La
prima guerra mondiale, nata come una veloce campagna militare che
avrebbe dovuto concludersi nel giro di pochi mesi, ben presto si
trasformò in una lunghissima e sanguinosa guerra di posizione,
che ha costretto gli eserciti a fortificarsi e a scontrarsi lungo
linee difensive che correvano per chilometri o, com'è successo
sul fronte Italo-Austriaco, si inerpicavano sulle cime delle
montagne. La trincea divenne quindi in tutti i fronti del conflitto
il luogo in cui si trovarono a vivere in condizioni terribili milioni
di soldati “tra i morti insepolti, i sepolti vivi”, come
scrive Carlo Salsa soldato italiano in una poesia intitolata Trincea.
Il mio intento è quello di analizzare le condizioni di vita
dei soldati Italiani che per tre anni hanno combattuto questa guerra,
nelle trincee attraverso testimonianze, documenti, testi letterari e
ricordi di famiglia.
Chi
erano e da dove venivano quei ragazzi ? Dai testi di storia ci
giungono solo le fredde cifre, le quali ci dicono che in tre anni di
guerra il nostro paese ha mobilitato 4.200.000 uomini e che di questi
circa 500.000 morirono di ferite o di malattie prima della fine del
conflitto. Della maggioranza di loro non sappiamo quasi niente e le
poche informazioni che abbiamo ci derivano dalle memorie o dalle
lettere dei giovani ufficiali di complemento. I soldati semplici
invece, in gran parte analfabeti, appaiono come una massa informe di
contadini rassegnati, che senza fiatare hanno risposto alla chiamata
alle armi e che senza protestare fanno la guerra come se fosse un
mestiere come un altro.
“ Somacal vorrebbe essere buon soldato perché è un
mestiere che consiste nel
passeggiare col fucile e vi passano la minestra, il pane e il
vestito, come gli altri tale e quale”
Così P. Jahier descrive
nel diario di guerra Con
me e con gli alpini un
soldato semplice. Grandi infatti erano nella società italiana
del primo 900 le differenze sociali che si riflettono anche nella
composizione dell'esercito, i graduati sono colti e borghesi (è
necessario il diploma per diventare ufficiali), mentre i soldati
appartengono alle classi sociali inferiori, contadini ed operai
spesso analfabeti. Queste differenze sociali però non
impediscono agli ufficiali di mantenere un atteggiamento di
forte affetto nei confronti dei loro uomini verso i quali si sentono
responsabili, atteggiamento peraltro molto gradito agli alti comandi
militari, che in numerosi dispacci recitano: “Deve
ogni soldato essere certo di trovare, all'occorrenza, nel superiore
il fratello maggiore o il padre.” Questo
atteggiamento quasi paternalistico è apprezzato dai soldati,
Carlo Orelli
nel
raccontare la sua esperienza da soldato
nel
libro-memoria L'ultimo
fante racconta
“Anche gli ufficiali
erano brave persone. Anche se in tempo di guerra, non si faceva
più
tanto attenzione ai gradi. Ci si aiutava reciprocamente e spesso
saltavano tutte le gerarchie, soprattutto durante i combattimenti.
Durante l'assalto erano sempre con noi. E anche per dormire non
avevano tende e si sistemavano all'addiaccio insieme a noi”
Questo
sentimento di solidarietà tra i commilitoni, al di là
della retorica ufficiale, traspare anche in molti testi letterari, si
pensi ad esempio alla celebre poesia di Ungaretti Fratelli,
oltre che in tanti diari.
Nella vita borghese ci si può distinguere coi denari
dell'eredità ingiusta, col pane rubato al povero, col vestito
(....). Sono rimaste soltanto le differenze che non offendon nessuno
perché si guadagnano coll'entra nella vita i si perdono
coll'uscire, e servono a tutti quanti: Come la grazia della voce per
consolarci che ha Bendont il nostro capo coro; o la schiena più
quadra che ha Soccol, per prendere lo zaino del malato.