherato,
senza volerlo, senza saperlo, di quella tal cosa ch'egli in buona fede si
figura d'essere: bello, buono, grazioso, generoso, infelice, ecc. ecc. E
questo fa tanto ridere, a pensarci. Sì, perché un cane, poniamo, quando gli
sia passata la prima febbre della vita, che fa? mangia e dorme: vive come può
vivere, come deve vivere; chiude gli occhi, paziente, e lascia che il tempo
passi, freddo se freddo, caldo se caldo; e se gli danno un calcio se lo prende,
perché è segno che gli tocca anche questo. Ma l'uomo? Anche da vecchio, sempre
con la febbre: delira e non se n'avvede; non può fare a meno
d'atteggiarsi, anche davanti a sé stesso, in qualche modo, e si figura tante
cose che ha bisogno di creder vere e di prendere sul serio. L'aiuta in
questo una certa macchinetta infernale che la natura volle regalargli,
aggiustandogliela dentro, per dargli una prova segnalata della sua benevolenza.
Gli uomini, per la loro salute, avrebbero dovuto tutti lasciarla irrugginire,
non muoverla, non toccarla mai. Ma sì! Certuni si sono mostrati così
orgogliosi e stimati così felici di possederla, che si son messi subito a
perfezionarla, con zelo accanito. E Aristotile ci scrisse sopra finanche un
libro, un leggiadro trattatello che si adotta ancora nelle scuole, perché i
fanciulli imparino presto e bene a baloccarcisi. È una specie di pompa a filtro
che mette in comunicazione il cervello col cuore. La
chiamano logica i signori filosofi. Il
cervello pompa con essa i sentimenti dal cuore, e ne cava idee. Attraverso il
filtro, il sentimento lascia quanto ha in sé di caldo, di torbido: si
refrigera, si purifica, si i-de-a-liz-za. Un povero sentimento, così, destato
da un caso particolare, da una contingenza qualsiasi, spesso dolorosa, pompato e
filtrato dal cervello per mezzo di quella macchinetta, diviene idea astratta
generale; e che ne segue?" Ne segue che noi non dobbiamo affliggerci
soltanto di quel caso particolare, di quella contingenza passeggera; ma dobbiamo
anche attossicarci la vita con l'estratto concentrato, col sublimato corrosivo
della deduzione logica. E molti disgraziati credono di guarire così di tutti i
mali di cui il mondo è pieno, e pompano e filtrano, pompano e filtrano, finché
il loro cuore non resti arido come un pezzo di sughero e il loro cervello non
sia come uno stipetto di farmacia pieno di quei barattolini che portano su
l'etichetta nera un teschio fra due stinchi in croce e la leggenda: veleno.
|